Carlo sta cercando di essere un re diverso
Più politico e più trasparente di sua madre: due cose problematiche, se sei il capo di una istituzione antiquata e coloniale
di Matteo Castellucci

Re Carlo III non è venuto in Italia per festeggiare il ventesimo anniversario di matrimonio con la regina Camilla. O, meglio, non è venuto solo per quello: anche se sicuramente ci tiene, vista la rilevanza che la ricorrenza ha avuto nella comunicazione dei sovrani britannici.
In realtà la visita di stato di questi giorni, tra Roma e Ravenna, è un ottimo esempio del modo nuovo – e in un certo senso innovativo – con cui Carlo sta cercando di interpretare il ruolo di re, lontano dal lunghissimo e austero regno di sua madre Elisabetta II.
Un primo punto notato da moltissimi osservatori, forse il più visibile: Carlo è un re molto più politico di Elisabetta.
Ancora oggi il sovrano britannico è capo di stato del Regno Unito e di altri 14 paesi dei 56 del Commonwealth, ma ovviamente il suo potere è stato quasi del tutto svuotato dalle autorità civili dei vari paesi. Il modo in cui ciascun sovrano esercita quel pezzetto di potere che gli è rimasto dipende dalla singola persona: e Carlo ha scelto di usarlo mettendosi a disposizione del governo britannico, oggi guidato dai Laburisti.
I suoi viaggi avvengono infatti su indicazione del governo e in Italia è accompagnato dai ministri degli Esteri e della Difesa, David Lammy e John Healey. Anche se è meno raccontato, l’aspetto diplomatico delle visite non è secondario. «Il governo sta utilizzando il re come negoziatore politico e lui vuole essere parte della diplomazia britannica: con la regina Elisabetta non sarebbe successo», spiega Miles Taylor, professore del Centro di studi britannici dell’università di Berlino.
L’esempio più lampante, secondo Taylor, è stato quando il primo ministro Keir Starmer ha esibito una lettera firmata da re Carlo in persona per il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, durante il loro incontro più recente avvenuto alla Casa Bianca. Trump è notoriamente affascinato dalla famiglia reale ed è rimasto visibilmente lusingato dalla lettera di Carlo (che lo invitava nel Regno Unito). Trump ha persino trovato il tempo di lodare la firma di Carlo.
Il re è anche considerato un asset diplomatico nel contesto degli sforzi dei Laburisti per migliorare i rapporti con l’Unione Europea. Per ora la maggioranza dei viaggi ufficiali all’estero infatti sono stati in Europa: Romania, Germania e Polonia (nel 2023 ne era previsto uno in Francia, poi saltato). Taylor ritiene che Carlo «sarà un monarca più europeo di Elisabetta», che impersonificò il Commonwealth e durante il suo lunghissimo regno lo girò in lungo e in largo.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, re Carlo, la regina Camilla e Laura Mattarella di spalle durante la cerimonia al Quirinale, l’8 aprile (Victoria Jones – Pool/Getty Images)
Secondo alcuni c’è una ragione se re Carlo è così collaborativo col governo in carica. «È il primo monarca che da quando è salito al trono deve giustificare questo fatto», sostiene Robert Hardman, giornalista del Daily Mail e biografo di re Carlo. Secondo Hardman, rispetto ai tempi di Elisabetta, da Carlo la società britannica si aspetta che dimostri di servire ancora a qualcosa. «Per la generazione più giovane non è più accettabile avere solo una specie di grandioso apparato utile al turismo». I sondaggi sembrano confermare l’impressione di Hardman: secondo una rilevazione di YouGov dell’estate del 2024, soltanto il 25% dei britannici di età compresa fra 18 e 24 ha un’opinione positiva di Carlo (la media della popolazione è del 63%).
Secondo Hardman e le sue fonti, la ricerca di una nuova legittimità alla famiglia reale britannica è stata la principale sfida dei primi due anni e mezzo di regno di Carlo, anche come sforzo di autoconservazione: fra qualche anno i giovani britannici e le giovani britanniche a cui oggi Carlo sta antipatico diventeranno la maggioranza della popolazione.
Da queste considerazioni discende anche il secondo elemento di novità introdotto da re Carlo dopo l’inizio del suo regno: una maggiore trasparenza nei confronti del pubblico.
Si è visto bene per esempio in occasione della malattia di Carlo: nella rendicontazione delle visite ospedaliere, quando riferì della sua «prostata ingrossata», fino all’annuncio della diagnosi di una forma di cancro, e poi sull’andamento delle terapie. Nel 2025, in un’epoca in cui sappiamo tutto o quasi delle figure pubbliche, persino per una monarchia era impensabile conservare i livelli di segretezza del passato (che tuttavia permangono sul suo reale patrimonio, invece).
Lo si nota anche dalla frequenza con cui viene aggiornato l’account Instagram della famiglia reale, seguito da 13 milioni di persone: in occasione della prima giornata di visita in Italia, l’account ha postato 6 contenuti diversi fra video e gallerie di foto, e una decina di Stories.
Per certi versi si può dire che Carlo si è fatto trovare pronto. Non è una cosa poi così sorprendente: il fatto che il regno di Elisabetta sia stato il più duraturo di sempre (70 anni) lo aveva reso l’erede al trono con più tempo a disposizione (64 anni) per prepararsi a diventare sovrano.

