• Mondo
  • Giovedì 24 aprile 2025

L’Unione Europea sta provando a fare tanti nuovi accordi commerciali

In reazione ai dazi di Trump, e nonostante le storiche resistenze di alcuni paesi

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il commissario europeo per il Commercio e la Sicurezza economica, Maros Sefcovic, a Bruxelles (AP Photo/Omar Havana)
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il commissario europeo per il Commercio e la Sicurezza economica, Maros Sefcovic, a Bruxelles (AP Photo/Omar Havana)
Caricamento player

Da settimane l’Unione Europea sta cercando di negoziare accordi commerciali di libero scambio con un numero crescente di paesi, per tutelarsi dai molti dazi annunciati (e poi parzialmente sospesi) dagli Stati Uniti del presidente Donald Trump ma anche per provare ad approfittare della confusione che questi dazi hanno creato. Una maggiore apertura al libero scambio oggi trova sostegno da praticamente tutti i governi del mondo: non solo quelli storicamente favorevoli al commercio internazionale, come la Germania, ma anche da quelli in passato più protezionisti come la Francia.

L’Unione Europea è anche un’unione doganale, e quindi tutti gli accordi commerciali che riguardano i suoi paesi devono essere negoziati congiuntamente: vuol dire per esempio che l’Italia non può fare autonomamente un accordo con un altro paese, ma deve seguire quelli decisi dall’Unione. Le trattative sono gestite dalla Commissione Europea e in particolare da due persone: la presidente Ursula von der Leyen e il commissario per il Commercio e la Sicurezza economica, Maros Sefcovic.

Al momento l’Unione Europea ha accordi di libero scambio con oltre 70 paesi: nelle ultime settimane von der Leyen e Sefcovic hanno trattato con diversi governi per provare a farne di nuovi. A metà aprile per esempio hanno iniziato a parlare con gli Emirati Arabi Uniti, per approvare un accordo bilaterale di cui si sa ancora molto poco. A gennaio, subito dopo l’elezione di Trump, l’Unione ha riavviato il dialogo anche con la Malaysia, che esporta soprattutto componenti elettronici e olio di palma.

L’Unione sta parlando anche con Canada e Messico: ha già degli accordi con entrambi, che ora vorrebbe ampliare e adattare al nuovo contesto. Quello con il Messico, in particolare, dovrebbe favorire le esportazioni europee di prodotti alimentari, automobili e componenti. A fine febbraio von der Leyen ha incontrato anche il primo ministro indiano Narendra Modi: ha detto che l’Unione spera di concludere un accordo di libero scambio con l’India entro la fine dell’anno, anche se «non sarà facile».

Il processo di approvazione degli accordi commerciali è infatti lungo e complesso: devono essere approvati dal Parlamento Europeo, dal Consiglio dell’Unione e, in alcuni casi, ratificati dai vari stati membri. Molti di questi negoziati sono iniziati da relativamente poco, e ci vorrà del tempo perché si chiuda un accordo.

Un dipendente tra bobine di acciaio in una fabbrica della Thyssenkrupp a Duisburg, in Germania (Sean Gallup/Getty Images)

Trump ha imposto dazi del 20 per cento su tutte le importazioni dall’Unione Europea. Li ha poi ridotti al 10 per cento fino al prossimo luglio. A questi si aggiungono aliquote specifiche per alcune tipologie di merci, per esempio il 25 per cento su tutte le importazioni di acciaio e alluminio. A inizio aprile la Commissione Europea aveva risposto introducendo dazi del 25 per cento su molti prodotti statunitensi, ma li ha poi ritirati dopo la sospensione annunciata da Trump. Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale dell’Unione, ma l’incertezza e la volatilità della situazione hanno messo in dubbio la loro affidabilità.

Gli approcci diversi tra i paesi dell’Unione su come fare gli accordi commerciali erano emersi chiaramente durante i lunghi negoziati con il Mercosur per un importante accordo di libero scambio (il Mercosur è il mercato comune sudamericano di cui sono membri Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia). La Francia si era sempre detta contraria, temendo che avrebbe finito per favorire i paesi sudamericani molto più di quelli europei, e quindi per danneggiare la sua economia. Altri paesi, tra cui la Germania, erano invece favorevoli.

Nonostante si sia trovata un’intesa di massima tra le parti, il testo dell’accordo deve ancora essere approvato dal Parlamento e dal Consiglio, dove potrebbero emergere di nuovo posizioni diverse.

Al di là di queste differenze interne, l’Unione Europea sta cercando di approfittare della volatilità delle politiche commerciali statunitensi per presentarsi come un partner alternativo solido e affidabile, con cui è vantaggioso fare accordi. Von der Leyen e Sefcovic si stanno dando da fare per promuovere questa prospettiva, ripetendo in varie interviste che c’è un «enorme interesse» nel fare affari con l’Unione Europea.

L’Unione è anche aperta alla possibilità di trovare accordi favorevoli con gli Stati Uniti, per evitare l’imposizione dei dazi o perlomeno limitarne la portata. La scorsa settimana, durante un incontro con la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, Trump aveva detto di essere «certo al 100 per cento» che verrà trovato un qualche accordo. Non ha dato però altri dettagli, ed è ormai noto che le sue parole vanno prese con molta cautela, diciamo: possono essere smentite in ogni momento.

Stati Uniti e Unione Europea hanno la più grande relazione commerciale al mondo, ma tra loro non esiste alcun accordo commerciale complessivo. Ci sono solo tanti accordi singoli che hanno l’obiettivo di armonizzare normative e procedure in settori specifici, e in passato c’è stato un tentativo di accordo di libero scambio generalizzato: il TTIP, che sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership. I negoziati cominciarono nel 2013, ma lo scetticismo delle opinioni pubbliche sia statunitense che dei paesi europei, insieme all’arrivo della prima amministrazione Trump, le fecero fallire e chiudere nel 2019.