• Mondo
  • Martedì 5 marzo 2024

Israele vuole uccidere i leader di Hamas anche all’estero

Ha una lunga storia di operazioni mirate segrete, e il governo di Benjamin Netanyahu ha già annunciato di voler eliminare i propri nemici «ovunque siano»

 (AP Photo/Oded Balilty)
(AP Photo/Oded Balilty)
Caricamento player

Dopo l’attacco del 7 ottobre compiuto da Hamas contro Israele, vari esponenti del governo israeliano hanno detto molto chiaramente che intendono portare avanti una campagna militare per uccidere i leader di Hamas non soltanto nella Striscia di Gaza, ma anche in vari paesi del Medio Oriente, dove i funzionari del gruppo radicale palestinese sono ospitati e hanno uffici e sedi.

Secondo Politico, che ha dedicato a questa operazione israeliana un lungo articolo, Israele è pronto a mettere in atto uccisioni mirate di membri di Hamas non soltanto in paesi come il Libano, dove si sospetta che Israele sia già intervenuto, ma anche in Turchia e Qatar, dove sono ospitati molti dei leader del gruppo armato, o persino in Europa.

Il 5 gennaio in un bombardamento con i droni sette persone furono uccise nei pressi di Beirut: fra loro c’era Saleh al Arouri, uno dei più importanti dirigenti di Hamas. Come sempre in questi casi, Israele non ha confermato di aver effettuato l’attacco, rifiutando ogni commento ufficiale, ma tutti gli esperti internazionali e i governi stranieri hanno pochi dubbi: al Arouri è stato probabilmente solo il primo degli obiettivi di Israele.

Il leader di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah, a destra, incontra Ziad al-Nakhleh, capo del Jihad islamico, al centro, e Saleh al Arouri, leader di Hamas, a Beirut (Hezbollah Media Relations Office, via AP )

Israele ha una lunga storia di operazioni condotte all’estero per eliminare i propri nemici, iniziata nel 1955 (un colonnello egiziano a Gaza). Alcune sono diventate particolarmente famose, come l’operazione che portò all’uccisione di molti dei responsabili degli attacchi alla squadra olimpica di Monaco 1972.  Rispetto al passato anche recente, quando queste missioni erano condotte in segreto, dopo gli attacchi del 7 ottobre sono state di fatto annunciate.

Già il 22 novembre il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva detto in un messaggio alla nazione di aver dato istruzioni al Mossad, il servizio segreto israeliano per l’estero, affinché «colpisse i capi di Hamas ovunque fossero». Mark Regev, consigliere del primo ministro, aveva spiegato anche più chiaramente: «La nostra posizione è che chiunque abbia avuto un ruolo nei massacri del 7 ottobre debba pagare un prezzo. Li troveremo e giustizia verrà fatta».

Parlando con Politico, l’ex ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite Danny Danon ha detto: «Israele darà loro la caccia, ovunque si trovino, in qualunque momento, e lo sanno. Sanno che non si possono nascondere a Beirut, in Qatar, in Turchia, in Europa».

L’esercito israeliano ritiene che parte dei responsabili degli attacchi di Hamas, a cui hanno partecipato circa 2.000 miliziani e che hanno causato circa 1.200 morti, con 253 ostaggi, si rifugi ancora nella rete di tunnel costruita negli anni sotto la Striscia di Gaza, e in particolare ora nella zona di Rafah, l’unica che non sia stata oggetto dei devastanti bombardamenti che hanno provocato più 30mila morti fra i palestinesi dall’inizio della guerra. Fra questi il capo politico del gruppo radicale Yahya Sinwar e il fratello Mohammed sono due degli obiettivi più ricercati.

La maggior parte dei leader politici e militari dell’organizzazione vive però da tempo all’estero. Alcuni erano in Libano, come al Arouri, ma avrebbero lasciato il paese dopo la sua uccisione, molti vivono e hanno uffici “diplomatici” in Qatar, come Ismail Haniyeh, capo dell’ala politica dell’organizzazione. Altri paesi che negli anni hanno ospitato esponenti di Hamas sono la Turchia, l’Iran e la Russia. Israele ha dimostrato in passato di saper colpire anche in contesti particolarmente ostili, come nel caso dell’uccisione in Iran nel 2020 di Mohsen Fakhrizadeh, uno dei più importanti scienziati nucleari iraniani.

Al momento non è chiaro se sia stata già programmata una campagna di uccisioni mirate da parte di Israele, ma praticamente nessun funzionario o ex funzionario israeliano mette in dubbio che ci sarà. Yaakov Peri, l’ex capo dello Shin Bet, il servizio segreto interno, ha detto sempre a Politico che Israele colpirà i leader di Hamas anche in Europa, se dovrà servire. «Gli europei sono abituati al fatto che Israele arrivi [sul loro territorio] e uccida terroristi», ha detto. «L’unica cosa è che [gli uccisi] non devono essere cittadini di quei paesi. Non possono essere francesi o belgi, per esempio».

