Cos’è Pomigliano d’Arco oggi, oltre Stellantis
Se ne parla soprattutto per le auto, ma c'è anche altro: una vivace vita culturale e un rapporto complicato tra politica e criminalità
di Francesco Gaeta

Visto su una foto satellitare, il paese di Pomigliano si distingue dal resto dell’hinterland napoletano per una grande macchia chiara di forma rettangolare. È lo stabilimento Stellantis intitolato al filosofo napoletano Giambattista Vico, da cui esce il 59% delle automobili che si producono in Italia. Degli undici chilometri quadrati del paese, che è a mezz’ora di strada a nord-est di Napoli, tre chilometri sono dentro o intorno a questa macchia. Molti dei 4mila che lavorano qui sono abitanti di Pomigliano, 40mila in tutto. Da sempre però quel rettangolo, circondato da una pista di collaudo e da un maxi-parcheggio, attira persone da altri luoghi. Gli operai della fabbrica – che nacque nel 1972 come azienda pubblica col nome di Alfasud, fu acquisita da Fiat nel 1986 ed è diventata Stellantis dal 2021 – arrivano da tutti i principali centri del napoletano: Giugliano, Melito, Frattamaggiore, Caivano, Acerra, Marigliano, Somma Vesuviana. Una sequenza di paesi quasi senza soluzione di continuità e di cui, per chi arriva in auto, non si percepiscono i confini se non per i cartelli che li separano l’uno dall’altro.

Lo stabilimento Stellantis di Pomigliano fotografato nel 2010 (© Ra Boe/Wikipedia)
Pomigliano ha una storia diversa da tutti gli altri luoghi qui intorno. È stato ed è ancora il polo industriale più importante del Sud. Da molti anni hanno stabilimenti qui anche Leonardo, che produce la fusoliera degli aerei Boeing, e Avio, che un tempo era Fiat e oggi è di proprietà di GE Aerospace, e che qui fabbrica e revisiona motori per aerei. Ci sono anche centri di ricerca: l’Aerotech Academy, avviata da Leonardo con l’Università degli Studi di Napoli Federico II per fare alta formazione sull’aeronautica. E il centro Elasis, che per Stellantis fa ricerca nel settore automotive. Nel complesso, nelle industrie e nei centri di ricerca lavorano circa 12mila persone. Pomigliano non è dunque una “one company town” di Stellantis: anche se se ne parla oggi per il necessario rilancio dell’impianto che ogni giorno produce 600 Panda e 150 Alfa Romeo Tonale, e che nei primi nove mesi del 2024 ha avuto un calo produttivo del 21% rispetto al 2023.
A dicembre Stellantis ha presentato un piano industriale che secondo l’azienda dovrebbe assicurare il futuro dello stabilimento. La Panda, che è l’auto più venduta in Italia (133mila vetture nel 2023), continuerà a essere prodotta a Pomigliano fino al 2028. Saranno poi messi in produzione altri due modelli del segmento B, cioè di auto di dimensioni contenute (entro i 4,2 metri), che sono quelle più richieste dal mercato. Tuttavia, secondo uno studio presentato all’inizio di gennaio dalla Fim, la Federazione dei metalmeccanici della Cisl, questo potrebbe non essere sufficiente. «Restano aperte alcune domande chiave» ha detto Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim. «Riguardano i volumi richiesti dal mercato, la tempistica dei lanci dei nuovi modelli, la tenuta dell’indotto».
Una storia operaia
«Sono entrato in Fiat 20 anni fa, ne avevo 28. Ero diventato padre da poco e per me l’assunzione voleva dire stabilità» racconta un operaio di Stellantis, che spiega di non avere mai avuto una tessera sindacale. «La fabbrica si confonde ancora con la cittadina, come quando contava il triplo degli operai di oggi. È che oggi non ce ne rendiamo più conto. Tutti hanno un fratello, uno zio o un nipote che lavorano qui». Tuttavia «in questi ultimi anni qui è cambiato quasi tutto». Innanzitutto, fuori dallo stabilimento. «Nel 2017 ho comprato una Panda per mia moglie, che con tutti gli accessori è costata 12mila euro, oggi non la compri a meno di 18mila». Nel frattempo, gli stipendi sono rimasti fermi e i prezzi delle case sono saliti. Un’abitazione da tre locali nel centro di Pomigliano costa anche 700 euro di affitto al mese. «Abbiamo perso potere d’acquisto, siamo diventati più poveri».
