Una sentenza importante per le coppie di donne che hanno figli concepiti all’estero

La Corte costituzionale dice che è illegittimo non riconoscere come genitrice la madre non biologica

(Vincenzo Nuzzolese/SOPA Images via ZUMA Press Wire/ANSA)
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Giovedì la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il fatto che in Italia non venga automaticamente riconosciuta come madre, in una coppia di donne con figli, la donna delle due che non ha partorito. La sentenza riguarda le moltissime coppie di donne che per via dei divieti della legge italiana hanno figli con un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) fatto all’estero, per poi chiedere il riconoscimento del figlio in Italia. La PMA include tutte le tecniche che permettono di avere figli a chi non può farlo in maniera autonoma, e in Italia sono accessibili solo alle coppie eterosessuali.

Secondo la Corte, il mancato riconoscimento della madre non biologica lede i diritti anzitutto di chi nasce: in particolare la sua identità personale, il suo diritto di vedersi riconosciuto fin da subito uno status giuridico, quello di figlio o figlia, che sia certo e stabile, e soprattutto di godere dei diritti connessi alla responsabilità genitoriale di chi l’ha fatto o fatta nascere.

La sentenza della Corte costituzionale è molto importante: siccome in Italia l’accesso alla procreazione medicalmente assistita è permesso solo alle coppie eterosessuali (sposate o conviventi) dalla legge 40 del 2004, le coppie dello stesso sesso così come le donne single ricorrono a queste tecniche andando all’estero. Poi tornano in Italia e chiedono di registrare all’anagrafe i propri figli e le proprie figlie, in modo che il loro nucleo familiare risulti giuridicamente riconosciuto nel paese in cui vivono.

Dal momento però che la legge italiana non prevede che le coppie dello stesso sesso possano avere e crescere dei figli, non è regolamentato nemmeno il riconoscimento del legame genitoriale: negli ultimi anni questo ha creato un grosso vuoto di tutele anzitutto per i figli e le figlie. In questi casi in Italia, soprattutto negli ultimi anni, l’unico genitore riconosciuto è stato quello biologico, mentre l’altro è considerato un estraneo, anche se ha firmato il consenso informato per far nascere quel bambino o quella bambina, assumendosene tutte le relative responsabilità.

Significa, concretamente, che finora le mamme non biologiche potevano aver bisogno di una delega per poter andare a prendere i figli a scuola o in altre situazioni: firmare un permesso per una gita scolastica, un modulo per fare un vaccino, o magari iscriverlo in piscina, ma anche fare un viaggio insieme, almeno fino a quando non si ottenga una qualche forma di riconoscimento, cosa che può richiedere anni.

Finora, infatti, il principale mezzo per veder riconosciuto il legame genitoriale e ottenere il riconoscimento è stato chiedere l’adozione del proprio figlio, con tempi molto lunghi. È la cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione permessa in casi particolari al genitore non biologico: un percorso che può richiedere anni, con un grosso costo sia economico che psicologico.

La sentenza di giovedì è stata emessa a seguito di un caso seguito dall’associazione Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI, che ha seguito la coppia di donne il cui caso è finito alla Corte. Nella sentenza i giudici hanno scritto che non riconoscere come genitrice la madre non biologica non è nell’interesse del minore, un principio giuridico fondamentale nel diritto sia nazionale che internazionale, che significa, semplificando molto, che nell’adozione di qualsiasi provvedimento che incida sulla condizione di un minore o di una minore il suo interesse sia considerato determinante.

Fino a qualche anno fa il riconoscimento del legame tra madre non biologica e la persona nata avveniva in maniera più semplice e diretta, anche senza la stepchild adoption: le due donne chiedevano all’ufficio di stato civile del proprio comune di residenza, dopo la nascita del bambino o della bambina, di formulare il certificato di nascita inserendo i nomi di entrambe le madri, e la richiesta veniva molto spesso accettata. È il periodo ricordato come la cosiddetta “primavera dei sindaci”, intorno al 2018, in cui molti sindaci usarono i propri poteri per permettere il riconoscimento anche in assenza di una legge.

Negli ultimi anni, anche a seguito di alcune sentenze della Corte di Cassazione e più recentemente per volontà espressa del governo, sempre più amministrazioni locali avevano smesso di riconoscere i figli di coppie omosessuali.

Anche se l’interruzione di questa pratica ha riguardato di fatto molte coppie di donne, al centro delle sentenze e degli indicazioni del governo che l’hanno provocata c’era soprattutto la volontà di contrastare il modo in cui hanno figli soprattutto le coppie di uomini: con la gestazione per altri, la tecnica di fecondazione assistita che prevede che una donna porti avanti una gravidanza per conto di altre persone. In Italia e non solo questa pratica è fortemente contestata (recentemente il governo di Giorgia Meloni l’ha resa penalmente perseguibile anche se praticata all’estero), e quindi ostacolata in ogni modo.

È il motivo per cui la sentenza della Corte costituzionale di giovedì riguarderà solo i figli di due madri: nel loro caso è molto più frequente che si faccia ricorso solo alla donazione di gameti maschili, dato che la gravidanza può essere portata avanti da una delle due donne.

– Leggi anche: Che cos’è “nell’interesse del minore”?