Trump ha imposto nuovi dazi su acciaio e alluminio

Saranno del 25 per cento e da marzo si applicheranno a qualsiasi paese, con l'obiettivo poco realistico di risollevare l'industria pesante statunitense

Un operaio in un'acciaieria (AP Photo/Markus Schreiber)
Un operaio in un'acciaieria (AP Photo/Markus Schreiber)
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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio: saranno del 25 per cento e varranno per qualsiasi paese. La Casa Bianca ha fatto sapere che i dazi entreranno in vigore il 12 marzo. La misura è pensata per favorire la produzione statunitense, rendendo più svantaggioso comprare questi materiali dall’estero. Da tempo però il settore metallurgico degli Stati Uniti è in crisi, e non è detto che nella situazione attuale riesca a soddisfare un eventuale aumento della domanda.

Nelle ultime settimane l’amministrazione Trump ha già imposto dazi del 10 per cento su tutte le merci cinesi, ed è prevista per inizio marzo l’introduzione di quelli verso tutti i prodotti provenienti da Canada e Messico. I dazi su acciaio e alluminio sono però molto diversi. Quelli contro Canada, Messico e Cina hanno l’obiettivo dichiarato di danneggiare i paesi colpiti, o di creare una leva in più per ottenere qualcosa nelle negoziazioni internazionali su vari temi. Quelli sull’acciaio e sull’alluminio invece dovrebbero servire a proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza straniera: seguono una teoria economica, sebbene con evidenti controindicazioni.

I dazi funzionano come imposta sulle importazioni di prodotti dall’estero: semplificando un po’, rendono la merce più costosa per gli acquirenti statunitensi e penalizzano le aziende straniere che le vendono.

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Acciaio e alluminio sono due materie prime fondamentali per le industrie e necessarie a produrre moltissimi beni, dagli elettrodomestici alle auto, dai tubi alle lattine. Gli Stati Uniti ne sono perlopiù importatori: secondo l’American Iron and Steel Institute, l’associazione nazionale di categoria dei produttori di ferro e acciaio, nel 2024 il maggiore fornitore di acciaio agli Stati Uniti è stato il Canada, seguito da Brasile, Messico, Corea del Sud e Vietnam; il Canada è anche di gran lunga il primo fornitore di alluminio per gli Stati Uniti, seguito da Emirati Arabi Uniti, Russia e Cina.

A livello globale, il più grande produttore di acciaio e alluminio è di gran lunga la Cina. Sebbene gli Stati Uniti non importino direttamente dalla Cina grosse quantità dei due materiali – sui quali già da tempo sono peraltro in vigore dei dazi – i grandi flussi di acciaio e alluminio cinesi a basso prezzo hanno fatto scendere i prezzi dell’intero mercato, riducendo i margini delle acciaierie tradizionali e di quelle degli Stati Uniti.

Come detto, i dazi dovrebbero servire a favorire la produzione statunitense di metallo e alluminio, che però da tempo è in calo con grosse conseguenze sociali e occupazionali soprattutto in quelle zone la cui economia dipendeva dall’industria pesante. È possibile che, almeno nel breve termine, le aziende statunitensi continueranno a comprare acciaio e alluminio dall’estero sopportandone il sovrapprezzo, in attesa che la produzione locale riesca ad aumentare e a tenere il passo del fabbisogno nazionale. Significa che il costo di produrre beni con acciaio e alluminio potrebbe aumentare, col risultato che saliranno anche i prezzi finali per i consumatori.

Un lavoratore di un’acciaieria durante una manifestazione, a settembre 2024 (AP Photo/Gene J. Puskar)

La crisi del settore non è nuova, anzi: da tempo si parla del declino del Midwest e di quella che era la Steel Belt, la “cintura dell’acciaio”, che oggi viene chiamata Rust Belt, la “cintura arrugginita”, un soprannome poco lusinghiero dovuto proprio alla progressiva chiusura di moltissime fabbriche e centri di produzione industriale.

Un esempio concreto delle difficoltà del settore metallurgico statunitense è la crisi della U.S. Steel, storica acciaieria con sede a Pittsburgh, in Pennsylvania, che dà lavoro a 4mila persone nella sola sede generale e a 18mila nel resto del paese. L’azienda è in difficoltà da tempo, e a fine 2023 era diventata oggetto di interesse della giapponese Nippon Steel, la quarta più grande azienda del settore a livello mondiale: intendeva comprarla per 15 miliardi di dollari, ma a gennaio, poco prima della fine del suo mandato, l’ex presidente Joe Biden bloccò l’acquisizione adducendo motivazioni di «sicurezza nazionale». Trump si era detto d’accordo sulla necessità di fermare l’accordo, e domenica ha detto che i dazi sull’acciaio potranno aiutare la stessa U.S. Steel a tornare competitiva.

La decisione di Trump non è del tutto nuova: già durante il suo primo mandato, tra il 2017 e il 2021, aveva imposto dazi su acciaio e alluminio in arrivo dall’estero, suscitando critiche e ritorsioni da parte dei maggiori partner commerciali come Messico, Canada e Unione Europea. Alla fine Trump aveva eliminato quelli su Canada e Messico, e la successiva amministrazione Biden fece accordi con vari governi per introdurre delle esenzioni. Per la maggior parte dei paesi, però, i dazi statunitensi sull’acciaio e sull’alluminio sono ancora in vigore.

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