È cambiato tutto anche dentro la fabbrica. La svolta è stata nel 2010. Da Pomigliano uscivano allora solo automobili a marchio Alfa Romeo, costose e con poco mercato. L’impianto rischiava di chiudere visto che per l’allora FCA (Fiat Chrysler Automobiles, nata nel 2014 dalla fusione tra Fiat e Chrysler) l’unica scelta possibile sembrava produrre in paesi in cui i salari e il costo dell’energia erano più bassi. Sergio Marchionne, allora amministratore delegato del gruppo, decise però di investire su Pomigliano e rilanciarlo. L’impianto ebbe il compito di produrre la seconda generazione della Panda e venne completamente ristrutturato. Fino ad allora c’era stata una catena di montaggio lineare, che in fabbrica chiamavano “serpentone”. Si lavorava in sequenza, ogni operaio aveva sempre lo stesso posto, faceva una sola operazione. Oggi gli operai sono divisi in team da 8 o 10 persone, le postazioni sono intercambiabili e ogni team risponde della qualità di quel che deve fare. È aumentata l’efficienza, le pause della linea di montaggio si sono ridotte (da 40 a 30 minuti a turno), gli scioperi sono molto meno frequenti. «Passavamo per essere una fabbrica anarchica, si diceva che quando giocava il Napoli la catena di montaggio si fermava. Dopo il 2010 siamo diventati lo stabilimento modello dell’azienda, altamente automatizzato».

La Panda nello stabilimento il giorno della presentazione, 14 dicembre 2011 (LaPresse)
Ma non ci si è arrivati in modo indolore. Per quella ristrutturazione, che Marchionne definì «un atto d’amore verso l’Italia», Fiat chiese al sindacato di firmare tra le altre cose una “clausola di raffreddamento”, cioè una procedura concordata per limitare i blocchi della linea di montaggio che derivavano da scioperi non dichiarati. Il sindacato si divise: la Fiom, la Federazione dei metalmeccanici della Cgil, non firmò l’accordo. Si divise anche il paese. «Ma molti abitanti scesero in piazza e sostennero il referendum che i sindacati firmatari proposero ai lavoratori» ricorda Biagio Trapani, segretario generale della Fim di Napoli, la Federazione dei metalmeccanici della Cisl, che insieme alla Uilm, i metalmeccanici della Uil, accettò allora l’intesa. «Il referendum fu approvato anche per questa pressione sociale: la gente di qui comprese che non farlo significava mettere a rischio il reddito di centinaia di famiglie».
Con «l’arrivo dei francesi», come in fabbrica viene chiamata la fusione con il gruppo PSA che ha dato vita a Stellantis nel 2021, le cose sono cambiate ancora. L’età media dei lavoratori dello stabilimento si è abbassata, anche perché l’azienda ha varato un piano di incentivi per accompagnare alla pensione gli operai che hanno intorno ai 60 anni e che erano entrati in fabbrica nell’ultima grande stagione di assunzioni. Negli ultimi 12 mesi sono andati in prepensionamento quasi in 350, con incentivi fino a 50mila euro.
