Giorgia Meloni ha un’idea per tenere a bada Matteo Salvini

E cioè concedere alla Lega di esprimere il candidato della destra in Veneto alle regionali, rivendicando la Campania per Fratelli d'Italia

di Valerio Valentini

(Cecilia Fabiano/LaPresse)
(Cecilia Fabiano/LaPresse)
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Mercoledì scorso, durante il dibattito alla Camera alla vigilia del Consiglio Europeo, a un certo punto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha lasciato il suo posto tra i banchi del governo, proprio accanto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e ha raggiunto i banchi dei deputati della Lega (il suo partito). Meloni si era appena lamentata con lui per le dichiarazioni del capogruppo Riccardo Molinari, che riteneva ostili. Giorgetti allora ha chiesto chiarimenti ai suoi colleghi di partito e Molinari gli ha spiegato che in fondo non aveva fatto altro che ribadire quel che il segretario Matteo Salvini ripete da settimane, e cioè che la Lega è contraria al piano di riarmo europeo.

Alla presidente del Consiglio Giorgetti ha poi ribadito quel che già le aveva detto giorni prima, nel tentativo di rassicurarla rispetto alle continue iniziative di Matteo Salvini che alimentano le divisioni all’interno della coalizione di governo: la tesi di Giorgetti è che questa tensione sia destinata a scemare dopo il congresso federale della Lega del 5 aprile, in cui con tutta probabilità Salvini sarà riconfermato come segretario. Meloni però non è convinta che basterà attendere il 6 aprile: per questo insieme ai suoi consiglieri sta valutando di rinunciare a candidare un esponente di Fratelli d’Italia in Veneto alle prossime regionali di ottobre, lasciando che sia il partito di Salvini a esprimere il candidato (che visti i consensi della destra da quelle parti dovrebbe vincere agevolmente, sostituendo dopo 15 anni Luca Zaia, anche lui della Lega).

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Anche tra i parlamentari di centrodestra si è diffusa la convinzione che dopo il congresso della Lega il clima in maggioranza migliorerà. Salvini sta esasperando i toni della sua propaganda per fomentare la base e ottenere in modo convincente un nuovo mandato alla guida del partito, che è del resto scontato visto che è lui l’unico candidato. Ma se da un lato è sicuro della rielezione, dall’altro Salvini lo è meno dell’entusiasmo con cui questa avverrà: dopo una lunga fase di declino della Lega deve evitare che il congresso faccia emergere critiche o malumori di iscritti e amministratori. In questo senso si spiegano anche le continue e sempre più aspre baruffe verbali tra i dirigenti leghisti e quelli di Forza Italia.

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Non è tuttavia scontato che queste divergenze tra Salvini e Antonio Tajani, e più in generale tra Salvini e il resto della coalizione di governo, possano essere agevolmente superate dopo il congresso. Molti ritengono che Salvini non vorrà mollare alcune sue posizioni radicali sulla politica estera, in particolare sul sostegno incondizionato alle posizioni di Trump: significativamente, i dirigenti della Lega stanno trattando con l’amministrazione statunitense per avere dei contributi video da mostrare al congresso di esponenti di spicco vicini a Trump, come il vicepresidente J.D. Vance o il proprietario di Tesla e SpaceX Elon Musk, da affiancare ad altri interventi di leader sovranisti e di estrema destra europei alleati di Salvini.

Oltre che per la politica estera, però, parlamentari e ministri di Fratelli d’Italia sono preoccupati per il programma su cui si baserà la rielezione di Salvini. La mozione, cioè il testo che definisce il programma e il candidato, è stata scritta da Alberto Stefani, vicesegretario del partito a livello nazionale e segretario della Liga Veneta, cioè della influente componente regionale veneta della Lega. L’aspetto più caratterizzante della mozione è il rilievo che dà alla questione settentrionale e all’autonomia: ha un approccio identitario alle radici federaliste del partito, che negli anni si era andato un po’ perdendo a favore di una dimensione di partito nazionalista.

Non a caso, il segretario della Lega lombarda Massimiliano Romeo ha deciso di sostenere questa mozione senza presentarne una propria (inizialmente sembrava volesse farlo) proprio perché ha apprezzato questo richiamo al federalismo che lui stesso aveva sostenuto di recente. Ci sarà invece probabilmente un’altra mozione, ma complementare a quella di Stefani e pure questa a sostegno di Salvini, a cui stanno lavorando i deputati Riccardo Molinari e Alberto Bagnai, e sarà incentrata sulle politiche europee del partito, con forti accenti euroscettici.

La mozione di Stefani, che circola ancora in forma di bozza semidefinitiva ma che sta già raccogliendo vasti consensi tra parlamentari e attivisti della Lega, indica «l’attuazione dell’autonomia differenziata e del federalismo fiscale» come «una necessità improrogabile» per il paese, e fa riferimento esplicito alla «questione settentrionale» affermando che «la regioni del Nord, motore economico del Paese, devono essere messe nelle condizioni di vincere le resistenze di una politica centralista e assistenzialista».

