Cosa ha fatto litigare di più Lega e Fratelli d’Italia, secondo Donzelli

Il dirigente e deputato di Fratelli d'Italia dice che non è stato il MES né altre questioni nazionali, ma la formazione della giunta in Trentino

Giovanni Donzelli arriva all'assemblea nazionale di FDI, il 12 settembre 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Giovanni Donzelli arriva all'assemblea nazionale di FDI, il 12 settembre 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)
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Giovedì 21 dicembre il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli ha spiegato qual è stato, a suo dire, il punto di massima tensione fin qui nei rapporti tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo vice Matteo Salvini, leader della Lega. La Camera aveva appena respinto la ratifica della riforma del MES, il Meccanismo europeo di stabilità che ha il compito di garantire assistenza finanziaria agli stati o alle banche dell’Unione Europea che dovessero trovarsi in crisi, e Donzelli ha invitato i giornalisti che gli chiedevano un commento a non sopravvalutare le divergenze tra Lega e Fratelli d’Italia.

In Transatlantico, cioè nell’ampio salone davanti all’ingresso dell’aula della Camera, Donzelli ha detto:

Voi giornalisti tendete sempre a esagerare nel racconto degli scontri tra Meloni e Salvini, e non avete capito che il livello massimo di tensione tra noi e la Lega c’è stato sulla vicenda del Trentino. Lì si è rischiato molto più di quanto non abbiate scritto.

Il suo è un giudizio rilevante, perché Donzelli non è un semplice deputato di Fratelli d’Italia: è anche uno dei dirigenti più importanti del partito, Meloni lo considera uno dei suoi consiglieri più fidati. Come responsabile nazionale dell’organizzazione del partito, di fatto Donzelli supervisiona la definizione delle alleanze per le elezioni regionali e amministrative, e spesso svolge anche una funzione simile a quella di un portavoce. Ha un ruolo politico molto delicato – motivo per cui è stato tenuto fuori dagli incarichi di governo – ed è un testimone affidabile di quello che succede dentro alla coalizione di governo.

Nel suo discorso ai giornalisti, Donzelli ha fatto riferimento alla formazione della giunta in Trentino, che era avvenuta lo scorso autunno e che aveva fatto litigare parecchio Lega e Fratelli d’Italia. Il 22 ottobre si era votato per il rinnovo del consiglio e del presidente della provincia autonoma del Trentino, dunque per delle elezioni analoghe a quelle che avvengono nelle regioni a statuto ordinario. Il candidato della destra era il presidente uscente Maurizio Fugatti, della Lega, che era stato indicato dalla coalizione al termine di mesi di conflitti più o meno sotterranei coi dirigenti locali di Fratelli d’Italia, i quali sostenevano l’ipotesi di candidare Francesca Gerosa, vicina a Giorga Meloni. Il rapporto tra i due partiti in provincia era piuttosto tribolato da tempo.

Alla fine l’accordo trovato era che Fugatti sarebbe stato candidato unico della destra, ma Gerosa sarebbe stata nominata vicepresidente in caso di vittoria. Quando Fugatti aveva vinto le elezioni, però, aveva deciso di non rispettare questo patto, assegnando l’incarico di vicepresidente ad Achille Spinelli, responsabile della lista civica di Fugatti stesso. Fugatti aveva giustificato questa decisione con il fatto che Fratelli d’Italia aveva ottenuto un buon risultato, ma meno clamoroso di quanto ci si attendesse: il 12,3 per cento dei voti. La lista civica di Fugatti aveva preso il 10,7, mentre la Lega, con il 13,1 per cento, era risultata il primo partito della coalizione.

A Gerosa Fugatti aveva assegnato alcune deleghe piuttosto limitate, nominandola assessora a Istruzione, Cultura, Giovani e Pari opportunità. Anche l’altro assessore di Fratelli d’Italia, Claudio Cia, aveva ottenuto un incarico al di sotto delle aspettative. Questo trattamento aveva fatto arrabbiare molti e il responsabile regionale di Fratelli d’Italia, il deputato Alessandro Urzì, aveva minacciato conseguenze. Così, subito dopo che Fugatti aveva formato ufficialmente la giunta, Fratelli d’Italia aveva annunciato il ritiro dei suoi due assessori e il sostegno esterno al presidente, con votazioni accordate caso per caso.

Gerosa e Cia non avevano partecipato alle riunioni della giunta nelle successive due settimane, e in quei giorni la questione del Trentino era stata affrontata anche da Salvini e Meloni in persona, insieme ai loro più stretti consiglieri. È in quel periodo che c’erano stati quegli attriti a cui ha fatto riferimento Donzelli, con Fratelli d’Italia che aveva minacciato ripercussioni su varie altre questioni nazionali, forte della sua posizione privilegiata di primo partito nella coalizione. Dopo due settimane, non a caso, Fugatti ci aveva ripensato e aveva cambiato l’assetto della sua giunta, nominando Gerosa come sua vice, come da accordi, e potenziando il suo incarico con le deleghe allo Sport e alle Politiche per la famiglia e la natalità; contestualmente, per compensare questo rafforzamento di Gerosa, era stato escluso dalla giunta l’altro assessore di Fratelli d’Italia, Cia.

«La questione era locale ma non solo locale, perché di mezzo c’era il rispetto della parola data, che tra alleati è fondamentale» ha detto Donzelli alla Camera. Quando i cronisti presenti gli hanno chiesto se lo stesso scenario potrebbe ripresentarsi anche con le altre elezioni regionali del 2024, Donzelli è apparso ottimista, ma ha anche ribadito il concetto: «Vedrete che le cose andranno lisce, ma il punto per noi è di principio: quando si prende un accordo, tra alleati, poi quell’accordo va rispettato. È una questione di fiducia».

In effetti la definizione dei candidati presidenti sta suscitando da qualche settimana una certa agitazione tra i partiti di destra, in vista del voto in cinque regioni nel 2024. La prima regione dove si voterà sarà la Sardegna, il 25 febbraio. Salvini vorrebbe ricandidare presidente uscente, Christian Solinas, espresso dalla Lega. Ma Fratelli d’Italia al momento continua a sostenere l’ipotesi di candidare un suo esponente, Paolo Truzzu, attualmente sindaco di Cagliari. Dall’esito di questa trattativa dipenderanno poi in buona parte anche le scelte per le altre quattro regioni al voto, governate tutte da presidenti di destra: Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Umbria.

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