«Oggi vanno via, un tempo pagavano sottobanco i selezionatori e i politici locali per essere assunti» racconta Angelo De Falco, che nel 1974 fondò a Pomigliano E’ Zezi, «gruppo operaio di musica popolare». Nati nel periodo della creatività artistica napoletana avviata dalla Nuova Compagnia di Canto popolare e da Roberto De Simone, E’ Zezi hanno tradotto in musica «i costi umani dell’industrializzazione. L’Alfasud era allora la speranza del posto fisso, perché l’azienda era statale e i rischi di licenziamento erano minori. Il nostro era un paese di contadini e la fabbrica ci ha cambiati, ha rivoluzionato l’immaginario delle persone, i loro desideri, i consumi». Il disco d’esordio del 1974, Tammurriata dell’Alfasud, racconta questa trasformazione, lo spaesamento e lo stress della catena di montaggio, le lotte operaie. I “metalmezzadri”, come li chiamavano allora perché alternavano il lavoro in fabbrica a quello nei campi, oggi non esistono più.

Una foto d’archivio dello stabilimento: in alto il vecchio nome “alfasud”, in basso il nome cambiato nel 1981 (ANSA)
«Il paese è oggi unicamente ancorato alle fabbriche» racconta Michele Caiazzo, che è stato sindaco di Pomigliano tra il 1995 e il 2005, nella cosiddetta “stagione dei sindaci” che in Campania portò Antonio Bassolino a governare Napoli e Vincenzo De Luca ad amministrare Salerno. «Il ceto operaio resiste, ma rispetto a 30 anni fa la fabbrica ha perso centralità in paese. E la gente si mobilita di meno sul tema rispetto agli anni scorsi».
Tra le cose che da allora sono cambiate c’è anche l’assetto urbanistico di Pomigliano. Proprio negli anni dell’amministrazione Caiazzo fu approvato un piano regolatore che limitava la cementificazione, adeguava molti edifici scolastici alla normativa antisismica e ampliava le aree verdi con tre grandi parchi pubblici. Salvatore Toscano, nato nel 1978 e autore del romanzo Gli stupidi e i furfanti (Baldini+Castoldi) ambientato a Pomigliano, dice che fu un momento importante. «Il nostro era il paese di Immacolata e Concetta, il film del 1980 con cui il regista Salvatore Piscicelli aveva raccontato la contrastata storia d’amore tra due donne: un posto grigio, cupo, privo di spazi per la socialità. Non c’era neanche una piazza per ritrovarsi alla sera». Piazza Giovanni Leone, che al tempo si chiamava piazza Primavera, era un luogo di spaccio; piazza Mercato, che oggi è affollata fino a tardi, era triste e deserta; il grande parco Giovanni Paolo II, l’area verde più grande del paese, ancora non esisteva. «Noi studenti ci incontravamo tra via Terracciano e via Cantone, in un posto che chiamavamo “l’incrocio” perché era l’intersezione tra due strade. Passavamo la sera a mangiare frittura e panini alla Pensione Ciro, le alternative erano solo un paio di pizzerie. Dopo il liceo io sono andato a Torino a fare la scuola Holden e quando sono tornato ho trovato un paese diverso, a suo modo attraente. Oggi nel fine settimana fai fatica a trovare un tavolino libero».
Tra venerdì e sabato Pomigliano si riempie infatti di persone che arrivano dai centri vicini e perfino da Napoli. La “movida di Pomigliano”, come la definiscono i giornali locali, porta soldi e alcuni problemi per chi ci abita, non molto diversi da quelli delle grandi città: gente in strada fino a tardi, proteste degli abitanti che vivono vicino ai locali, qualche episodio di violenza che i media riassumono alla voce «baby-gang».
La cultura
A quanto pare a Pomigliano si legge molto. Nel triangolo tra via Gandhi, via Passariello e via Trieste ci sono sette librerie. «È un dato che sorprende anche me» racconta Ciro Marino, che nel 2018 ha avviato in piazza Giovanni Leone una di queste librerie, la Wojtek, e ha fondato una casa editrice che ha lo stesso nome. «Da noi trovi editori di nicchia, per amatori. Eppure, abbiamo un pubblico vario e appassionato, che va dai liceali ai docenti universitari, gente che ama leggere e discutere». Secondo Marino «questo paese ha qualcosa di speciale da un punto di vista culturale: mentre Napoli recita se stessa e organizza tour sui luoghi di Gomorra, qui produciamo cultura».
