I sei oppositori venezuelani rifugiati da mesi nell’ambasciata argentina di Caracas
L'edificio è gestito temporaneamente dal Brasile e nel fine settimana è stato circondato dalle forze dell'ordine, mentre Edmundo González Urrutia lasciava il paese
Domenica le forze di sicurezza del regime venezuelano hanno lasciato la zona circostante l’ambasciata argentina in Venezuela nella capitale Caracas, che avevano circondato venerdì sera e nella quale sono da mesi rifugiati sei dirigenti dell’opposizione al presidente Nicolás Maduro. Nell’edificio è anche tornata la corrente elettrica, che era stata interrotta nei giorni scorsi. I sei oppositori hanno denunciato «un assedio» da parte di uomini armati e incappucciati e dei servizi segreti.
L’operazione di polizia è avvenuta nelle stesse ore del trasferimento all’estero di Edmundo González Urrutia, il candidato dell’opposizione che lo scorso luglio aveva vinto le elezioni truccate da Maduro e che domenica ha ottenuto l’asilo politico in Spagna.
Le sedi diplomatiche dei paesi che non hanno riconosciuto la vittoria di Maduro, tra cui l’Argentina, sono state fin qui decisive per proteggere gli esponenti dell’opposizione venezuelana che rischiano l’arresto. Di recente anche González, che è ricercato per accuse ritenute pretestuose e motivate politicamente, si era rifugiato in due ambasciate: il 29 luglio in quella dei Paesi Bassi, poi il 5 settembre in quella spagnola.
Anche se le forze dell’ordine per ora se ne sono andate dai dintorni dell’ambasciata argentina, non è chiaro cosa succederà ai sei attivisti rimasti nell’edificio, che sono accusati dai sostenitori di Maduro di utilizzare la sede per «pianificare attività terroristiche».
La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che a fine luglio i diplomatici argentini erano stati espulsi dal Venezuela, e l’ambasciata è passata temporaneamente sotto la gestione delle autorità diplomatiche brasiliane. È un raro caso di collaborazione tra il presidente argentino Javier Milei, di destra radicale, e il suo omologo brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, di sinistra: a luglio, quando Milei aveva visitato per la prima volta il Brasile dal suo insediamento, non aveva nemmeno incontrato Lula.
Domenica il regime di Maduro ha revocato la gestione brasiliana dell’ambasciata, ma Lula si è opposto chiarendo che il Venezuela non ha il diritto di fare una cosa del genere e che i funzionari brasiliani continueranno a occuparsi della sede finché non subentrerà un altro paese che se ne prenderà carico.
Da marzo all’interno dell’ambasciata vivono sei collaboratori della leader delle opposizioni María Corina Machado: Pedro Urruchurtu, coordinatore internazionale del suo partito Vente Venezuela; la responsabile della campagna elettorale, Magalli Meda; la responsabile della comunicazione del partito, Claudia Macero; l’ex ministro Fernando Martínez Mottola; l’ex deputato Omar González e il coordinatore elettorale di Vente Venezuela, Humberto Villalobos. Sono stati loro a denunciare sui loro profili social cosa stava succedendo venerdì sera.
Cinque dei sei attivisti avevano deciso di cercare protezione quando, il 20 marzo scorso, diverse persone dello staff di Machado erano state raggiunte da un mandato d’arresto. Due di loro erano anche state portate all’Helicoide, la più grande prigione politica del Venezuela, nota per i casi di tortura. A fine marzo Urruchurtu aveva contattato il vicecapo missione dell’ambasciata argentina, Gabriel Volpi, che in poche ore aveva organizzato il loro trasferimento.
Per via della presenza di dirigenti ed esponenti politici così importanti, negli ultimi mesi l’ambasciata si è rapidamente trasformata in una specie di succursale della campagna elettorale di González.
La polizia venezuelana aveva già circondato l’edificio la notte dopo le elezioni del 28 luglio, e gli agenti erano rimasti lì per tre giorni. Anche allora era stato un modo per intimidire i sei oppositori rifugiati: gli agenti se ne erano andati solo in seguito all’intervento del governo brasiliano, che si era preso carico dell’ambasciata dopo l’espulsione del personale argentino. In quei giorni Milei aveva fortemente criticato Maduro definendolo un «tiranno» e dicendo che aveva rubato la vittoria alle elezioni (i rapporti tra i due sono notoriamente molto tesi).
Da marzo in poi i sei esponenti di opposizione chiusi nell’ambasciata hanno continuato a fare campagna elettorale per González e hanno contribuito a raccogliere le prove dei brogli che ci sono stati nell’annuncio dei risultati delle elezioni, tra cui le ricevute elettroniche del voto. Secondo i dati ottenuti ed elaborati dall’opposizione, González ha vinto le elezioni con più del 66 per cento dei voti.
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