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  • Domenica 14 gennaio 2024

E il caso di Alfredo Cospito?

Lo sciopero della fame del detenuto anarchico ha fatto discutere moltissimo finché è durato, ma le conseguenze di quella protesta ci sono ancora

Una scritta sul muro dell'università Sapienza di Roma che chiede la liberazione di Cospito
Una scritta sul muro dell'università Sapienza di Roma che chiede la liberazione di Cospito (Cecilia Fabiano/LaPresse)
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Dal 20 ottobre del 2022 al 19 aprile del 2023, per 182 giorni, l’anarchico Alfredo Cospito ha fatto uno sciopero della fame in carcere per protestare contro il regime detentivo a cui era stato condannato pochi mesi prima, il 41-bis, il cosiddetto “carcere duro”. Durante quel periodo, attraverso il suo avvocato, Cospito aveva fatto sapere di voler attirare l’attenzione su come vengono applicati in Italia i regimi di detenzione severi come il 41-bis, riservati in teoria a persone molto pericolose. Il loro utilizzo è da tempo discusso e ritenuto da molti contrario ai principi costituzionali.

Ci riuscì: in quei mesi si parlò moltissimo sia del 41-bis che del caso di Cospito, che suscitò ampi dibattiti anche in parlamento ed ebbe conseguenze politiche rilevanti. Per via dello sciopero della fame le condizioni di salute di Cospito peggiorarono fino a fargli rischiare la morte in più occasioni: il governo di Giorgia Meloni fu per diverso tempo in difficoltà e ricevette pressioni affinché togliesse a Cospito il 41-bis, in modo da fargli interrompere lo sciopero e tutelare così la sua incolumità. Non lo fece.

Da quando è finita la protesta con lo sciopero della fame, ormai quasi nove mesi fa, di Cospito si è parlato progressivamente sempre meno, fino a che il suo caso non è quasi sparito dalle cronache. Nel frattempo sono arrivate nuove sentenze che hanno confermato la sua detenzione al 41-bis, è stata rideterminata la pena per la sua condanna più grave e le conseguenze politiche della sua protesta hanno portato a un processo a carico di un membro del governo, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro.

Oggi Cospito è detenuto nel carcere di Sassari, ancora al 41-bis, regime a cui fu condannato per 4 anni a maggio del 2022. Non è detto però che ci rimanga solo fino al 2026: 4 anni è il periodo massimo per cui si può applicare il 41-bis, ma può essere allungato di volta in volta con proroghe di due anni ciascuna. L’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini, dice di temere prolungamenti «per un periodo indefinito», visto che finora il governo ha fortemente difeso la detenzione di Cospito al 41-bis. In passato sul ricorso a questo regime detentivo per periodi eccessivamente lunghi sono stati sollevati molti dubbi di costituzionalità.

Cospito durante un'udienza del suo processo

Cospito durante un’udienza del suo processo (ANSA/TINO ROMANO)

Cospito ha un cumulo di pena da scontare di 30 anni, derivante da due diverse condanne e che in teoria terminerà nel 2042. Tuttavia Rossi Albertini dice che nei prossimi mesi potrebbero esserci nuovi sviluppi sulla questione del regime detentivo: a ottobre l’avvocato aveva chiesto la revoca anticipata del 41-bis per Cospito, ma la richiesta era stata respinta dal tribunale di sorveglianza di Roma. Il 19 marzo è stata fissata l’udienza alla Corte di Cassazione per valutare il ricorso dell’avvocato contro quella decisione. Se fosse accolto Cospito non uscirebbe dal 41-bis, ma il caso tornerebbe al tribunale di sorveglianza.

Parallelamente Cospito sta aspettando anche l’esito di un altro ricorso, quello presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (o CEDU), di cui però non si conoscono i tempi. È uno dei motivi per cui l’anarchico decise di interrompere lo sciopero della fame, dice il suo avvocato: se avesse continuato sarebbe probabilmente morto e non avrebbe potuto assistere all’esito di questo processo. Cospito spera che la CEDU censuri l’Italia per l’utilizzo del 41-bis nei suoi confronti, arrivando a dire che la misura non sia giustificata. Il 41-bis viene usato infatti non come misura più afflittiva, ma per evitare che un detenuto ritenuto pericoloso comunichi con la sua organizzazione all’esterno: in questo caso, secondo l’accusa, un gruppo anarchico che commette atti sovversivi. Rossi Albertini sostiene che non ci siano prove di un collegamento tra Cospito e gruppi anarchici all’esterno, né di suoi tentativi di comunicare con questi.

