Hooters considera di rinunciare alle tette
La catena di ristoranti statunitense famosa per le cameriere in abiti succinti è in crisi, e vuole tornare un posto per famiglie

Tra le catene di ristoranti americani più riconoscibili c’è Hooters, famosa soprattutto per le cameriere in pantaloncini arancioni e magliette bianche attillate, di fatto la sua principale attrattiva. A 42 anni esatti dalla fondazione del marchio, la società di Atlanta che controlla la gran parte dei ristoranti ha chiesto l’amministrazione straordinaria per via dell’aumento dei costi e dei debiti: per adesso i ristoranti rimarranno aperti, ma nell’azienda sono in corso riflessioni su come reinventarsi.
L’idea alla base della catena infatti risale a tempi in cui le sensibilità sull’oggettificazione del corpo femminile erano molto diverse. Nonostante Hooters sia ormai nella cultura popolare statunitense, oggi un ristorante la cui identità è costruita intorno all’idea che le forme delle cameriere siano esibite allo sguardo dei clienti maschi è meno accettata e popolare di un tempo, specialmente tra le persone giovani. Lo stesso discorso vale per le molestie verbali e fisiche che rischiano di subire mentre lavorano. Per questo, la società che possiede la catena vuole limitare questo aspetto per ritornare almeno in parte un posto per famiglie, com’era all’inizio.
L’azienda Hooters fu fondata il primo aprile del 1983 a Clearwater, in Florida, dove il primo ristorante aprì l’ottobre successivo. L’idea era stata di sei imprenditori senza alcuna esperienza nella ristorazione che volevano un posto loro, da cui nessuno li avrebbe cacciati. L’arredamento del locale non era niente di che, e anche il menù era quello di un tipico ristorante statunitense, tra alette di pollo, burger e sandwich. Credevano che sarebbe subito fallito, e invece ebbe successo.
Il nome derivava da uno sketch del 1981 in cui il comico Steve Martin scherzava sul fatto che l’unico modo per chiamare le tette era appunto “hooters”, cioè poppe, una forma a cui rimandano anche gli occhi del gufo nel suo logo. I ristoranti cominciarono così a essere identificati con la presenza delle cameriere in abiti succinti e a distinguersi dalle altre catene simili, diventando parte della cultura popolare più provinciale, maschilista e un po’ decadente degli Stati Uniti, come mostrano per esempio le citazioni nella serie tv The Office, nel film del 2014 Insieme per forza o in un recente sketch del Saturday Night Live con l’attrice Sydney Sweeney.
La prima “Hooters girl” fu Lynne Austin, che venne scelta dopo essere stata vista a un concorso in bikini e nel luglio del 1986 finì su Playboy, mentre altre diventarono famose grazie al calendario che uscì ogni anno proprio da quell’anno. Holly Madison, una delle “fidanzate” del fondatore della rivista, Hugh Hefner, aveva cominciato la carriera proprio lavorando da Hooters.
Nel 1984 i diritti di Hooters erano stati ceduti all’imprenditore di Atlanta Robert H. Brooks, che fondò la Hooters of America e in seguito aprì numerosi ristoranti in franchising anche all’estero: il primo a Singapore nel 1996, e poi decine tra Corea del Sud e Giappone, Austria e Germania, Messico, Colombia e Israele. Negli anni Novanta la catena si era già fatta conoscere per la sponsorizzazione di squadre ed eventi sportivi: nel 2003 Brooks mise in piedi anche la Hooters Air, una compagnia aerea low cost rivolta soprattutto a golfisti che si spostavano per i tornei, ovviamente con due “Hooters girl” a bordo per servire e intrattenere i passeggeri.
La compagnia chiuse tre anni dopo, citando perdite per 40 milioni di dollari. Lo stesso anno era stato aperto anche un hotel a tema a Las Vegas, di cui oggi resta ancora il ristorante. A ogni modo una decina d’anni fa i ristoranti di Hooters di proprietà o in franchising erano oltre 420 in tutto il mondo: la società originale ha continuato a mantenere il controllo di una ventina di loro, tra la zona di Tampa, in Florida, e quella di Chicago. Tutti gli altri, e quindi la gran parte, sono gestiti invece da Hooters of America, che nel 2019 è stata venduta a un gruppo di investimento.
