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  • Mercoledì 22 settembre 2021

Lo scienziato iraniano ucciso con l’intelligenza artificiale

Mohsen Fakhrizadeh fu assassinato un anno fa con una sofisticata mitragliatrice attivata a distanza, scrive il New York Times

I funerali di Mohsen Fakhrizadeh il 30 novembre 2020 a Teheran (Iranian Defense Ministry via AP)
I funerali di Mohsen Fakhrizadeh il 30 novembre 2020 a Teheran (Iranian Defense Ministry via AP)
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A fine novembre del 2020 fu ucciso in Iran Mohsen Fakhrizadeh, uno dei più importanti scienziati nucleari iraniani, che Israele e gli Stati Uniti consideravano la mente dietro ai piani dell’Iran di sviluppare un’arma nucleare. Anche se Israele, il più grande nemico dell’Iran in Medio Oriente, non lo ha mai confermato ufficialmente (come fa di solito in questi casi), Fakhrizadeh fu ucciso attraverso un’operazione di intelligence israeliana di cui si è parlato molto perché si basò su un’arma mai usata prima sul campo: una mitragliatrice attivata da remoto a più di 1.600 chilometri di distanza, e comandata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Un articolo del New York Times ha aggiunto dettagli a questa storia, in un lungo resoconto basato su una serie di interviste con funzionari iraniani, israeliani e statunitensi, due dei quali furono direttamente coinvolti nella pianificazione della complessa operazione che ha portato all’assassinio di Fakhrizadeh.

Mohsen Fakhrizadeh, ucciso a 62 anni, era una figura di grande rilievo all’interno del ministero della Difesa iraniano, oltre che un noto fisico nucleare che aveva avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del programma nucleare iraniano.

Quello del nucleare iraniano è una delle questioni più complicate e longeve della diplomazia internazionale: l’Iran possiede una serie di mezzi, tra cui centrali nucleari e installazioni per arricchire l’uranio (un passaggio fondamentale per la costruzione della bomba atomica), che possono permettergli di sviluppare armamenti nucleari. I paesi occidentali, i loro alleati e Israele sostengono che l’Iran sia intenzionato a realizzare un’arma nucleare, mentre il governo iraniano lo ha sempre negato, mantenendo però un atteggiamento molto ambiguo e rifiutando, per esempio, i controlli degli ispettori internazionali nelle sue installazioni.

Lo scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh, nel 2019 (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)

Nel corso degli anni Israele ha portato avanti diverse operazioni di intelligence per contrastare l’armamento nucleare iraniano, con campagne di sabotaggio, cyberattacchi contro le installazioni iraniane per l’arricchimento dell’uranio, e anche una serie di uccisioni di funzionari e scienziati nucleari che avrebbero potuto aiutare il paese a dotarsi di armi nucleari. Dal 2007 a oggi, sono stati uccisi cinque scienziati, la maggior parte dei quali agiva sotto la direzione di Fakhrizadeh, che era quindi uno dei bersagli più importanti. C’erano stati precedenti tentativi di ucciderlo, che per un motivo o per un altro non erano mai riusciti. Nel 2009, per esempio, un’imboscata a Fakhrizadeh fu revocata quando il gruppo che doveva ucciderlo si era già appostato nel luogo in cui avrebbe dovuto sparare, perché all’ultimo qualcosa era andato storto.

La campagna di sabotaggio israeliana si fermò nel 2012, quando cominciarono le trattative che portarono all’accordo sul nucleare del 2015, che stabiliva una serie di parametri sulla gestione del nucleare civile da parte dell’Iran che avrebbero reso più complicati i suoi eventuali piani di sviluppare un’arma nucleare. La campagna di sabotaggio riprese però durante la presidenza di Donald Trump, che aveva annullato l’accordo sul nucleare nel 2018.

– Leggi anche: L’accordo sul nucleare iraniano, spiegato

Mohsen Fakhrizadeh era uno dei primi bersagli. Fisico nucleare, Fakhrizadeh era un membro delle Guardie rivoluzionarie, il corpo militare creato poco dopo la rivoluzione khomeinista del 1979. Secondo fonti citate dal New York Times, si era espresso in modo esplicito sull’intenzione di sviluppare armi nucleari. Lo scienziato sapeva chiaramente di essere il possibile obiettivo di un assassinio mirato, ma aveva sempre trascurato il pericolo: Israele aveva minacciato di ucciderlo così tante volte che Fakhrizadeh smise di prendere le minacce sul serio e, a un certo punto, cominciò anche a rifiutare la scorta (il che contribuì alla riuscita dell’operazione che portò al suo assassinio).

Fu ucciso mentre si trovava a bordo di un’auto a nord di Teheran: la sua morte fu un evento importante, che portò il parlamento iraniano a rispondere all’attacco votando una legge che obbligava l’Agenzia dell’energia atomica iraniana a tornare ad arricchire l’uranio al 20 per cento, il livello massimo raggiunto prima dell’accordo sul nucleare del 2015.