Sulla base di questa mozione, dunque, c’è da aspettarsi che Salvini torni a insistere sull’attuazione dell’autonomia differenziata, una delle grandi riforme volute dalla Lega e dal suo ministro Roberto Calderoli (ringraziato espressamente nel testo di Stefani per il suo «grande lavoro»). La riforma era stata approvata dal parlamento ma è stata poi di fatto resa inapplicabile dalla Corte costituzionale, che nel novembre scorso ne ha dichiarate illegittime delle parti consistenti: e da quel momento il tema è stato accantonato. Lo stesso Salvini ha dimostrato un attaccamento non proprio indefesso al progetto, ricevendo per questo critiche più o meno esplicite proprio dai leghisti veneti.

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Di per sé il testo di una mozione ha un valore più simbolico che altro, e non vincola in maniera rigida un segretario ai suoi contenuti. Non è dunque detto che Salvini tornerà a invocare risolutamente l’autonomia dopo il 5 aprile. Ma è indubbio che sulla questione settentrionale dovrà impegnarsi di più. Una riconferma a segretario fondata su questa mozione imporrà a Salvini di battersi con gli alleati al governo nazionale soprattutto su un punto: la riconferma di un presidente di regione della Lega in Veneto.

Matteo Salvini, con Luca Zaia e Alberto Stefani (al centro), reggono la bandiera di San Marco durante un evento per l’autonomia del Veneto a Vicenza, il 21 giugno 2024 (Francesco Dalla Pozza Colorfoto/ANSA)

Non è però un risultato scontato. Anzi, finora Fratelli d’Italia ha rivendicato con convinzione di esprimere un proprio candidato alle prossime regionali di ottobre in Veneto: per Meloni sarebbe un modo del tutto legittimo di ribadire il peso del suo partito, di gran lunga il più forte della coalizione, e che però finora non ha neppure un presidente di regione nel centro-nord.

La presidente del Consiglio sa che per Salvini dover accettare di perdere il Veneto sarebbe una sconfitta umiliante, che lo porrebbe in grandissimo imbarazzo nei confronti di militanti di quella regione, ma che più in generale lo renderebbe debole come leader nel partito. E un’eventuale crisi della Lega metterebbe inevitabilmente a repentaglio la stabilità del governo stesso: Meloni vuole naturalmente evitarlo, assecondando il suggerimento del presidente del Senato Ignazio La Russa, secondo cui è più saggio cedere il Veneto e puntare, nel 2027, sulla Lombardia.

C’è poi un altro elemento: in Veneto c’è una certa conflittualità all’interno di Fratelli d’italia, che si è alimentata in questi mesi mano a mano che si susseguivano le indiscrezioni sui possibili candidati e che è diventata ancor più forte da quando, mesi fa, il ministro Francesco Lollobrigida ha smesso di gestire le questioni territoriali del partito, lasciando questo compito a Giovanni Donzelli e ad Arianna Meloni. È così che i vari esponenti locali di Fratelli d’Italia che puntavano alla presidenza del Veneto sono finiti in contrasto tra loro: i senatori Luca De Carlo e Raffaele Speranzon, l’europarlamentare Elena Donazzan, in parte il ministro Adolfo Urso. In realtà nessuna di queste candidature è mai apparsa del tutto solida e credibile a Meloni e ai suoi collaboratori.

La diretta conseguenza di questa rinuncia sul Veneto è che Fratelli d’Italia vuole ora garantirsi la candidatura nell’altra grande regione in cui si voterà in autunno e in cui la destra ha speranze di vincere, e cioè la Campania. Qui Forza Italia ha a lungo coltivato l’ambizione di guidare la coalizione con la candidatura di Fulvio Martusciello, europarlamentare di lungo corso e molto vicino a Tajani. Ma questa ipotesi ora sembra del tutto improbabile per le recenti questioni giudiziarie in cui è stato coinvolto Martusciello.

Fulvio Martusciello interviene agli Stati generale dell’Economia di Forza Italia, a Milano, il 13 aprile 2024 (Marco Cremonesi/LaPresse)

Domenica, durante un evento di Forza Italia a Milano, Tajani e Martusciello hanno avuto un lungo colloquio riservato, nel quale sono state definite le nuove strategie del partito in Campania in vista delle regionali. Chi ha avuto modo di parlare con Martusciello spiega che ormai anche lui è consapevole che non potrà essere il candidato presidente. È così che dunque l’ipotesi di assegnare il candidato per la Campania a Fratelli d’Italia ha preso subito molta consistenza. Si parla per ora del viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, salernitano, ma molti nel partito di Meloni lo considerano poco spendibile per quel ruolo.

Dovendo rinunciare alla Campania, dove ci sono discrete ma non solidissime possibilità di vittoria per la destra, Forza Italia ripiegherà verosimilmente a sua volta sulla Puglia, dove invece la candidatura per il centrosinistra dell’europarlamentare Antonio Decaro, già sindaco di Bari, pare difficilmente battibile. Si voterà inoltre in Toscana, dove però è probabile che la destra perda, e nelle Marche: qui è probabile una riconferma del presidente uscente Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia, che si misurerà soprattutto con Matteo Ricci del PD, europarlamentare ed ex sindaco di Pesaro.