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  • Venerdì 24 maggio 2024

La Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di fermare la sua offensiva a Rafah

È una decisione molto importante a livello politico, che aumenta la pressione internazionale su Israele: il governo però ha già detto che non la rispetterà

(AP Photo/Peter Dejong)
(AP Photo/Peter Dejong)
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Venerdì la Corte internazionale di giustizia (ICJ), il più importante tribunale delle Nazioni Unite, ha ordinato a Israele di fermare l’attacco a Rafah, l’ultima città non ancora invasa da Israele, dove l’esercito israeliano ha cominciato una graduale offensiva all’inizio di questo mese. I giudici della Corte hanno definito la situazione a Rafah «disastrosa» e hanno detto che le catastrofiche condizioni di vita della popolazione sono «ulteriormente peggiorate», in particolare per la prolungata e diffusa privazione di cibo: per questo, Israele deve «sospendere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah, che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, in tutto o in parte».

Questa frase è stata da subito ampiamente analizzata da giuristi, politici e giornali: secondo la maggior parte significa che Israele deve interrompere completamente la sua offensiva militare sulla città e tutte le operazioni che comportino un rischio di genocidio nei confronti della popolazione, ma una minoranza, nelle parole del giudice israeliano della Corte Aharon Barak (che si è opposto alla misura), sostiene invece che la decisione imponga di fermare l’offensiva militare «solo nella misura in cui è necessario per rispettare gli obblighi di Israele ai sensi della Convenzione sul genocidio». Questa opinione è stata la più ripresa dal governo e dai giornali israeliani.

La Corte ha inoltre chiesto che Israele apra il varco di Rafah con l’Egitto per permettere l’ingresso di aiuti umanitari e che garantisca l’accesso nella Striscia di Gaza a esperti di diritto internazionale nel caso in cui vengano istituite delle missioni d’inchiesta per investigare se sia stato commesso o meno un genocidio. Ha inoltre detto che fra un mese Israele dovrà presentare ai giudici della Corte un report in cui dimostra di aver compiuto dei progressi nell’applicazione di queste misure.

La decisione riguarda una richiesta presentata la settimana scorsa dal Sudafrica, nell’ambito di una più ampia causa presentata contro Israele a dicembre. Con ogni probabilità Israele non rispetterà questa decisione: la Corte internazionale di giustizia non ha una forza di polizia o altri mezzi per fare rispettare le proprie sentenze, che in più di un’occasione sono state ignorate. Un portavoce del governo israeliano, prima della sentenza, aveva già detto che «nessun potere al mondo fermerà Israele dal proteggere i suoi cittadini».

Nello specifico, quella della Corte è una “misura provvisoria”, cioè un provvedimento urgente emesso all’interno di una causa più lunga e ampia: a dicembre il Sudafrica aveva intentato una causa contro Israele sostenendo che la guerra nella Striscia di Gaza condotta dall’esercito israeliano costituirebbe un atto di genocidio contro il popolo palestinese. I giudici dell’ICJ potrebbero impiegare anni per raggiungere una decisione in merito. Già a gennaio avevano però ordinato a Israele di intervenire immediatamente per prendere «tutte le misure in suo potere» per impedire all’esercito di commettere atti di genocidio nella Striscia di Gaza, riconoscendo quindi che l’accusa era quantomeno «plausibile».

A marzo la Corte aveva emesso nuove misure provvisorie, ordinando a Israele di garantire «senza indugi» l’apertura di nuovi varchi per consentire l’accesso a Gaza dei mezzi che trasportano carburante e aiuti umanitari: i giudici della Corte hanno detto che la carestia tra la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza «non è più un rischio, ma una situazione che si sta diffondendo».

– Leggi anche: Cosa si mangia a Gaza se non c’è niente da mangiare

Israele nega categoricamente di stare commettendo un genocidio e sostiene che la sua campagna militare sia configurabile come legittima difesa. In questa idea rientra anche l’invasione via terra di Rafah, l’unico modo in cui, secondo l’esercito israeliano, sarà possibile sconfiggere definitivamente Hamas: da quando Israele ha iniziato l’invasione della città, due settimane fa, più di 450mila su 1,4 milioni di persone che si erano rifugiate lì sono scappate verso le città vicine, che non sono tuttavia considerate zone sicure dalla comunità internazionale. Anche prima, tuttavia, la situazione a Rafah era molto problematica: da mesi manca quasi del tutto il cibo e gli aiuti umanitari che arrivano, quando riescono ad arrivare, sono insufficienti per la quantità di persone presenti.

Come detto, è improbabile che Israele rispetti questa decisione. Le richieste della Corte internazionale di giustizia sono in teoria vincolanti, ma la Corte non ha davvero mezzi per farle rispettare. Tuttavia, la decisione dell’ICJ è importante a livello politico e si aggiunge ad altre misure e dichiarazioni dell’ultima settimana che rendono sempre più chiaro quanto Israele sia isolato a livello internazionale.

Lunedì il procuratore capo della Corte penale internazionale (ICC), il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità (che è completamente separato dall’ICJ e non dipende dall’ONU), ha chiesto alla Corte di emettere un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, oltre che per tre leader di Hamas nella Striscia di Gaza. Mercoledì i governi di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno anche annunciato l’intenzione di riconoscere formalmente lo Stato di Palestina.