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Era un pomeriggio di novembre, e Fakhrizadeh era partito in macchina con sua moglie dalla loro casa vicino al Mar Caspio, per trascorrere il fine settimana nella casa in campagna ad Absard, a est di Teheran. Anche quella mattina, come altre volte, i servizi di intelligence gli avevano proposto di portarlo con un’auto corazzata dicendo che il rischio di attentati contro di lui era molto alto, ma lui, come altre volte, aveva rifiutato. Era partito su un’automobile ordinaria, che guidava lui stesso con sua moglie di fianco, e la scorta lo seguiva su un’altra automobile.

Arrivato vicino ad Absard, intorno alle 3 del pomeriggio, il muso della sua macchina fu colpito da una prima scarica di proiettili. La macchina sbandò, lui inchiodò, e arrivò subito una seconda scarica di proiettili che lo colpì alla spalla. Fakhrizadeh uscì dalla macchina, si rannicchiò dietro la portiera aperta, e gli arrivarono altri tre colpi nella schiena, che lo uccisero. Pochi istanti dopo arrivarono le guardie del corpo: sua moglie gli reggeva la testa, seduta sull’asfalto.

Le ricostruzioni immediate furono varie, contraddittorie e molto confuse. L’Iran sosteneva che Fakhrizadeh fosse stato ucciso da un gruppo di «terroristi», e la tv di stato diceva che si erano appostati sul lato della strada, cominciando poi a sparare quando l’auto Fakhrizadeh era passata di lì. Inizialmente le autorità iraniane dissero che un camion era esploso e che alcuni uomini armati avevano sparato allo scienziato, uccidendolo assieme alla sua guardia del corpo. La tv di stato aveva poi intervistato persone che abitavano nei paraggi e che, da testimoni oculari, confermavano di aver visto alcuni uomini armati che avevano sparato contro Fakhrizadeh.

Nei giorni successivi, alcuni media iraniani smentirono tutte queste ricostruzioni, dicendo che le armi usate per uccidere Fakhrizadeh erano armi «a controllo satellitare», e che, insomma, Fakhrizadeh era stato ucciso da un’arma gestita da remoto.

Inizialmente la tesi sembrò talmente incredibile che molti iraniani pensavano che fosse una scusa del governo iraniano per giustificare il proprio fallimento nelle operazioni di protezione di uno dei più importanti scienziati del paese, minacciato da Israele da anni. Sui social si fece anche ironia su questa storia del “robot” che aveva ucciso Fakhrizadeh, e Thomas Withington, un analista esperto di guerra, disse alla BBC che l’ipotesi andava presa con molta cautela.

La bara di Mohsen Fakhrizadeh, trasportata da militari iraniani (Iranian Defense Ministry via AP)

In realtà era vero: Fakhrizadeh era stato ucciso da una serie di proiettili sparati da una mitragliatrice sistemata, in mezzo ad alcuni teloni e materiali edili, su un pick-up Nissan che alcuni agenti iraniani che lavoravano per il Mossad (cioè i servizi segreti israeliani) avevano parcheggiato su un rialzo vicino alla strada percorsa da Fakhrizadeh, da cui era possibile vedere bene la strada e le macchine che passavano.

Intorno all’ora di pranzo, gli agenti avevano saputo che Fakhrizadeh era partito con la moglie, e si erano coordinati per portare a termine l’operazione: a premere il grilletto fu una persona che si trovava a più di mille chilometri di distanza, e che aveva guardato gli ultimi movimenti dell’auto di Fakhrizadeh attraverso uno schermo, facendo uso delle telecamere montate sulla mitragliatrice, mentre un sistema di intelligenza artificiale regolava la precisione degli spari tenendo conto di ritardo delle immagini, vibrazioni prodotte dal contraccolpo e velocità dell’auto dello scienziato.

L’attacco aveva richiesto mesi di lavoro, e fu il risultato di una lunghissima e dettagliata pianificazione.

Bisognava, per esempio, capire come portare l’arma sul luogo. Un funzionario dell’intelligence che aveva partecipato alla pianificazione dell’attacco ha detto al New York Times che la mitragliatrice scelta dall’intelligence israeliana era una FN MAG (Mitrailleuse d’Appui Général) belga, che ha avuto una grande diffusione dalla Seconda guerra mondiale in poi e che è dotata di una specie di cavalletto che facilita il suo posizionamento nel momento in cui non sia direttamente imbracciata da un essere umano, come accade nel caso di un attacco mirato a distanza.

È però una mitragliatrice pesante, e non era facile trasportarla sul luogo senza che venisse notata. Venne così smontata: i vari pezzi vennero introdotti illegalmente nel paese con percorsi e tempi diversi, e poi segretamente riassemblati una volta arrivati in Iran. La mitragliatrice fu sistemata in un veicolo vuoto e fermo a bordo strada, dunque un’arma sostanzialmente invisibile, anche perché fu montata su un pick-up a cui mancava una ruota, che sembrava chiaramente abbandonato.

