Egitto e Giordania non ne vogliono proprio sapere del piano di Trump per Gaza
Hanno fatto capire in tutti i modi di non essere disposti né pronti a ospitare centinaia di migliaia di profughi palestinesi, per molte ragioni diverse

Dopo avere annunciato la sua intenzione di «prendere il controllo» della Striscia di Gaza durante un incontro col primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha aggiunto che i circa 2 milioni di abitanti della Striscia dovrebbero essere espulsi e accolti dai paesi limitrofi. Trump ha citato in particolare l’Egitto e la Giordania, due paesi a maggioranza araba e che rispettivamente confinano con la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, un territorio in parte occupato da Israele e in parte amministrato da un’entità paragovernativa palestinese.
Né il governo egiziano né quello giordano hanno commentato le parole di Trump. In passato però avevano già detto di essere contrari a quell’ipotesi, e lo hanno ribadito la scorsa settimana dopo un’altra dichiarazione di Trump. La proposta infatti non è nuova: già nell’autunno del 2023, all’inizio dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza, diversi politici occidentali conservatori si chiesero retoricamente perché i paesi a maggioranza araba del Medio Oriente non fossero disponibili ad accogliere i profughi palestinesi.
Una prima risposta ha a che fare con la storia recente del popolo palestinese, segnata da molteplici traumi e trasferimenti forzati. Dopo la fine della guerra che il neonato stato di Israele combatté nel 1948 con diversi paesi arabi, 700mila palestinesi che abitavano nei territori conquistati da Israele furono costretti a lasciare le proprie case. Una cosa simile era già avvenuta nel 1967, alla fine della Guerra dei sei giorni, quando altri 300mila palestinesi fuggirono da territori conquistati dall’esercito israeliano.

Un gruppo di profughi palestinesi si prepara ad attraversare il fiume Giordano dopo aver lasciato le proprie case in seguito alla Guerra dei sei giorni, 22 giugno 1967 (AP Photo/Bernard Frye, File)
Gran parte dei profughi palestinesi si trasferì nei paesi vicini, soprattutto in Libano, Siria e Giordania. Alla fine del 2023 Associated Press citava una stima secondo cui i profughi palestinesi scappati in quegli anni e i loro discendenti sono ormai quasi 6 milioni. Circa un terzo di loro vive in Giordania.
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La situazione attuale fa capire anche perché i paesi a maggioranza araba sono così contrari ad accogliere altri profughi palestinesi in numeri ingenti: lo hanno già fatto più volte in passato, e sostengono di non avere le risorse né le strutture necessarie per integrare centinaia di migliaia di persone. Il Prodotto interno lordo (PIL) della Giordania per esempio è pari a poco meno di 50 miliardi di euro, un dodicesimo di quello del Belgio.
Nella richiesta di Trump c’è anche una forte componente nazionalista e poco rispettosa della storia recente. Auspicare il trasferimento dei palestinesi in Egitto o in Giordania significa sminuire il legame del popolo palestinese con la Striscia di Gaza: come se per loro abitare ad Amman, al Cairo o a Gaza fosse la stessa cosa.
Va detto anche che negli ultimi anni la solidarietà dei paesi a maggioranza araba con il popolo palestinese si è un po’ ridotta, dopo decenni di ampio sostegno anche materiale: perché il ricordo delle guerre che costrinsero centinaia di migliaia di persone a lasciare il proprio paese era sempre più lontano, per via di altre priorità, come la stabilità interna, politica ed economica, e per via di una campagna diplomatica portata avanti da vari governi israeliani di avvicinamento e distensione.
Al contempo però i leader di questi paesi non possono permettersi di apparire troppo ostili al popolo palestinese, anche per una questione di immagine: è per questo che nel respingere la proposta di Trump già nei giorni scorsi il presidente autoritario dell’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, aveva riproposto il suo sostegno alla cosiddetta “soluzione a due stati”, che prevede la creazione di uno stato palestinese accanto a quello israeliano.