Le molte e dure obiezioni di Mattarella alla “legge Morandi”
È la terza volta che il presidente della Repubblica promulga una legge con una lettera di richiamo a governo e parlamento

Martedì il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la cosiddetta “legge Morandi”, com’è stata soprannominata la legge che riconosce benefici alle vittime dei crolli di infrastrutture stradali o autostradali. È una legge promossa dalla Lega e sostenuta da un po’ tutti i partiti proprio pensando al crollo del ponte Morandi di Genova, avvenuto nell’agosto del 2018. Nel promulgarla, però, Mattarella ha inviato una lettera ai presidenti di Camera e Senato e alla presidente del Consiglio, segnalando alcuni passaggi della legge «che non appaiono in linea con principi e norme della Costituzione».
In particolare, le obiezioni di Mattarella riguardano principalmente due aspetti della legge. Il primo è il fatto che limiti i risarcimenti ai soli casi di cedimenti stradali (e non, quindi, al crollo di una scuola o di un ospedale) e di infrastrutture di rilievo nazionale (e non, per esempio, nel caso di un viadotto gestito da un ente provinciale). Il secondo è che la legge sembra riconoscere un trattamento meno favorevole ai figli di vittime che erano legate da unioni civili o da rapporti di convivenza rispetto ai figli di vittime coniugate, e in questo senso sarebbe dunque discriminatoria (ci torniamo).
Il presidente della Repubblica ha il dovere di promulgare le leggi, cioè di convalidarne l’approvazione fatta da Camera e Senato e di consentirne l’entrata in vigore definitiva, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Deve farlo entro un mese dal voto finale del parlamento, e dopo aver constatato che il provvedimento non sia in palese contraddizione con la Costituzione, di cui il presidente è garante. In caso contrario, può rinviare alle camere la legge: ma qualora queste la approvassero di nuovo, non potrebbe più opporsi.
In questo caso Mattarella ha optato per una via di mezzo. Ha promulgato la legge, ma ne ha evidenziato gli elementi che secondo lui sono in contrasto con la Costituzione, invitando pertanto il parlamento e il governo «a valutare interventi integrativi e correttivi», cioè a fare quanto prima una nuova norma che risolva queste storture. Il motivo per cui ha promulgato la legge pur ritenendola scritta male è che se non l’avesse fatto avrebbe ritardato il riconoscimento del diritto ai risarcimenti per le famiglie dei morti nel crollo del ponte Morandi, che da anni li attendono.
Al tempo stesso, i rilievi di possibile incostituzionalità sono stati segnalati con tale chiarezza da Mattarella che un eventuale ricorso alla Corte costituzionale avrebbe un esito piuttosto scontato: se governo e parlamento non correggono la legge nel frattempo, con ogni probabilità la Corte dichiarerebbe illegittima la legge e la farebbe decadere.
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La legge ha avuto un percorso particolare. Presentata dalla senatrice leghista Tilde Minasi, e ispirata tra gli altri dal viceministro dei Trasporti dello stesso partito, Edoardo Rixi, genovese, è stata approvata dal Senato il 21 novembre del 2024, senza grosse polemiche. Alla Camera è stata approvata il 20 marzo scorso dalla commissione Ambiente in sede legislativa: cioè con una procedura accelerata ormai piuttosto rara che consente, se tutti i partiti sono d’accordo, di approvare un provvedimento senza che questo debba essere discusso in aula. Il tutto, peraltro, senza che la commissione Ambiente modificasse nulla del testo approvato dal Senato. La ragione di questa insolita facilità ha a che vedere con la natura del provvedimento: il riconoscimento di un beneficio alle vittime di un incidente grave come il crollo del ponte Morandi, su cui tutti sono più o meno d’accordo.

Sergio Mattarella alla cerimonia commemorativa delle vittime del crollo del Ponte Morandi, a Genova, il 14 agosto 2019 (Paolo Giandotti/LaPresse)
Questo è anche il motivo per cui le grossolanità contenute nel testo non sono state contestate dalle opposizioni o segnalate dai gruppi di maggioranza. Ed è su quelle che Mattarella si è concentrato nella lettera con cui ha accompagnato la promulgazione.