La determinazione espressa dalla leadership israeliana nel perseguire omicidi mirati dei leader di Hamas è secondo alcuni osservatori anche un potenziale problema nelle trattative per un cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi ancora in mano dell’organizzazione. I capi di Hamas potrebbero ritenere che una chiusura delle trattative con riconsegna degli ostaggi lascerebbe mano libera ai servizi segreti israeliani: a quel punto le operazioni potrebbero essere svolte anche in Qatar, paese che invece al momento è centrale nel portare avanti i negoziati.

La prima volta che Israele mise in piedi una operazione coordinata e a lungo termine per l’eliminazione dei propri nemici era il 1972: il 5 settembre a Monaco di Baviera, dove erano in corso le Olimpiadi estive, otto guerriglieri palestinesi appartenenti all’organizzazione Settembre Nero entrarono nella palazzina del villaggio olimpico che ospitava gli atleti israeliani: uccisero subito due israeliani e ne presero nove in ostaggio, che sarebbero stati uccisi in seguito. Quell’attacco ebbe un enorme impatto sull’opinione pubblica israeliana.

L’attacco al villaggio olimpico a Monaco nel 1972 (AP Photo)

Dopo la strage di Monaco Israele organizzò l’operazione denominata Mivtza Za’am Ha’el (Ira di Dio), per colpire tutti coloro che avevano avuto un ruolo decisionale nella strage delle Olimpiadi. La storia è raccontata anche nel film Munich, di Steven Spielberg, tratto dal libro Vendetta di George Jonas. L’operazione fu affidata a un’unità del Mossad chiamata Kidon (baionetta) guidata da Mike Harari. Il Mossad diede a Harari una lista di 35 nomi.

Il 16 ottobre 1972 venne ucciso a Roma Wael Zwaiter, cugino di Arafat e rappresentante dell’OLP in Italia. A Parigi fu ucciso l’8 dicembre Mahmoud Hamshari, rappresentante dell’OLP in Francia e, secondo il Mossad, coinvolto nell’ideazione dell’attacco di Monaco. Nei mesi e anni successivi attacchi israeliani furono condotti a Atene, Roma, Parigi e Varsavia: gli ultimi membri di Settembre Nero furono uccisi nel 1986, quando un’autobomba a Limassol, Cipro, uccise Abu Al Hassan Qasim e Hamdi Adwan.

L’operazione Ira di Dio è solo la più complessa e nota fra quelle che prevedevano uccisioni all’estero. Il giornalista israeliano Ronen Bergman nel libro Rise and Kill First ha ricostruito la storia di tali omicidi mirati stimando che l’esercito israeliano dal secondo dopoguerra abbia portato avanti 2.700 operazioni di questo tipo. Nel 2008 Imad Mughniyeh, capo militare di Hezbollah, fu ucciso con un’autobomba a Damasco, in Siria, e nel 2010 agenti israeliani uccisero il leader di Hamas Mahmoud al Mabhouh a Dubai, causando tensioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti.

Altre volte queste operazioni ebbero meno successo e crearono casi internazionali. L’obiettivo forse più importante dell’operazione Ira di Dio era Ali Hassan Salameh, soprannominato Principe rosso, comandante di Forza 17, la guardia personale di Arafat e considerato vero ispiratore dell’attentato di Monaco. Un gruppo del Kidon credette di averlo individuato nell’estate del 1973 a Lillehammer, in Norvegia. Fu però un clamoroso errore di persona. Gli agenti israeliani uccisero un cameriere marocchino, del tutto estraneo al terrorismo palestinese: Ahmed Bouchiki. I sei membri del gruppo israeliano vennero arrestati, processati in Norvegia e condannati a cinque anni di carcere. Furono però tutti rilasciati subito dopo la condanna. Salameh fu ucciso da un’autobomba a Beirut il 22 gennaio 1979.

Sostenitori di Hamas con un poster di Khaled Mashal (AP Photo/Hatem Moussa)

Nel 1997 Netanyahu, al suo primo mandato come primo ministro, ordinò l’uccisione di Khaled Mashal, uno dei fondatori di Hamas che viveva allora in Giordania: agenti israeliani si fecero passare per turisti canadesi e avvelenarono Mashal spruzzandogli una tossina nell’orecchio: furono però arrestati dalle autorità giordane. Per ottenere la loro liberazione Netanyahu dovette inviare l’antidoto del veleno (Mashal era in coma, ma vivo, e si sarebbe poi ripreso) e liberare 70 prigionieri palestinesi fra cui il leader spirituale Ahmed Yassin. Per Israele l’operazione fu un enorme fallimento, grazie anche a quell’episodio Hamas aumentò le proprie capacità di reclutamento e la propria influenza.

Negli anni si è molto discusso anche in Israele dell’utilità strategica di tali operazioni, che i critici sostengono siano animate soprattutto da un desiderio di vendetta: le organizzazioni terroristiche i cui leader sono stati uccisi sono sempre sopravvissute e sono state in grado di riorganizzarsi.