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  • Martedì 12 marzo 2024

Cosa si mangia a Gaza se non c’è niente da mangiare

La situazione è gravissima soprattutto nel nord: la gente si arrangia come può, mangiando erbe, cibo scaduto o il mangime per animali, ma sta finendo anche quello

Bambini in coda per ricevere un po' di zuppa a Rafah, il 16 febbraio del 2024
Bambini in coda per ricevere un po' di zuppa a Rafah, il 16 febbraio del 2024 (AP Photo/ Fatima Shbair)
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«Di solito prima del Ramadan ognuno chiede agli altri: ‘ma tu digiuni?’», ha scritto su Repubblica il giornalista di Gaza Sami al Ajrami il 7 marzo, riferendosi al precetto di non bere né mangiare dall’alba al tramonto durante il mese sacro per le persone musulmane: quest’anno però «la risposta è ‘sto già digiunando’». La scarsità di cibo è ormai da tempo un’emergenza gravissima nella Striscia di Gaza, specialmente nel nord, dove le consegne di aiuti umanitari durante l’operazione militare di Israele sono molto meno frequenti rispetto al sud, dove continuano ad arrivare tramite il varco di Rafah, al confine con l’Egitto, sebbene in maniera irregolare e tra enormi difficoltà. Il cibo o manca o costa moltissimo, e quindi molti non se lo possono permettere.

In queste circostanze, la popolazione civile si sta arrangiando come può: cammina per ore per cercare avanzi, raccoglie erbe di campo da bollire su stufe improvvisate all’aperto oppure usa il mangime per animali, ma adesso sta finendo anche quello.

Già all’inizio di febbraio un operatore sanitario attivo a Beit Lahia, nel nord della Striscia, aveva detto a BBC News che le scorte di cibo in scatola erano una rarità e che bambine e bambini restavano senza cibo per giorni. «Quello che avevamo arrivava dai sei o sette giorni di tregua» di novembre, diceva, ma gli aiuti sono ormai finiti e le persone «di fatto mangiano riso, e solo riso». Alcune avevano già cominciato a macinare il mangime per animali per farci del pane. Più di recente altri media hanno raccolto testimonianze simili. Tre famiglie sentite dal New York Times in questi giorni hanno detto che ogni giorno non sanno se riusciranno a mangiare e cosa.

In un articolo pubblicato il 4 marzo, l’agenzia di stampa New Humanitarian ha intervistato due uomini che vivono a Beit Hanon, vicino a Beit Lahia. Uno di loro, non riuscendo a trovare il latte per la figlia piccola, le aveva dato del pane fatto appunto con mangime per animali, ma lei era stata male e aveva vomitato sangue; la bambina ora pesa sei chili, la metà del suo peso prima dell’inizio della guerra, cominciata lo scorso 7 ottobre con i violenti attacchi di Hamas in territorio israeliano. Il cognato dell’uomo racconta che la sua famiglia ha cominciato a mangiare l’erba e che i soldati israeliani gli avevano sparato contro in varie occasioni mentre la raccoglieva: «Queste sono le nostre alternative», ha detto, «se non veniamo uccisi, moriremo di fame».

Il New York Times ha parlato invece con Aseel Mutair, che ha 21 anni, vive a Beit Lahia e fino a cinque mesi fa studiava all’università. Mutair ha detto che la scorsa settimana lei e la sua famiglia si sono divisi due volte una pentola di zuppa che erano riusciti a prendere da una cucina che distribuiva aiuti umanitari. Un giorno aveva mangiato cinque datteri e aveva finito il barattolo di caffè istantaneo che le era avanzato da quando studiava; un altro giorno aveva condiviso con il padre e il fratello un po’ di lenticchie che le aveva dato sua zia e un altro ancora avevano bevuto solo del tè.

La gran parte dei negozi nella Striscia è distrutta o danneggiata, e chi ne aveva uno sta vendendo le ultime scorte, anche scadute, nei mercatini allestiti nelle strade. Le cose più a buon mercato che riesce a trovare la famiglia di Mutair sono l’orzo macinato, che viene appunto usato come mangime, e più di rado la farina di mais, che però è più costosa. Sua madre li usa per fare una specie di pita grossa come il palmo di mano che «non riesco neanche a spiegare quanto schifo faccia», dice. A volte la sua famiglia raccoglie le foglie di una varietà di malva locale per farne una zuppa. Se trova qualcosa da mangiare a metà giornata aspetta comunque l’ora di cena, per dormire meglio.