A Pomigliano si tiene da 30 anni il Pomigliano Jazz Festival, uno dei più importanti d’Italia. La rassegna “Sguardi ostinati” ha portato qui negli anni scorsi il meglio della cinematografia d’autore, anche se ha dovuto chiedere ospitalità a Casalnuovo perché a Pomigliano ha chiuso anche l’ultimo cinema. E il Festival della letteratura indipendente (Flip), avviato proprio da Marino e da Maria Carmela Polisi, della libreria “Mio nonno è Michelangelo”, ha ospitato quest’anno 10mila persone in tre giorni. Esiste anche un archivio cinematografico di pellicole in 16 millimetri. Si chiama Camera Film ed è stato fondato da Michelangelo e Mariangela Fornaro, che è anche sceneggiatrice e restauratrice. «Lavoriamo sul cinema di animazione con corsi per ragazzi delle scuole. E abbiamo un piccolo cineforum “vecchia maniera” di film d’autore, con 40 posti per ogni proiezione. È frequentato anche da persone che non arrivano da Pomigliano».

Un ristorante di Pomigliano, 6 marzo 2018 (Giovanni Cipriano/ The New York Times, Contrasto)
I luoghi della produzione culturale sono aumentati e si sono diversificati anche secondo Francesco Spiedo, che nel 2020 ha scritto il romanzo Stiamo abbastanza bene (Fandango) e dopo qualche anno passato a Milano è tornato qui per aprire in via Carducci la “colonia creativa” Itaca. «Il nostro è uno hub di promozione dei talenti locali. È un luogo fisico dove artisti di varie aree, dalla musica al teatro alla scrittura, possono condividere esperienze». Nei 350 metri quadrati di Itaca si fanno corsi «a prezzi politici» di danza e scrittura creativa, incontri di discussione e c’è anche un teatro. L’ultimo spettacolo del 2024 è stato Andy e Norman di Neil Simon. «È una piccola sala. In generale a Itaca la gente viene volentieri perché a Pomigliano c’è un forte bisogno di condivisione che non trova soddisfazione in altri luoghi. Vogliamo creare contatti tra chi fa arte, fare incontrare le persone intorno all’arte, farle parlare di arte».
Politica e camorra
La cosa di cui si parla in questi giorni a Pomigliano è però di altro genere. L’11 dicembre il prefetto di Napoli ha istituito una “commissione di accesso”, un collegio di tre persone che ha l’incarico di controllare gli atti del comune per verificare l’esistenza di infiltrazioni e condizionamenti da parte della camorra. L’attuale sindaco Raffaele Russo, che dal maggio 2023 guida una coalizione di centrodestra, è stato sostenuto da 11 liste civiche e ha avuto il 72% dei voti, si dice certo che la commissione non troverà nulla. A dire il vero, Russo è certo che in paese la camorra non esista. Lo ha dichiarato diverse volte in campagna elettorale e successivamente anche in consiglio comunale. In seguito a queste dichiarazioni, nel maggio scorso, ha ricevuto una lettera della presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo (di Fratelli d’Italia) nella quale veniva invitato a usare maggiore cautela, visto che, scriveva Colosimo, «nel comune di Pomigliano d’Arco permane tuttora l’operatività dei clan Mascitelli e D’Ambrosio, che fanno capo ai boss locali Giuseppe D’Ambrosio, Mimmo Capocelli e Bruno Mascitelli».
«In consiglio comunale la maggioranza ha 23 consiglieri, l’opposizione tre, due dei quali riconducibili a Rinascita, una lista di sinistra» racconta il giornalista Pino Neri, che in questi anni ha raccontato le vicende della politica cittadina per il Mattino, il maggiore quotidiano del meridione, che ha sede a Napoli. Alle ultime elezioni, PD e M5S non hanno presentato liste con il proprio simbolo. «Non è mai stato compreso il perché di questa assenza. Soprattutto se si considera che questo è il paese di Luigi Di Maio e i 5 Stelle qui hanno avuto un gran seguito».