La famiglia reale britannica sul balcone di Buckingham Palace dopo l’incoronazione di Carlo e Camilla, il 6 maggio del 2023 (AP Photo/ Andreea Alexandru)
Un’ultima cosa su cui Carlo si è distinto, legata ma in qualche modo autonoma dal suo impegno al servizio del governo, è che da re non ha rinunciato ai temi che gli interessano, soprattutto alla tutela dell’ambiente. Anche se non interviene con la stessa frequenza e libertà di quand’era principe, continua a organizzare ricevimenti e convegni per dare visibilità a cause specifiche. Per esempio, quando nel 2022 il governo Conservatore di Liz Truss gli impedì di andare alla COP27 (la conferenza sul clima dell’ONU), organizzò una serata per il clima a Buckingham Palace.
La famiglia reale ha poi pubblicizzato altre iniziative, come vietare il foie gras nelle residenze reali o convertire a biocarburante le auto di lusso con cui Carlo si sposta.
Fa tutto parte di un tentativo di ridefinire l’immagine della monarchia in un periodo storico in cui, come detto, non può più dare per scontato il consenso popolare, specie delle fasce più giovani della popolazione.
L’operazione ha comunque vari elementi problematici e fa inevitabilmente i conti con la natura di un’istituzione antiquata come la monarchia britannica, che peraltro nei secoli ha causato sofferenze a milioni di persone in tutto il mondo per via del suo violentissimo impero coloniale.
Migliorare l’immagine di una istituzione del genere insomma è possibile fino a un certo punto, e spesso si può intervenire soltanto sugli aspetti più esteriori e superficiali. Re Carlo «sta cercando di guidare un rebranding della famiglia reale: come più snella, meno costosa, più giovane e moderna», dice Dipo Faloyin, giornalista che scrive per diversi giornali internazionali nonché autore del libro L’Africa non è un paese.
Secondo Faloyin, però, Carlo sta portando avanti un’operazione impossibile. Perché l’immagine della famiglia reale era già screditata da decenni di scandali e liti interne, ma soprattutto per il passato imperiale britannico, difficilmente ignorabile soprattutto per chi abita nelle ex colonie. Ancora oggi la linea della monarchia si riassume nella formula recognise, not apologise: cioè riconoscere i crimini commessi senza però scusarsi, anche per sottrarsi alle richieste di risarcimenti a cui tutti i governi britannici sono stati e rimangono contrari.

Il cartello di una contestazione repubblicana, con scritto “Abbasso la monarchia”, al passaggio della carrozza reale verso la cerimonia d’insediamento del parlamento, lo scorso 17 luglio a Londra (AP Photo/Kin Cheung)
«Nel Regno Unito c’è una certa riluttanza a parlare di cosa fu davvero l’Impero britannico, in particolare in relazione alla storia della monarchia», dice Faloyin. «Per essere tenuta in vita la monarchia ha bisogno di questa performance continua di una famiglia al di sopra dell’attualità politica: e la società britannica è stata molto brava nel separare la famiglia reale dalla storia da cui arriva».
Non è chiaro però se questo espediente potrà durare per sempre, e anzi ci sono delle ragioni per pensare che l’attivismo di Carlo possa rivelarsi controproducente: più la famiglia reale si mette al centro del dibattito pubblico e più rende visibile la sua storia assai poco lusinghiera, che moltissime persone giovani considerano un problema. Al momento però sono ancora una minoranza: le persone più anziane associano invece la famiglia reale all’Impero e alla grandezza perduta, con una certa nostalgia, e sembrano apprezzare il modo in cui Carlo sta interpretando il suo incarico.
Graham Smith, lo storico leader del movimento repubblicano britannico, sostiene invece che alla maggior parte dei suoi concittadini non interessi granché della monarchia. A suo dire prevale un sentimento di apatia: «Le folle che salutano in visibilio sono una minoranza, non siamo una nazione di monarchici». Secondo Smith le innovazioni di re Carlo sono esclusivamente di facciata, mentre la famiglia reale rimane «reticente, corrotta e inutile, come è sempre stata».
Esistono pareri molto più sfumati. Taylor paragona la condizione e le sfide attuali della famiglia reale a quelle del papato. Nonostante il loro passato, «non significa che non possano essere parte di una società moderna, tollerante e pluralistica».
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