Se la CEDU stabilisse che l’Italia sta abusando dello strumento del 41-bis nei confronti di Cospito, allora si aprirebbero scenari difficili da prevedere: ci sarebbero nuovi ricorsi in Italia con elementi nuovi da valutare, il caso potrebbe tornare al centro del dibattito. Al momento però sono solo ipotesi.

Nel frattempo i sei mesi di sciopero della fame hanno compromesso grandemente la salute di Cospito: la conseguenza più grave è un forte calo della vista subìto negli ultimi mesi, ha detto il suo avvocato, che gli impedisce persino di leggere, una delle poche attività che ancora poteva fare al 41-bis.

Cospito nel 2013 durante un'udienza del processo a suo carico

Cospito nel 2013 durante un’udienza del processo a suo carico (ANSA/LUCA ZENNARO)

Cospito ha 56 anni, è originario di Pescara ed è un anarchico insurrezionalista, cioè seguace della teoria anarchica che prevede atti di ribellione violenta, sia individuale che collettiva. Nel 2013 fu condannato per aver ferito a Genova, con colpi di pistola alle gambe, il dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi: per quella condanna sta scontando una pena a 9 anni e 6 mesi. Quando era già in carcere venne condannato per un attentato con due bombe alla caserma dei carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, avvenuto nel 2006. Fu inizialmente condannato ad altri 20 anni di carcere, in primo e secondo grado, per il reato di “strage”. L’attentato non causò morti né feriti, ma è stato comunque condannato per quel reato visto che in Italia non esiste un reato di “tentata strage”.

A maggio del 2022 però la Corte di Cassazione, l’ultimo grado della giustizia italiana, stabilì che Cospito dovesse essere giudicato non per “strage comune” ma per “strage politica”, un reato più grave che prevede come pena l’ergastolo anche se l’attentato non ha ucciso nessuno (come nel caso di Cospito).

Contestualmente alla decisione della Cassazione a Cospito fu imposto il 41-bis, in quanto ritenuto appartenente a un’organizzazione terroristica: il 41-bis si applica infatti per impedire ad appartenenti a organizzazioni mafiose, terroristiche e altre ancora di mantenere i contatti con il proprio gruppo criminale all’esterno. Per quasi tutte le ore della giornata, tranne una o due, chi è sottoposto a questo regime carcerario rimane confinato nella propria cella, in cui a volte lo spazio è poco più ampio di quello occupato dal letto. Si può rimanere in questa condizione per anni, come abbiamo visto, con conseguenze psicologiche pesanti.

Cospito aveva già scontato 10 anni senza 41-bis, 6 dei quali in regime di “alta sicurezza”, che prevede la detenzione in una sezione del carcere con sorveglianza più stretta.

L’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia giustificò l’applicazione del 41-bis a Cospito con i «numerosi messaggi che, durante lo stato di detenzione, ha inviato a destinatari all’esterno del sistema carcerario; si tratta di documenti destinati ai propri compagni anarchici, invitati esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci». Secondo Cartabia, Cospito non mandò questi messaggi in forma segreta o nascosta, ma attraverso testi pubblicati su riviste anarchiche: il suo avvocato dice che per impedire queste comunicazioni erano sufficienti maggiori controlli sulla sua posta, senza arrivare al 41-bis.

Il 41-bis prevede una serie di misure estremamente restrittive tra cui isolamento nei confronti degli altri detenuti, la limitazione dell’ora d’aria (solo due ore e anch’esse in isolamento), la limitazione dei colloqui (solo con i familiari, con un vetro divisorio e senza possibilità di contatto fisico), il controllo della posta in entrata e in uscita, la privazione di giornali e libri. Il suo avvocato disse che Cospito riteneva che non valesse «la pena vivere in queste condizioni».