Di Maio a Pomigliano per la campagna elettorale, 22 settembre 2020. Si votava per il sindaco, per le regionali e per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari (ANSA/CIRO FUSCO)
Pomigliano, infatti, è stato anche un laboratorio politico in cui è stato sperimentato a livello locale il cosiddetto “campo largo”, cioè una alleanza tra le forze di centro e di sinistra. La giunta precedente era composta da un’alleanza PD-M5S ed era guidata dal professore universitario Gianluca Del Mastro, che aveva avviato un processo di rinnovamento dei controlli nel settore dell’edilizia. La giunta cadde nel febbraio 2023 per le dimissioni presentate da 13 consiglieri, tra i quali quattro di maggioranza. A dimettersi fu anche il vicesindaco di allora, che era anche assessore al Bilancio e segretario cittadino del PD. «I giornali lo definirono “il golpe di Pomigliano”» conclude Neri. Il sindaco Del Mastro sostenne che fosse stata una manovra politica per «consentire l’affermazione di singoli gruppi di opinione e di potere che, lontani da ogni visione della città, intendono solo imporre il proprio predominio territoriale». Quelle dimissioni hanno aperto la strada al centrodestra.
Il sindaco Raffaele Russo è del 1939, ha governato il comune per quasi 24 anni negli ultimi 40 e questo è il suo settimo mandato. I primi furono tra il 1980 e il 1992. Nel 1993 l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino sciolse il comune di Pomigliano per infiltrazione camorristica. Nel frattempo Russo era diventato senatore, tra i socialisti. Nel 1994 fu arrestato per una presunta vicinanza ad alcuni clan di camorra e poi assolto al processo. È stato poi nuovamente sindaco tra il 2010 e il 2020, e di nuovo dal 2023.
Negli anni scorsi la prefettura di Napoli ha emesso numerose interdittive antimafia per imprese di Pomigliano. L’interdittiva viene decisa per colpire le aziende ritenute detenute o controllate da esponenti della criminalità organizzata e impedisce loro di lavorare con la pubblica amministrazione o ricevere fondi pubblici. In questo momento a Pomigliano provvedimenti del genere riguardano una decina di società legate alla famiglia Foria. Tra queste ci sono quattro imprese di pompe funebri che hanno svolto i servizi cimiteriali nel paese e una serie di aziende di costruzione e compravendita di immobili.
L’edilizia è un settore trainante in un paese nel quale si costruisce ancora moltissimo. Tra il settembre del 2020 e il gennaio del 2022 la polizia municipale guidata dal comandante Luigi Maiello aveva bloccato i lavori in una serie di cantieri, per un totale di 800 appartamenti e un valore complessivo di 60 milioni di euro. I motivi erano stati due. Era innanzitutto stata violata la norma che in caso di ristrutturazione consente l’aumento di volumetria entro la soglia del 35% dei metri cubi preesistenti all’intervento: in molti casi invece gli aumenti erano di gran lunga superiori. Inoltre, era stato concesso il permesso a costruire a una azienda che aveva già subito un’interdittiva antimafia ed era controllata da membri della famiglia Foria.
Nella notte di Capodanno del 2022 tre auto della polizia municipale parcheggiate davanti al municipio furono incendiate. Nel gennaio del 2024, sette mesi dopo l’elezione, il sindaco Raffaele Russo ha licenziato il comandante della polizia municipale Maiello, affermando che i suoi titoli di studio fossero stati falsificati al momento del concorso vinto nel 2020. Il provvedimento faceva seguito a un’interrogazione consiliare da parte di 19 consiglieri di maggioranza. Dopo una sospensiva del Tar, l’amministrazione comunale ha dovuto reintegrare l’ex comandante, ma lo ha collocato all’ufficio anagrafe. La decisione finale del Tar sul licenziamento è prevista entro questo mese. La commissione di accesso, inviata l’11 dicembre, ha tre mesi di tempo per accertare eventuali infiltrazioni camorristiche nelle attività del comune di Pomigliano.