Un ex dirigente della società che gestiva il ponte Morandi ha detto che c’erano da tempo dubbi sulla sua stabilità

Lo ha riferito Gianni Mion, ex ad della holding Edizione, testimoniando al processo sul crollo del viadotto

(BAZZI/ANSA/pat)
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Lunedì a Genova, nel corso di un’udienza del processo per il crollo del viadotto Polcevera, conosciuto come ponte Morandi, che il 14 agosto del 2018 provocò la morte di 43 persone, c’è stata un’importante testimonianza da parte di Gianni Mion, uno dei principali dirigenti della società che gestiva il ponte. Ha detto che diversi anni prima del crollo tra i dirigenti erano emersi dubbi sulla stabilità del ponte, e che però erano stati di fatto ignorati.

Mion era l’amministratore delegato di Edizione, la holding finanziaria della famiglia Benetton che controllava Autostrade per l’Italia, la società che si occupava della gestione e della manutenzione del ponte (che nel 2022 è stata poi venduta a Cassa Depositi e Prestiti). Era anche membro del consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia.

Nella sua testimonianza Mion, che non è indagato, ha raccontato di una riunione del 2010 con i più importanti dirigenti della holding Edizione e delle società controllate, a cui avrebbero partecipato anche l’allora amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, il direttore generale di Autostrade, Riccardo Mollo, e Gilberto Benetton.

In quell’occasione, ha detto Mion, «emerse la specificità del progetto dell’ingegner Morandi: avevo capito che era molto originale e complicato. Io, che pure non sono tecnico, chiesi: c’è una certificazione di un agente esterno sulla percorribilità del ponte?». Nella testimonianza Mion ha detto che la stabilità del ponte venne «autocertificata», confermando quanto aveva già detto nel corso di un interrogatorio alla Guardia di Finanza nel 2021. In quell’interrogatorio, ha ricordato il pubblico ministero Walter Cotugno lunedì, Mion aveva detto che «i tecnici rivelarono che c’erano dubbi che quel ponte potesse stare su e la risposta fu “ce lo autocertifichiamo”».

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Nella deposizione di lunedì Mion ha detto che a parlare dell’autocertificazione nella riunione del 2010 fu Riccardo Mollo: «Io purtroppo non replicai, ma ero preoccupato. Cosa vuol dire autocertificarsi? È una contraddizione in termini. Non condividevo, ma non dissi niente, è un mio rammarico», ha detto Mion. Ha poi aggiunto che in quella riunione furono tutti d’accordo sull’autocertificazione: «Visto il tipo di opera, o la verifica un terzo o chiudi il ponte. Ma l’autocertificazione sembrava assurda soltanto a me, nessun altro aveva dubbi di nessun genere, erano tutti d’accordo».

A quel punto la deposizione di Mion è stata interrotta brevemente per la richiesta dell’avvocato difensore di uno dei dirigenti di Autostrade per l’Italia imputati di indagare anche Mion. I giudici hanno detto che si riserveranno di valutare la richiesta.

Il processo sul crollo del ponte Morandi era cominciato nel luglio del 2022. In totale gli imputati nel processo civile sono 59, tra dirigenti, funzionari e tecnici di Autostrade per l’Italia, ministero delle Infrastrutture e Società progettazioni edili autostradali (Spea), società incaricata del controllo e della manutenzione della rete stradale. Le accuse sono a vario titolo di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Nel processo si sono costituite 350 parti civili fra persone fisiche, associazioni, enti, aziende che chiedono il riconoscimento di un risarcimento. Autostrade per l’Italia e Spea non saranno considerate responsabili civili, quindi in caso di condanna saranno i singoli imputati a pagare i risarcimenti previsti, salvo eventuali future cause civili. Le due società avevano però già patteggiato per la responsabilità amministrativa, versando in totale circa 30 milioni di euro di risarcimento alle famiglie delle 43 vittime del crollo.