L’azienda ha cominciato ad avere difficoltà durante la pandemia da coronavirus. Nel 2022 annunciò di aver stipulato un finanziamento da 70 milioni di dollari in cinque anni, e nel 2024 piuttosto all’improvviso decise di chiudere una quarantina di ristoranti citando l’aumento dei costi, la competizione di catene meno care e più in generale il calo di interesse da parte dei clienti per le uscite al ristorante: le stesse motivazioni che hanno portato a presentare istanza di fallimento o di protezione dal fallimento anche altre catene, tra cui Red Lobster e TGI Fridays.
Lunedì Hooters of America ha presentato in un tribunale del Texas la richiesta del Chapter 11, uno strumento per il risanamento delle imprese in difficoltà finanziaria simile alla nostra amministrazione straordinaria: un debitore deve presentare un piano di ristrutturazione e può continuare a gestire un’azienda, ma sotto il controllo di un giudice e con una serie di tutele per i creditori, tra cui la possibilità di chiedere un cambiamento della dirigenza. In base al piano, cento negozi di proprietà verranno venduti ad altri gruppi affiliati, tra cui quello dei titolari originali di Hooters, che controllano 14 dei 30 ristoranti di maggior successo del marchio: l’obiettivo è che in questo modo l’azienda possa evitare il fallimento entro 120 giorni.

L’amministratore delegato di Hooters, Bob Brooks, prima del viaggio inaugurale della Hooters Air nel 2003 (Alyson Aliano/Redux via Contrasto)
Ma a contribuire alla crisi di Hooters è anche il cambio di atteggiamento, soprattutto delle persone giovani, rispetto a posti di lavoro o in generale a contesti che favoriscono l’oggettificazione del corpo femminile. Nel tempo ci sono state critiche al fatto che per promuoversi facesse leva quasi unicamente sul sex appeal delle cameriere, così come cause presentate da ex dipendenti per molestie e attenzioni indesiderate sul posto di lavoro. Ci sono poi state le denunce per discriminazione da parte di uomini che non erano stati assunti come camerieri sulla base del loro sesso o, per fare un altro esempio, quella di una dipendente a cui era stato detto che non poteva farsi le meches ai capelli.
Ristoranti come Hooters fanno parte di quelli che a volte vengono definiti con il termine “breastaurant”, una crasi tra la parola che indica le tette (breasts) e quella che indica un ristorante appunto: ambienti di lavoro che secondo vari studi possono avere conseguenze psicologiche gravi sui dipendenti, a causa dell’esposizione continua allo sguardo maschile e alla possibilità di subire molestie verbali o fisiche dai clienti. La società si è sempre difesa sostenendo di adottare iniziative a tutela delle persone e in particolare delle donne, come il fondo per la ricerca che ha intitolato a Kelly Jo Dowd, una cameriera morta per cancro al seno. Le cause comunque sono quasi sempre state risolte con accordi extragiudiziali o vinte da chi aveva fatto denuncia.
Neil Kiefer, amministratore delegato della HMC Hospitality Group, il gruppo fondato dai proprietari di Hooters, ha detto in un’intervista data a fine marzo a Bloomberg di voler mettere in atto una «ri-Hooterizzazione». A suo dire nel tempo l’immagine della catena si è staccata sempre di più dall’idea di ciò che voleva offrire all’inizio, cioè ristoranti con buon cibo e un buon servizio, al tempo stesso adatti alle famiglie. Kiefer si riferiva anche alla decisione del 2021 di Hooters of America di introdurre divise ancora più striminzite, cosa che a suo tempo fu peraltro contestata da diverse cameriere. Nelle parole di The Cut forse a questo punto diventare meno sexy potrebbe aiutare Hooters a evitare il fallimento.
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