Su Israele e Palestina, la Spagna è diversa
È il paese d'Europa con le posizioni più critiche nei confronti di Israele e più solidali con i palestinesi, per ragioni storiche e culturali
di Eugenio Cau

Nell’ultimo anno e mezzo, parlando della politica estera del suo paese, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha usato in più di una occasione una frase forte: «Siamo dal lato giusto della storia».
Da quando è cominciata la guerra nella Striscia di Gaza, la Spagna è il paese occidentale che ha mantenuto la posizione più critica nei confronti di Israele e più solidale verso la causa palestinese. Per mesi il governo spagnolo di Sánchez (centrosinistra) è rimasto abbastanza isolato in queste posizioni, ma nelle ultime settimane le cose sono cambiate, e la Spagna si è trovata a fare da precursore quando più o meno tutti i governi occidentali hanno adottato posizioni più dure contro Israele.
Negli ultimi mesi il governo spagnolo ha riconosciuto lo stato palestinese (assieme a Irlanda e Norvegia) e sostenuto la causa per genocidio contro Israele presso la Corte penale internazionale. Ha recentemente annunciato l’interruzione di tutti i commerci di armi con lo stato israeliano (benché al momento ci siano ancora contratti attivi e discrepanze), e Sánchez ha detto che il suo paese non fa affari con uno «stato genocidario»: è stata la prima e unica volta che un leader occidentale ha accusato Israele di genocidio per quello che sta accadendo a Gaza.
Soprattutto, la Spagna ha messo in atto un’intensa attività diplomatica per cercare di isolare Israele, spingerlo a un cessate il fuoco e convincere l’Unione Europea a espandere le sanzioni contro le persone israeliane maggiormente responsabili dei massacri e dei gravi crimini commessi a Gaza. La scorsa settimana il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, ha riunito il cosiddetto Gruppo Madrid+, formato da vari paesi europei e mediorientali che hanno l’obiettivo di raggiungere la pace in Medio Oriente e di fare pressioni su Israele tramite sanzioni economiche.
«In questo momento la Spagna si trova alla guida sia delle iniziative per la protezione dei palestinesi sia del movimento più critico nei confronti di Israele, e sta esercitando una certa influenza anche su altri paesi», dice Diego López Garrido, ex deputato Socialista e viceministro per l’Unione Europea. Questa posizione della Spagna dipende dalla storia del paese, sempre molto vicina alla causa palestinese, e dall’attivismo della sua opinione pubblica e della sua classe politica.
Durante gli anni della dittatura di Francisco Franco (1939-1975), la Spagna mantenne rapporti molto buoni con il mondo arabo, mentre evitò ogni relazione con il giovane stato di Israele. Anche dopo la transizione democratica degli anni Settanta-Ottanta, ebbe sempre un trattamento preferenziale per i leader palestinesi.
Nel 1979 Adolfo Suárez, il primo leader spagnolo democraticamente eletto, divenne il primo capo di governo occidentale a ricevere Yasser Arafat, al tempo capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp, che era la principale organizzazione armata palestinese). Arafat si presentò alla Moncloa, il palazzo del governo spagnolo, armato di pistola. Era parte del suo abbigliamento abituale: nel 1982 fece lo stesso quando fu accolto alla Camera italiana, a Montecitorio.

Una manifestazione per la Palestina a Madrid, febbraio 2024 (David Canales/SOPA Images via ZUMA Press Wire)
Fu soltanto nel 1986 che la Spagna stabilì relazioni diplomatiche ufficiali con Israele, nell’ambito di un più ampio miglioramento delle sue relazioni internazionali in preparazione all’ingresso nell’allora Comunità europea. Da allora la Spagna ha sempre tentato di avere un ruolo attivo e da protagonista nella questione israelo-palestinese. Tra le altre cose nel 1991 ospitò la Conferenza di Madrid, cioè un negoziato di pace tra israeliani e palestinesi che precedette i più importanti negoziati di Oslo.
«La questione israelo-palestinese pesa molto nella politica estera spagnola, benché il paese non abbia interessi forti nella regione. Anche le relazioni economiche sono relativamente modeste», dice Isaías Barreñada Bajo, docente di Relazioni Internazionali ed esperto di Medio Oriente all’Università Complutense di Madrid.
Lo si vede anche dai sondaggi, secondo cui l’opinione pubblica spagnola è la più filopalestinese d’Europa, assieme alla italiana, oltre che estremamente attiva e mobilitata e capace di influenzare concretamente la politica (al contrario di quella italiana).
La politica estera spagnola attribuisce un’importanza al diritto internazionale e al rispetto dei diritti umani superiore a quella di moltissimi altri paesi del mondo: è una specificità spagnola, legata alla storia nazionale. «Guardiamo alla nostra storia nel Ventesimo secolo: dopo essere stati oppressi per decenni da una dittatura, gli spagnoli hanno sviluppato un consenso popolare molto forte per il rispetto dei diritti umani e per la solidarietà nei confronti dei popoli oppressi», dice José Vericat, ricercatore del centro studi Real Instituto Elcano ed esperto di Medio Oriente e Nord Africa.
Nel caso della questione israelo-palestinese, l’idea è che Israele stia violando (sistematicamente e da decenni) il diritto internazionale con l’occupazione militare dei territori palestinesi. Durante la guerra a Gaza, inoltre, Israele ha commesso gravi crimini di guerra e contro l’umanità. La Spagna sostiene quindi che sia necessario intervenire facendo pressioni su Israele per difendere un ordine internazionale basato sul diritto.
Questa politica della Spagna ha sempre provocato reazioni dure in Israele. Di recente i due paesi sono andati vicini a una crisi diplomatica, e di frequente politici e diplomatici israeliani accusano la Spagna di antisemitismo.
Non è nemmeno una novità: negli anni Duemila fecero molto discutere delle dichiarazioni dell’allora ambasciatore israeliano in Spagna, Raphael Schutz, che disse di aver vissuto «sulla propria pelle l’odio e l’antisemitismo che esistono nella società spagnola». Non ci sono però particolari prove che in Spagna l’antisemitismo sia più forte che in altri paesi europei benché, come nel resto d’Europa, sia in crescita. Il numero medio di attacchi antisemiti non è però più elevato che negli altri paesi, e anzi è in molti casi inferiore.