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  • Sabato 27 gennaio 2024

Cosa farà Israele dopo la decisione della Corte internazionale di giustizia?

Il governo non sembra avere molte intenzioni di seguirla: il primo ministro Netanyahu ha definito «oltraggiosa» l'accusa di genocidio e alcuni suoi ministri sono stati anche più critici

(Ronen Zvulun/Pool Photo via AP)
(Ronen Zvulun/Pool Photo via AP)
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Il governo israeliano non ha ancora deciso ufficialmente cosa fare dopo l’importante decisione con cui venerdì la Corte internazionale di giustizia gli ha ordinato di prendere misure immediate per impedire un genocidio nella Striscia di Gaza. La Corte non ha ordinato a Israele un cessate il fuoco, ma gli ha comunque chiesto di adottare cinque “misure provvisorie” che, se messe in atto, cambierebbero radicalmente la campagna militare israeliana nella Striscia.

La decisione è arrivata come misura preliminare nell’ambito della causa presentata contro Israele dal Sudafrica, che lo ha accusato di genocidio nei confronti del popolo palestinese nella Striscia di Gaza. Arrivare a una sentenza potrebbe richiedere anni, ma nel frattempo con queste misure provvisorie la Corte ha riconosciuto quanto meno come «plausibile» l’accusa di genocidio.

La Corte internazionale è il più importante tribunale delle Nazioni Unite e in teoria le sue decisioni sono vincolanti, ma nella pratica non ha davvero i mezzi per farle rispettare. La decisione però è comunque molto rilevante e se ne sta parlando in tutto il mondo, e perciò sarà altrettanto rilevante il modo in cui il governo israeliano deciderà di rispondere.

Finora le reazioni del governo sono state molto critiche verso la decisione della Corte e l’hanno sostanzialmente screditata, facendo capire che Israele non intende rispettarla. Allo stesso tempo ignorarla del tutto potrebbe essere controproducente nell’ottica di mantenere una credibilità con gli alleati internazionali: negli ultimi tempi persino gli Stati Uniti, il più importante alleato di Israele, hanno iniziato a criticare la gestione della guerra da parte del governo del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Proprio le dichiarazioni di Netanyahu dopo la decisione della Corte sembrano mostrare la volontà di mantenere almeno per ora una certa ambiguità al riguardo. Il primo ministro israeliano ha sottolineato soprattutto il fatto che la Corte non abbia chiesto a Israele di interrompere immediatamente i combattimenti, come invece aveva chiesto il Sudafrica. Poi però ha definito «falsa» e «oltraggiosa» l’accusa di genocidio, ribadendo che Israele continuerà la guerra «fino alla vittoria totale, cioè finché non avremo sconfitto Hamas, finché non avremo riavuto tutte le persone che sono state rapite e finché non ci saremo assicurati che Gaza non costituisca una minaccia per Israele».

Hamas è il gruppo armato radicale palestinese che governa la Striscia di Gaza e che ha compiuto il violento attacco del 7 ottobre contro Israele che ha dato inizio alla guerra in corso, in cui tra le altre cose sono state rapite più di 240 persone (più di cento delle quali però sono state liberate in scambi di prigionieri).

In una dichiarazione separata in inglese, successiva alla prima in lingua ebraica, Netanyahu è sembrato adattare maggiormente la sua retorica a un pubblico internazionale, mostrandosi leggermente più aperto nei confronti della decisione della Corte: «L’impegno di Israele verso il diritto internazionale è inflessibile», ha detto, assicurando che la guerra è contro «i terroristi, non contro i civili palestinesi» e che il governo israeliano «continuerà ad agevolare l’ingresso di assistenza umanitaria, e di fare il possibile per tenere i civili lontani dagli attacchi».

Secondo i dati forniti dal ministero della Salute della Striscia di Gaza, dall’inizio della guerra Israele ha ucciso più di 26mila palestinesi nella Striscia, la maggior parte dei quali civili.

Secondo informazioni raccolte da tv e giornali israeliani dopo il suo discorso Netanyahu avrebbe chiesto ai ministri del suo governo di astenersi da commenti sulla decisione della Corte finché non saranno fatte scelte precise e condivise su come affrontarla. Da alcune settimane sono in corso sforzi diplomatici per arrivare a una nuova tregua tra Israele e Hamas che potrebbe durare anche più a lungo di quella di novembre (durata poco più di una settimana), e nel caso fosse raggiunta Israele potrebbe presentarla come uno sforzo di andare incontro alle richieste della Corte. Tra le altre cose la Corte ha ordinato a Israele di presentarsi di nuovo davanti al tribunale tra un mese per verificare che le misure per evitare il genocidio siano state applicate.

Diversi dei ministri però non hanno seguito l’indicazione di Netanyahu, e le loro dichiarazioni hanno mostrato chiaramente una forte ostilità nei confronti della Corte e la volontà di proseguire la guerra esattamente come è avvenuta finora.

Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto che Israele «non ha bisogno di lezioni sulla moralità» mentre combatte contro Hamas a Gaza. «Chi cerca giustizia non la troverà sulle poltrone di pelle delle aule dei tribunali dell’Aia [la città olandese dove ha sede la Corte] ma nei tunnel di Hamas a Gaza, dove sono detenuti 136 ostaggi e dove si nascondono quelli che hanno ucciso i nostri bambini», ha aggiunto molto polemicamente.

Il ministro della Pubblica sicurezza, Itamar Ben Gvir, uno dei più estremisti del governo di Netanyahu, ha invece accusato la Corte di antisemitismo: «Questa Corte non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico». Ha detto che la Corte «è stata zitta durante l’Olocausto», cioè lo sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, ma in realtà la Corte nella sua forma attuale è stata fondata nel 1945. Anche sulla possibilità di cambiare l’atteggiamento di Israele nella guerra è stato piuttosto netto: «Le decisioni che mettono in pericolo l’esistenza dello Stato di Israele non vanno seguite».

Una delle frasi più violente pronunciate da Ben Gvir negli ultimi mesi è stata citata nella decisione della Corte di venerdì, quella in cui il ministro aveva detto che la “distruzione di Hamas” doveva includere anche «quelli che festeggiano, quelli che sostengono e quelli che distribuiscono caramelle: sono tutti terroristi e devono essere distrutti», riferendosi così anche ai civili della Striscia di Gaza e a chi portava loro aiuti.

Nel diritto internazionale il crimine di genocidio ha caratteristiche specifiche e stringenti: indipendentemente dal merito del caso, è molto difficile provare in un tribunale internazionale che una guerra come quella di Israele a Gaza costituisce anche un crimine di genocidio. La Corte internazionale di giustizia, fino a oggi, non ha mai condannato uno stato per genocidio. Israele nega fortemente ogni accusa di genocidio e sostiene che Hamas sia colpevole di mettere in pericolo la popolazione civile a Gaza, posizionando intenzionalmente le proprie basi militari nelle zone più densamente popolate per usare i civili come “scudi umani”.

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