Perché la distribuzione del cibo nella Striscia di Gaza è diventata così pericolosa
Il nuovo sistema imposto da Israele con la Gaza Humanitarian Foundation ha creato le condizioni per una serie continua di stragi di palestinesi
di Daniele Raineri

Il sistema di distribuzione del cibo imposto un mese fa da Israele nella Striscia di Gaza ha creato le condizioni per una serie di stragi continue tra i civili palestinesi fatte dai soldati israeliani. Ricevere aiuti umanitari è un’attività fondamentale per la popolazione al ventesimo mese di guerra, ma si è trasformata in un’operazione rischiosa. Prima non era così.
Il nuovo sistema di distribuzione, affidato alla Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), è entrato in funzione martedì 27 maggio. La Ghf è un’organizzazione non governativa fondata su impulso di Israele per rimpiazzare la rete della distribuzione del cibo che da molti anni era formata da circa 200 ong presenti nella Striscia. Lo scopo annunciato di questa decisione era sottrarre la gestione degli aiuti umanitari ad Hamas, che controlla ogni aspetto della vita dei palestinesi a Gaza.
La Ghf ha stravolto il sistema precedente. Dove c’erano circa 400 punti di distribuzione, sparpagliati in tutta la Striscia di Gaza, adesso ci sono soltanto quattro grandi siti chiamati Sds, ossia “Secure distribution sites”, siti di distribuzione sicuri. Tre sono a sud, nelle zone di Rafah e Khan Yunis, e uno è a Netzarim, nel centro della Striscia. Non ci sono siti di distribuzione nel nord della Striscia perché l’esercito israeliano vuole lo svuotamento forzato di quell’area, dove fino a maggio c’erano centinaia di migliaia di persone.

