Ora pure i Laburisti vogliono «riprendere il controllo» dei confini
Il primo ministro britannico Keir Starmer ha presentato un piano per ridurre l'immigrazione, con una retorica e slogan identici a quelli della destra

Il primo ministro britannico Keir Starmer ha presentato un piano per ridurre l’immigrazione verso il Regno Unito che inverte l’approccio che storicamente aveva il suo Partito Laburista, di sinistra. In sintesi renderà per le persone migranti più lungo e difficile stabilirsi nel paese e ottenerne la cittadinanza. Starmer ha presentato le misure con una retorica molto dura, inedita per i Laburisti, con frasi e slogan a tratti del tutto sovrapponibili a quelli della destra: dei Conservatori, che hanno governato nei 14 anni prima di lui, e di Reform UK, il partito di Nigel Farage che dieci giorni fa ha stravinto le elezioni locali inglesi.
Lunedì Starmer ha presentato un white paper (cioè un documento programmatico) di 82 pagine, che era stato commissionato alla ministra dell’Interno, Yvette Cooper. Questo tempismo è stato letto dai media come un tentativo di rispondere ai consensi di Farage, assai aumentati dalle elezioni dell’estate scorsa, che da sempre li basa su una piattaforma xenofoba e ostile alle persone migranti.
Durante la conferenza stampa a Londra, il primo ministro ha detto che il Regno Unito rischia di diventare «un’isola di stranieri» e ha riesumato lo slogan nazionalista più famoso tra i fautori della Brexit: «Riprendere il controllo dei nostri confini» (in inglese take back control of our borders). Starmer lo ha fatto consapevolmente, appropriandosene per dire che farà quello che i Conservatori non hanno fatto. Ha accusato i governi che lo hanno preceduto – quelli che volevano trasferire i richiedenti asilo in Ruanda – di aver condotto «un esperimento di confini aperti in una sola nazione».
Con una tattica che gli è abituale, il primo ministro non ha dato numeri precisi. Non ha detto cioè di quante decine o centinaia di migliaia di persone il suo governo voglia ridurre i flussi d’ingresso nel paese, ma ha sostenuto che avverrà in «modo significativo» (significantly). Peraltro queste misure si concentrano sull’immigrazione legale, cioè sulle persone che arrivano con un permesso lavorativo o di soggiorno, che è molto aumentata negli anni successivi a Brexit (è calata quella dai paesi dell’Unione Europea, è cresciuta quella dal resto del mondo).

Keir Starmer presenta i provvedimenti del governo a Downing Street, la sede del primo ministro, il 12 maggio (EPA/TOLGA AKMEN)
L’immigrazione netta nel Regno Unito, cioè la differenza tra le persone che arrivano e quelle che se ne vanno, ha raggiunto a metà del 2023 i massimi annuali storici: 906mila persone. Starmer, in modo un po’ impreciso, ha detto che è «circa la popolazione di Birmingham», la seconda città dell’Inghilterra, che invece è di 1,2 milioni. Il dato dell’anno successivo, a metà del 2024, è stato più basso (728mila persone) e i funzionari britannici si aspettano che si stabilizzi, dimezzandosi nei prossimi anni anche per effetto delle restrizioni già introdotte dai Conservatori.
Nella pratica le misure del governo raddoppieranno, da cinque a dieci anni, il periodo di tempo necessario prima di poter chiedere un permesso di soggiorno permanente nel Regno Unito, cioè il presupposto per poi ottenere la cittadinanza (in Italia sono già dieci anni). Inoltre verranno inaspriti i requisiti linguistici, e sarà reso per la prima volta obbligatorio un test di conoscenza dell’inglese anche per i familiari o le persone a carico che accompagnano le persone migranti.
Ci saranno nuove limitazioni per impedire che persone con una laurea o mansioni specialistiche possano ottenere un posto di lavoro non qualificato: è controintuitivo, ma l’obiettivo è proprio impedire che arrivino (visto che è più difficile che ottengano subito, o mentre sono ancora all’estero, una posizione in linea coi loro studi). Infine, verranno ridimensionati i poteri con cui la magistratura può opporsi e fermare le espulsioni.
Nel post Starmer dice che «Se vuoi vivere nel Regno Unito, dovresti parlare l’inglese. È buon senso»
In questi mesi il governo di Starmer aveva mantenuto una sostanziale continuità con le politiche migratorie dei Conservatori, con l’eccezione del piano per i trasferimenti in Ruanda abrogato nei primi giorni di mandato, tanto da voler prendere a modello l’approccio di Giorgia Meloni. I giornali britannici hanno paragonato il suo frasario di lunedì a quello di Farage e non è un caso che né il leader di Reform UK né quella dei conservatori, Kemi Badenoch, abbiano contestato le nuove misure, concentrando invece le loro critiche sulla tesi che i Laburisti non abbiano la credibilità politica per realizzarle.
Il Guardian ha scritto che il piano di Starmer mette in crisi uno dei principi centrali delle politiche economiche dei Laburisti da decenni: cioè che l’immigrazione sia nel complesso una cosa buona perché aiuta l’economia a crescere. «Con la sua insistenza che i lavoratori stranieri debbano imparare “la nostra lingua” Keir Starmer sembra aver adottato elementi del linguaggio populista che un tempo era associato a Nigel Farage». Tra le altre cose, Starmer ha detto anche che le persone straniere devono «guadagnarsi il diritto a restare».
– Leggi anche: Reform UK sta rompendo il bipartitismo britannico