I giudici e la politica, di nuovo
La condanna di Marine Le Pen in Francia ha riaperto un dibattito su magistratura, democrazia e populismo, che è strumentalizzato un po' dappertutto

Dopo la condanna della leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen a quattro anni di carcere e cinque di ineleggibilità per appropriazione indebita, le reazioni di molti esponenti della destra populista, europea e non solo, sono state più o meno le stesse. Le Pen ha definito la sentenza una «decisione politica presa per impedire di candidarmi» alle prossime elezioni presidenziali, nel 2027. Jordan Bardella, il presidente del suo partito, il Rassemblement National, ha parlato di una sentenza «politica, sproporzionata e faziosa».
Reazioni simili sono arrivate un po’ da tutte le parti. Elon Musk, imprenditore e consigliere del presidente americano Donald Trump, ha scritto: «Quando la sinistra radicale non può vincere democraticamente, sfrutta il sistema legale per mettere in carcere i suoi oppositori». Anche la destra italiana ha reagito allo stesso modo. Il leader della Lega Matteo Salvini ha detto: «Chi ha paura del giudizio degli elettori spesso si fa rassicurare dal giudizio dei tribunali», mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scritto: «Nessuno che creda davvero nella democrazia può gioire di una sentenza che colpisce il leader di un grande partito, privando milioni di cittadini della loro rappresentanza». Martedì la giudice del processo a Le Pen, Bénédicte de Perthuis, è stata messa sotto scorta a causa delle minacce che ha ricevuto dopo la condanna.
L’argomento usato da questi politici (e da molti altri in questi giorni) contrappone il consenso popolare allo stato di diritto e sostiene, semplificando, che quando un leader politico eletto è condannato o accusato di un reato, vengono danneggiati anche i diritti democratici dei suoi elettori. Questa argomentazione è sfruttata soprattutto dalle forze politiche di destra e populiste, che per loro natura hanno meno fiducia nel cosiddetto establishment e nelle istituzioni democratiche tradizionali, come la magistratura, e che quindi sono più portate a vedere negli atti dei giudici un attacco politico diretto contro di loro.
Questo tema rientra in un dibattito molto più ampio, che di fatto espone alcune delle contraddizioni dei sistemi democratici di cui si parla da decenni, anche e forse soprattutto in Italia: l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi trascorse gran parte della sua carriera politica a denunciare i «magistrati politicizzati» e la «giustizia a orologeria» (cioè le inchieste che secondo lui venivano aperte con il preciso scopo di bloccare la sua azione politica). Sempre in Italia, peraltro, ci sono stati numerosi casi in cui i magistrati hanno danneggiato gravemente le carriere di esponenti politici, senza che poi le loro indagini avessero esiti rilevanti: il caso più rilevante negli ultimi anni è quello di Matteo Renzi.
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Soltanto negli ultimi anni, per non dire negli ultimi mesi, ci sono stati vari casi di contrasto tra la magistratura e le forze politiche, soprattutto della destra populista.

Calin Georgescu nel dicembre 2024 (AP Photo/Vadim Ghirda)
In Romania la Corte costituzionale ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso novembre, a causa di presunte interferenze russe. Il candidato che era arrivato primo, il politico di estrema destra e filoputiniano Calin Georgescu, è poi stato escluso dalle elezioni, e ha detto che la decisione è «un colpo diretto al cuore della democrazia in tutto il mondo».
In Israele il primo ministro di destra Benjamin Netanyahu è coinvolto in numerosi processi per corruzione, che lui definisce politicamente motivati. In Brasile la Corte costituzionale ha messo sotto processo l’ex presidente Jair Bolsonaro per il suo ruolo nel tentato colpo di stato del 2022.
In Spagna da anni l’indipendentista catalano di centrodestra Carles Puigdemont accusa la magistratura spagnola di «lawfare», una crasi tra i termini inglesi law (legge) e warfare (arte bellica) che descrive l’utilizzo della giustizia per perseguire scopi politici. «Lawfare», peraltro, è la stessa parola che utilizza l’amministrazione Trump per descrivere il modo con cui i giudici, a suo dire, starebbero ostacolando l’operato del presidente.
Se questi argomenti vengono usati soprattutto dalla destra populista, ci sono anche casi che riguardano partiti di centrosinistra e tradizionali. Sempre in Spagna il primo ministro Socialista Pedro Sánchez ha accusato la magistratura di portare avanti una «macchina del fango» (máquina del fango) contro di lui dopo l’apertura di un’inchiesta per traffico di influenze illecite contro sua moglie Begoña Gómez.

Carles Puigdemont nel maggio 2024 (AP Photo/Joan Mateu)
Ciascuno di questi casi ha caratteristiche proprie, e ciascuna delle inchieste e delle sentenze può essere considerata più o meno solida, a seconda del contesto e anche delle proprie convinzioni. Ci sono paesi in cui lo stato di diritto ha una tradizione più profonda e in cui la fiducia della popolazione nei confronti della magistratura è più alta. Altri in cui i poteri dello stato sono in contrapposizione più netta.
In questi anni, il risultato dei frequenti contrasti è stato che in Occidente e non solo la destra populista ha cominciato a vedere nella magistratura un nemico da colpire una volta arrivata al potere (ovviamente indebolire il potere della magistratura è da sempre uno degli obiettivi delle forze politiche autoritarie). È successo in Polonia durante gli anni di governo del partito di estrema destra Diritto e Giustizia, tra il 2015 e il 2023. È successo in Ungheria, dove il leader semiautoritario Viktor Orbán ha progressivamente messo i giudici sotto controllo politico. In Israele il governo di estrema destra di Netanyahu ha da poco ripreso l’iter parlamentare per l’approvazione di una contestata riforma della giustizia che, secondo i suoi critici, diminuirebbe notevolmente l’indipendenza dei giudici.
Negli Stati Uniti la magistratura è diventata uno dei principali obiettivi dell’amministrazione Trump, che soprattutto sulle questioni legate all’immigrazione sta entrando in pieno contrasto con i giudici, e andando vicino a quella che gli esperti definiscono una «crisi costituzionale». Trump ha definito «pazzi» i giudici che con le loro sentenze hanno bloccato alcuni dei suoi provvedimenti, e si è rivolto a loro come «giudici di estrema sinistra che potrebbero portare alla distruzione del nostro paese». Mike Johnson, lo speaker Repubblicano della Camera, ha detto che davanti a quelli che lui ritiene gli eccessi dei giudici sono necessari «estremi rimedi». I Repubblicani hanno anche pensato di rimuovere i giudici attraverso processi di impeachment, ma per ora sembra che questa proposta sia stata sospesa.