Limitare i benefici previsti alle sole «vittime di eventi dannosi derivanti da cedimenti totali o parziali di infrastrutture stradali o autostradali di rilievo nazionale», esclude in modo inspiegabile il riconoscimento «di analoghi benefici nel caso di vittime di altre sedi stradali», e quindi, dice Mattarella, «contrasta con il principio di eguaglianza» sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Allo stesso modo, stride con quell’articolo anche la «decisione di limitare i benefici ai casi di cedimenti stradali».
Insomma, perché se cade un ponte «di rilievo nazionale», definizione peraltro piuttosto vaga e di difficile interpretazione, le vittime hanno diritto a quel risarcimento, e se invece viene giù un viadotto regionale o una scuola quel diritto non è garantito? «Abbiamo purtroppo registrato, in passato, vittime causate da eventi relativi a strutture di altra natura, in particolare il cedimento di scuole, primo fra tutti il caso del crollo di una scuola elementare con la morte di tanti bambini presenti nelle aule con i loro maestri», ricorda Mattarella. Il riferimento è al crollo di un solaio di una scuola di San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso, il 31 ottobre del 2002. Morirono 27 bambini di prima elementare e una maestra.
Poi Mattarella segnala i dubbi sull’articolo 2 della legge, quello che stabilisce l’ordine di priorità con cui devono essere riconosciuti i risarcimenti. Qui la legge parla di «figli, in mancanza del coniuge»: l’utilizzo della parola coniuge, che fa in teoria riferimento esclusivo a persone unite in matrimonio, potrebbe generare interpretazioni per cui i figli di persone morte che erano unite civilmente o che convivevano possano avere un trattamento diverso, e questo sarebbe di nuovo in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione. «Il testo va necessariamente interpretato nel senso che beneficiari dell’elargizione devono intendersi tutti i figli di ciascuna vittima, ivi inclusi quelli da rapporti di convivenza o di unioni civili», scrive Mattarella.
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Inoltre, nell’indicare l’ordine di priorità da seguire per dare i risarcimenti, il convivente stabile «o l’altra parte dell’unione civile» vengono messi al terzo posto dopo i figli «in mancanza del coniuge», mentre «il coniuge» è al primo. Anche questa «collocazione appare discriminatoria», prosegue Mattarella, riferendosi a varie sentenze della Corte costituzionale che hanno stabilito che ai conviventi di fatto o a due compagni uniti civilmente «vanno riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge», e dunque vanno trattati allo stesso identico modo in caso di risarcimenti come quello previsto dalla “legge Morandi”. Questa equità di trattamento va riconosciuta a prescindere che la coppia unita civilmente o convivente avesse figli minori o meno.
C’è poi un passaggio più tecnico: Mattarella segnala come la legge lasci a provvedimenti di rango secondario – come i decreti del presidente del Consiglio: i DPCM – il compito di individuare gli eventi dannosi a cui la legge potrà applicarsi e le persone che hanno diritto ai risarcimenti: ma questa lascia eccessiva discrezionalità ai singoli governi nel definire quali interventi adottare e per quali incidenti, di fatto subordinando l’applicazione effettiva di una legge primaria a un provvedimento di minore valore. È una cosa in contrasto con le indicazioni più volte date dalla Corte costituzionale.
L’approccio così restrittivo alla definizione dei casi in cui possano essere riconosciuti i risarcimenti deriva almeno in parte dai pochi soldi a disposizione. L’8 ottobre del 2024, durante l’analisi del provvedimento in corso al Senato, il ministero dell’Economia ha preteso che la legge venisse modificata per stabilire che i risarcimenti potessero essere dati solo entro certi limiti di spesa piuttosto rigidi, cioè attingendo a un fondo di 7,1 milioni per il 2025, e di 1,6 milioni dal 2026 in poi. Ma questa disposizione, pur dettata da esigenze di cassa del ministero dell’Economia, complica una corretta applicazione della legge, visto che i governi dovranno fare i conti con queste poche risorse nel selezionare a chi elargire i risarcimenti.
È la terza volta che Mattarella promulga delle leggi con una lettera di richiamo al parlamento e al governo. Era successo il 24 febbraio del 2023, con il decreto “Milleproroghe”, e il 2 gennaio 2024 con la legge sulla concorrenza: in entrambi i casi le perplessità di Mattarella riguardavano le proroghe delle concessioni balneari e del commercio ambulante, in contrasto con le norme europee, e in entrambi i casi Mattarella aveva considerato «indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e parlamento» per correggere le storture segnalate. Finora, queste iniziative non ci sono state.