Palestinesi con il cibo consegnato dalla Gaza Humanitarian Foundation a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, 27 maggio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Secondo fonti palestinesi, dal 27 maggio al 20 giugno le truppe israeliane hanno ucciso più di 300 persone vicino ai nuovi siti di distribuzione. C’è stata una serie di massacri grandi e piccoli, a volte così ravvicinati tra loro che nelle notizie era difficile capire se si stesse parlando di due stragi distinte oppure della stessa. A giugno sono più i giorni in cui i soldati israeliani hanno ucciso palestinesi vicino ai siti della Ghf che i giorni in cui le cose sono andate lisce. Le uccisioni stanno ancora andando avanti.
«Sono andato al centro di distribuzione tre volte, il 31 maggio, il 15 giugno e il 19 giugno, e ogni volta ho visto la morte negli occhi. Ho visto con i miei occhi un carro armato israeliano sparare con la mitragliatrice. Sono riuscito a procurarmi del cibo due volte con grande difficoltà, ma la terza volta non ho trovato nulla a causa dell’enorme numero di persone e della stanchezza che sentivo», dice al Post Malik Raida, un palestinese di 17 anni che prima della guerra studiava e vendeva bibite. Dice di aver visto ogni volta corpi a terra, tra i 5 e i 15.
L’esercito israeliano dice di avere sparato in aria la maggioranza delle volte per tenere lontana la folla, oppure sostiene che servano indagini ulteriori per capire che cosa sia successo in ogni singolo episodio. I testimoni palestinesi raccontano una versione diversa: spari ad altezza uomo e in alcuni casi anche cannonate dai carri armati. Un servizio dell’emittente statunitense CNN, che ha raccolto alcuni video girati vicino al centro di distribuzione del cibo di Rafah durante una strage, sostiene che dall’analisi dei suoni e dalle foto dei proiettili le armi che sparavano erano armi israeliane.
Prendiamo come campione i primi dieci giorni di giugno. Secondo le fonti palestinesi ci sono stati 32 morti il primo giugno, 3 morti il 2 giugno, 27 morti il 3 giugno, il 4 giugno i siti della distribuzione hanno chiuso, il 5 sono rimasti chiusi, il 6 hanno riaperto e ci sono stati 6 morti, il 7 giugno 13 morti, cinque morti l’8 giugno, 14 morti il 9 giugno e 36 morti il 10 giugno. Il giorno peggiore per ora è stato il 17 giugno, con 59 morti.
Le testimonianze raccolte dai media internazionali in questo mese confermano le uccisioni di civili palestinesi che si riuniscono a migliaia per fare la coda ed entrare nei siti di distribuzione.
Ci sono un paio di procedure imposte dalla Ghf e dall’esercito israeliano che potrebbero spiegare perché avvengono queste stragi. Una è che nei siti di distribuzione il cibo è distribuito secondo la regola “il primo che arriva è il primo a essere servito” (un’espressione nota nella sua versione inglese “first come first served”). I palestinesi in coda hanno accesso a un percorso tra i reticolati e poi a uno spiazzo dove sono disposti i cartoni di cibo che possono portare via. Chi si mette in coda per primo all’inizio del percorso obbligato arriva per primo agli aiuti. Questo vuol dire che fin dalla notte si creano assembramenti da migliaia di persone nei paraggi di ciascun sito, che attendono l’apertura mattutina alle sei. «Stiamo in piedi senza dormire, camminiamo tutta la notte», racconta Raida.
La seconda procedura riguarda la posizione dei soldati israeliani dentro la Striscia. Ogni unità ha una sua zona di combattimento assegnata, dove i civili non possono entrare e quelli che sono già dentro devono evacuare. Il quotidiano israeliano Haaretz spiegava nel 2024 che per proteggere l’area assegnata, ogni unità dentro Gaza può creare delle cosiddette «kill zone». Può essere un vicolo, uno spiazzo, lo spazio davanti a un portone. I soldati hanno l’ordine di trattare chiunque entri in una kill zone come un potenziale nemico che dev’essere abbattuto.
Le kill zone sono sparse a macchia di leopardo e non possono essere conosciute dai palestinesi, che al ventesimo mese di guerra sanno che non devono avvicinarsi alle truppe israeliane ma non conoscono le linee invisibili che delimitano le postazioni. La presenza di migliaia di persone in movimento, spesso di notte, in aree dove ci sono singoli edifici occupati da soldati israeliani e ciascuno dei soldati è pronto a sparare se qualche palestinese si avvicina troppo, è una ricetta per falsi allarmi, sparatorie e uccisioni di civili in massa.
In sintesi: la Ghf ha creato quattro mega centri di distribuzione che attirano palestinesi da ogni punto della Striscia e li concentrano vicino a postazioni militari dove i soldati possono scegliere di sparare oppure di non sparare, ma spesso sparano a chiunque si avvicini. Ci sono passaggi, grandi strade e rotatorie indicate come sicure dall’esercito israeliano, ma nel caos di Gaza il sistema non sta funzionando. Quasi ogni giorno i soldati uccidono persone. La morte di civili così ripetuta durante una distribuzione di viveri dovrebbe portare a una immediata revisione delle procedure, ma non è così: il giorno dopo ogni strage le cose ricominciano uguali.

Una scatola di cibo consegnata dalla Gaza Humanitarian Foundation a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, 29 maggio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Hamas ha chiesto alla popolazione di Gaza di non andare nei centri di distribuzione della Ghf, ma senza successo. Il 12 giugno la Ghf ha detto che dodici suoi dipendenti palestinesi a bordo di un piccolo bus sono stati rapiti, picchiati e uccisi da Hamas, che però sostiene si trattasse di palestinesi filoisraeliani e armati.
Malik Raida dice di avere visto anche la milizia di Yasser Abu Shabab, il gruppo di palestinesi armato da Israele che dovrebbe sottrarre a Hamas il controllo del territorio nel sud della Striscia. Descrive gli uomini della milizia come una banda di estorsori. «A novembre c’è stata una carestia e gli aiuti sono stati rubati a est di Rafah da questa banda. La gente andava a comprare farina a est di Rafah, dove si trova questa banda. Mio padre ed io siamo andati lì a est di Rafah, dalla banda, per comprare farina da loro. Perseguitavano la gente lì, donne e anziani. Il prezzo di un sacco di farina era di 200 dollari e chiunque non avesse l’importo intero o volesse il sacco a un prezzo inferiore veniva picchiato e costretto a tornare indietro. L’esercito israeliano forniva loro protezione in quella zona ed era molto pericoloso».