Hossam Masoud, che ha 35 anni e vive a Jabalia, ha detto a New Humanitarian che di solito cerca avanzi di cibo nei contenitori della spazzatura e sotto le case distrutte o abbandonate. «È diventato difficile trovare anche i cereali per gli animali», racconta, dicendo di camminare in giro per diverse ore nella speranza di trovarne anche solo un chilo, cadendo a terra in più occasioni perché gli mancano le forze. Amany Mteir, 52 anni, vive nella stessa zona e cerca il cibo nei mercatini dove le persone vendono o barattano ciò che hanno: al momento la sua famiglia, composta da sette adulti, sta mangiando solo brodo fatto con dado di pollo.

Un altro uomo che vive sempre nel nord della Striscia di Gaza dice che l’unica cosa rimasta da mangiare a lui e alla sua famiglia sono le pale dei fichi d’india. «Adesso le troviamo ancora, ma tra una settimana non ce ne saranno più», aveva detto a Reuters una decina di giorni fa, aggiungendo di aver perso 30 chili in un mese.

Masoud ha raccontato che a gennaio era riuscito a prendere un sacco di farina da un camion della UNRWA, cioè l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi, ma ormai è quasi finito. Era riuscito a prendere anche riso, olio e zucchero, che però gli erano stati portati via da alcuni uomini armati in abiti civili con le facce coperte, secondo cui aveva preso più di quanto aveva bisogno.

Le persone intervistate dal New Humanitarian hanno detto di non sapere chi siano questi uomini. In questi mesi Israele aveva accusato i membri di Hamas di rubare gli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile, ma secondo alcuni operatori umanitari potrebbero essere solo persone che rubano il cibo per rivenderlo sul mercato nero a prezzi più alti: un fenomeno che ha fatto alzare anche di dieci volte quelli dei prodotti più richiesti, con il risultato che moltissime famiglie non se li possono permettere.

Il New York Times osserva che prima della guerra un chilo di riso costava circa 2 euro e ora 22. Un chilo di farina bianca è passata da circa 0,77 a 18 euro, una confezione di latte a lunga conservazione da 1,3 a 4,62 e un barattolo di fagioli da 0,39 a 1,54. 

La situazione è un po’ migliore nel sud della Striscia, per quanto sempre disastrosa. Nizar Hammad, che ha 30 anni e vive in una tenda a Rafah con altre undici persone, tra cui quattro bambini, ha detto di non ricevere aiuti da due settimane. Il sacchetto di farina e le scatole di fagioli distribuiti a ogni famiglia di tanto in tanto non sono abbastanza, e quello che Hammad ha guadagnato in due settimane di lavoro in un mercato lo ha speso per comprare due buste di riso da un venditore per strada.

È anche per questo che il ministero dell’Interno della Striscia, controllato da Hamas, ha istituito un corpo di uomini armati per pattugliare Rafah e controllare i prezzi sul mercato nero, visto che la polizia locale non è operativa a causa degli attacchi israeliani, scrive Al Jazeera.

A Gaza pescare è impossibile, visto che dallo scorso 7 ottobre è vietato usare le barche in mare, e anche coltivare è impraticabile. Con la scarsità di mangime muore anche il bestiame, e spesso non è facile nemmeno procurarsi l’acqua. C’è poi chi nota che a volte il cibo consegnato con gli aiuti umanitari è andato a male, oppure che la carne in scatola è così cattiva che neanche i gatti la mangiano.

Tutto questo aggrava la situazione umanitaria della popolazione palestinese, che da tempo è già al collasso. L’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) ha detto che un quarto della popolazione della Striscia, circa 570mila persone, «è a un passo dalla carestia». Sempre secondo l’OCHA tra i bambini che hanno meno di due anni uno su sei è gravemente malnutrito e deperito.

Come ha scritto anche al Ajrami, che è nato nel campo profughi di Jabalia, ha iniziato a fare il corrispondente nel 2004 e scrive dal sud della Striscia, all’interno di ogni pacco di aiuti umanitari «ci sono tre piccoli pasti per una persona, come quelli che si usano per i militari: una colazione con del pane e del formaggio, riso e pollo». Gli aiuti non sono sufficienti per tutta la popolazione, inoltre mancano le medicine e «i negozi, i pochi aperti, vengono presi d’assalto».

«Di solito in questo periodo dell’anno le persone facevano le compere per il Ramadan», continua al Ajrami, ma quest’anno «niente di tutto questo succederà» perché a Rafah i prezzi «sono completamente folli».

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