La ong inventata da Israele per controllare la distribuzione del cibo a Gaza
È la Gaza Humanitarian Foundation, che nei piani israeliani diventerà presto l’unica a operare nella Striscia
di Daniele Raineri

Il governo israeliano vuole assegnare entro maggio tutta la distribuzione del cibo ai palestinesi assediati dentro alla Striscia di Gaza a una sola organizzazione non governativa, la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), che è stata registrata in Svizzera l’11 febbraio di quest’anno e, come nota il Financial Times, non ha ancora presentato una lista pubblica dei suoi finanziatori.
La fondazione, che è sostenuta dal punto di vista diplomatico dagli Stati Uniti e sarebbe la sola a essere autorizzata da Israele a operare dentro Gaza, dovrebbe sostituire tutte le altre organizzazioni che fino a oggi si erano occupate di distribuire il cibo e altri generi di prima necessità, come le medicine, ai circa due milioni di palestinesi di Gaza. Sono circa duecento ong più i loro partner, e quindici agenzie delle Nazioni Unite.
Nella Striscia il passaggio dal sistema attuale alla Gaza Humanitarian Foundation vorrebbe dire due cose. La prima sarebbe una riduzione estrema dei punti di distribuzione del cibo da circa 400 come adesso, secondo un diplomatico europeo sentito dal quotidiano israeliano Haaretz, a soltanto quattro più grandi. Questi punti di distribuzione sarebbero sorvegliati da mercenari di due compagnie private – il Financial Times scrive che sono già arrivati in Israele. Ormai però sembra troppo tardi per rispettare la scadenza di maggio.
La seconda cosa è che i nuovi punti per la distribuzione del cibo della Gaza Humanitarian Foundation, chiamati Secure Distribution Sites (Sds), sarebbero nel sud della Striscia. Questo spostamento costringerebbe i palestinesi che vivono nella parte nord a lasciare le loro abitazioni e a trovare nuove sistemazioni a sud, perché non potrebbero fare tutti i giorni decine di chilometri per avere le loro razioni di cibo. Lo svuotamento programmato del nord della Striscia è uno degli obiettivi della campagna militare israeliana dentro Gaza cominciata questo mese. L’esercito ha detto che i palestinesi devono abbandonare circa metà del nord della Striscia.

Una cucina comunitaria a Khan Yunis, il 16 maggio 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
A inizio maggio l’esercito israeliano aveva parlato della possibilità di concentrare la distribuzione di viveri fatta dalle ong in alcuni grandi punti e di fare controlli biometrici – come il riconoscimento facciale, ma anche altri – per identificare i palestinesi ai cancelli d’ingresso. Le agenzie delle Nazioni Unite avevano rifiutato. Il portavoce dell’Unicef, James Elder, aveva detto che questa pratica avrebbe «consolidato ulteriormente gli sfollamenti forzati per scopi politici e militari e gli aiuti umanitari non dovrebbero mai essere usati come merce di scambio».
Adesso la creazione dei nuovi punti affidati alla Gaza Humanitarian Foundation assomiglia alla proposta di inizio maggio: grandi siti di distribuzione che riorganizzano la vita nella Striscia di Gaza in coordinamento con l’esercito israeliano.
Questo passaggio dal sistema di ong multiple e conosciute alla singola Gaza Humanitarian Foundation nel sud della Striscia potrebbe essere la prosecuzione dell’uso del cibo come arma contro i palestinesi di Gaza cominciato il 2 marzo per decisione del governo di Benjamin Netanyahu con il blocco totale degli arrivi dall’esterno di cibo, medicinali e carburante.
Il 19 maggio, dopo dieci settimane di blocco, Netanyahu ha annunciato che Israele permetterà il passaggio di una quantità minima di cibo e medicinali perché, ha detto, «non possiamo arrivare al punto delle morti per fame, per ragioni pratiche e diplomatiche». Una crisi per fame a Gaza «metterebbe a repentaglio il proseguimento dell’operazione per sconfiggere Hamas», ha aggiunto.
Netanyahu ha preso questa decisione senza sottoporla al voto dei suoi ministri, che è una mossa legale ma non comune. Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, che rappresenta l’ultradestra e i coloni in Cisgiordania, ha criticato la fine (più che altro formale per adesso) del blocco di cibo, medicinali e carburante e ha detto che «il primo ministro sta commettendo un grave errore con questa mossa, che non ha nemmeno la maggioranza. Dobbiamo schiacciare Hamas e non dargli ossigeno allo stesso tempo».
Il sito di notizie Axios è riuscito a vedere per primo una presentazione in poche pagine di che cosa è la Gaza Humanitarian Foundation, ma non è ancora ufficiale. Nella presentazione c’è scritto che la Gaza Humanitarian Foundation dovrebbe distribuire viveri, kit igienici, coperte e altro materiale di prima necessità a un milione e duecentomila palestinesi in una fase iniziale e poi salire presto a due milioni.
Il direttore sarebbe Jake Wood, un ex marine americano che ha fondato Team Rubicon, una ong specializzata in soccorsi nelle aree colpite da catastrofi. Tra i consulenti dell’organizzazione, secondo la presentazione, ci dovrebbe essere David Beasley, ex direttore del Programma alimentare mondiale, la grande agenzia di assistenza umanitaria delle Nazioni Unite; nel consiglio d’amministrazione ci dovrebbe essere Nate Mook, ex direttore di World Central Kitchen, una ong che distribuisce pasti nelle zone di crisi. Mook ha smentito. Nell’aprile del 2024 i droni israeliani hanno bombardato tre veicoli della World Central Kitchen a Gaza uccidendo sette volontari della ong.
Il Financial Times scrive che anche l’ex primo ministro britannico Tony Blair è stato contattato dalla Fondazione per una richiesta di consigli informali, ma ha smentito il suo coinvolgimento nel progetto.