Sul pick-up su cui era stata disposta vennero poi montate una serie di telecamere – gli occhi, di fatto, con cui gestire l’attacco da remoto in mancanza di un essere umano – in modo da dare a chi gestiva l’arma da lontano una piena visione della zona circostante. Al veicolo furono anche aggiunti anche esplosivi programmati per far esplodere il tutto dopo l’attacco, cancellando ogni prova.

L’auto su cui viaggiava Mohsen Fakhrizadeh, nel luogo dell’attacco (Fars News Agency via AP)

C’era poi il problema della stabilità delle telecamere: bisognava assicurarsi che non si spostassero a causa del contraccolpo dei primi spari, in modo da garantire la precisione dello sparo anche nelle successive scariche di proiettili. Infine bisognava assicurarsi che il lievissimo ritardo di trasmissione delle immagini – i dati arrivavano via satellite, con circa 1,6 secondi di ritardo – non compromettesse il centramento dell’obiettivo (Fakhrizadeh sarebbe stato colpito mentre viaggiava in macchina, ed era quindi un obiettivo mobile).

Qui intervenne l’intelligenza artificiale, cioè un sistema studiato per fare in modo che i proiettili sparati da remoto centrassero il bersaglio nonostante il ritardo nelle comunicazioni, il contraccolpo e gli altri fattori che avrebbero potuto far perdere la mira.

L’intera operazione durò meno di un minuto, e a uccidere Fakhrizadeh bastarono, in totale, una quindicina di proiettili. Contrariamente a quanto pianificato, però, l’esplosione non riuscì a distruggere completamente la mitragliatrice, e a terra restarono le prove.

Nonostante questo, l’assassinio di Fakhrizadeh è stato il banco di prova di un’arma di fatto nuova molto sofisticata, il cui valore strategico può essere paragonato a quello di un drone armato, ma col vantaggio ulteriore di non essere visibile in aria e quindi potenzialmente intercettabile.

I primi incontri per organizzare l’operazione si erano svolti alla fine del 2019, cioè più di un anno e mezzo prima dell’assassinio dello scienziato. Avevano partecipato funzionari israeliani diretti dal Mossad e membri del governo americano, incluso lo stesso Donald Trump, il segretario di stato Mike Pompeo e la direttrice della CIA Gina Haspel.

Israele e gli Stati Uniti erano ancora più motivati a portare a termine l’operazione alla luce delle risposte piuttosto deboli dell’Iran ad altri e precedenti assassinii: quando a gennaio dello stesso anno un drone americano aveva ucciso a Baghdad, in Iraq, il potentissimo generale Qassem Suleimani, per esempio, la risposta successiva iraniana non fu considerata particolarmente forte.

Da parte sua, l’Iran aveva predisposto una serie di misure per proteggere Fakhrizadeh da eventuali attacchi, ma non furono sufficienti, e a questo si aggiunse anche un certo fatalismo da parte dello stesso Fakhrizadeh, che si era progressivamente abituato alle minacce di morte.

Nei mesi precedenti all’uccisione dello scienziato, Israele aveva attentamente riflettuto su quale fosse il mezzo migliore per eliminarlo. Non era la prima volta che l’intelligence israeliana faceva uso di attacchi a distanza, ma le volte precedenti le cose non erano andate bene: dopo che nel 2007 il primo scienziato nucleare iraniano era stato avvelenato, nel 2010 il secondo fu ucciso con una bomba fatta esplodere da remoto. La pianificazione era stata però incredibilmente complessa, e un funzionario iraniano che aveva partecipato all’operazione confessò tutto dopo essere stato arrestato. Per gli attacchi successivi, quindi, l’intelligence israeliana aveva optato per operazioni più semplici, in cui le persone venivano uccise da sicari che si accostavano alle loro auto con una moto, e sparavano, oppure lanciavano esplosivi.

Nel caso di Fakhrizadeh l’intelligence israeliana aveva escluso questa possibilità, perché era sicura che avrebbe viaggiato su un’auto corazzata. Pensarono allora a una bomba, ma avrebbe provocato troppe vittime civili.

L’opzione di posizionare una mitragliatrice sulla strada, quasi invisibile, silenziosa e controllata da remoto da qualcuno che potesse premere il grilletto nel momento giusto sembrò allora la migliore.

Secondo il New York Times, ad affrettare la decisione israeliana di assassinare Fakhrizadeh contribuì anche il contesto politico: l’assassinio è avvenuto a ridosso delle elezioni americane in cui era favorito il candidato Democratico Joe Biden, che nel suo programma aveva inserito la riattivazione dell’accordo sul nucleare tra Stati Uniti e Iran. Israele decise dunque di uccidere Fakhrizadeh finché era in carica l’amministrazione Trump, più incline a fornire il sostegno degli Stati Uniti a queste operazioni.

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