Il regime del 41-bis era divisivo già prima di Cospito, ma raramente in passato se ne era parlato con tanta insistenza tra i non addetti ai lavori. Per molti è tuttora determinante nel contrasto alla criminalità organizzata, per altri è una norma di dubbia costituzionalità, perché sarebbe contrario al senso di umanità e sarebbe una pena che non tende alla rieducazione del condannato, come prescrive la Costituzione. Tutte le volte in cui la Corte Costituzionale e la Corte europea per i diritti dell’uomo sono state chiamate a valutare la norma ne hanno decretato la legittimità. Alcune volte però sono state sanzionate alcune specifiche applicazioni, che è quello che spera di ottenere Cospito.

Dopo alcuni mesi in questo regime di detenzione Cospito cominciò lo sciopero della fame. Protestava anche contro la possibilità che la sua condanna a 20 anni si trasformasse in ergastolo ostativo, cioè l’ergastolo che non prevede la possibilità di accedere a benefici di legge come la liberazione condizionale, il lavoro all’esterno, i permessi premio e la semilibertà. Era una possibilità, vista la richiesta di rideterminare la sua pena sulla base del reato di strage politica. La sua protesta fu sostenuta dalla comunità anarchica, che organizzò manifestazioni (in cui ci furono anche scontri con la polizia) e altri atti dimostrativi, come un attacco informatico ai distributori di sigarette.

– Leggi anche: L’ergastolo ostativo e il 41-bis non sono la stessa cosa

Una manifestazione in solidarietà di Cospito a Torino

Una manifestazione in solidarietà di Cospito a Torino (LaPresse)

Durante lo sciopero della fame, mentre sul caso di Cospito si concentravano lungamente tutti i media, il suo avvocato presentò diversi ricorsi contro il 41-bis sostenendo che non ci fosse stato alcun cambiamento che potesse giustificare il nuovo regime detentivo. Nessuno andò a buon fine: il primo fu respinto dal tribunale di sorveglianza di Roma a dicembre del 2022; l’avvocato allora presentò un ulteriore ricorso in Cassazione, ma venne ugualmente respinto. In un procedimento separato, anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio respinse una richiesta di revoca del 41-bis per Cospito.

Una parte della vicenda giudiziaria di Cospito si concluse a giugno del 2023, poco più di due mesi dopo la fine del suo sciopero della fame, con l’udienza della Corte d’assise d’Appello di Torino che doveva rideterminare la pena sulla base del reato di strage politica: Cospito fu condannato a 23 anni, quindi tre in più rispetto alla precedente condanna, ma non all’ergastolo ostativo contro il quale protestava. La pena fu inferiore rispetto alla richiesta del procuratore generale (l’accusa), che aveva chiesto l’ergastolo e 12 mesi di isolamento diurno, perché gli venne riconosciuta l’attenuante della lieve entità.

Lo sciopero della fame di Cospito però intanto aveva anche avuto conseguenze politiche. Innanzitutto costrinse il governo di Giorgia Meloni a prendere una posizione netta sul 41-bis, con Nordio che definì «inesistente» la possibilità di «mutare questa normativa». Vari esponenti del governo dissero che concedere sconti sul 41-bis a Cospito avrebbe legittimato il suo sciopero e creato un precedente pericoloso, spingendo altri a fare lo stesso. Allo stesso tempo il governo fu molto criticato dalle opposizioni, secondo cui la maggioranza avrebbe dovuto prima di tutto evitare che morisse: il ministro della Giustizia Nordio arrivò a chiedere un parere del Comitato di bioetica, un organo consultivo della presidenza del Consiglio, per capire se si potesse intervenire alimentando forzatamente Cospito. Il Comitato disse di sì, ma non si arrivò a farlo.

Nelle varie discussioni in parlamento poi il deputato Giovanni Donzelli, uno dei più importanti esponenti di Fratelli d’Italia, fece un guaio tentando di dimostrare la pericolosità di Cospito: riferì alla Camera alcune conversazioni avvenute in carcere tra Cospito e due detenuti membri della criminalità organizzata. Per il suo ruolo però non poteva avere accesso a quelle informazioni, e lui stesso spiegò che a riferirgliele era stato il compagno di partito e suo coinquilino Andrea Delmastro Delle Vedove, che invece poteva averle in quanto sottosegretario alla Giustizia con delega al DAP, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Alla fine dello scorso novembre Delmastro è stato rinviato a giudizio con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio e sarà quindi processato.

– Leggi anche: Come si vive al 41-bis