La manovra della destra è di destra?

La Banca d'Italia e l'ISTAT hanno dato pareri positivi sulle misure più “sociali”, mentre Confindustria non è soddisfatta di quelle a sostegno di crescita e imprese

Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Venerdì scorso sono iniziate le audizioni sul disegno di legge di bilancio: varie istituzioni e associazioni di categoria sono intervenute per esprimere i propri giudizi nella commissione Bilancio del Senato, che sta svolgendo l’analisi del principale provvedimento di politica economica approvato dal governo a metà ottobre. Le audizioni sono proseguite fino a martedì mattina, e il dibattito sulla manovra finanziaria è così entrato nella sua fase decisiva.

Le audizioni più importanti e più attese ci sono state lunedì, quando al Senato sono state convocate, tra gli altri, Banca d’Italia, Confindustria, l’ISTAT, l’Associazione nazionale dei comuni (ANCI). Nel complesso ne è emerso un giudizio ambivalente. Tutti hanno riconosciuto l’approccio prudente e responsabile della legge di bilancio: c’erano poche risorse disponibili, bisognava fare delle scelte non facili, e in questo difficile esercizio il governo ha avuto l’accortezza di rinunciare ad alcune suggestioni elettorali, per esempio le pensioni anticipate, concentrando la gran parte dei soldi stanziati sul taglio del cuneo fiscale e contributivo per i lavoratori dipendenti, a cui sono destinati 11 dei circa 25 miliardi della manovra.

È un approccio non scontato per un governo di destra: dare priorità a misure di cui beneficiano le famiglie meno ricche, anche a costo di scontentare gli industriali, che in teoria sarebbero l’elettorato di riferimento dell’attuale maggioranza. Recuperando certe categorie politiche desuete, lo si potrebbe definire un approccio più da “destra sociale”, cioè di una destra che sta attenta ai bisogni delle fasce sociali più deboli, che non da “destra padronale”, cioè di una destra appiattita sulle istanze del settore industriale.

Lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nel corso della sua audizione di martedì, ha riconosciuto che sul sostegno alle imprese nella legge di bilancio non c’è granché, e ha detto che su quel settore si interverrà tramite il RePowerEU, cioè il capitolo aggiuntivo del PNRR destinato all’energia. Giorgetti ha aggiunto che circa i due terzi delle risorse stanziate sono destinati alle famiglie con redditi sotto i 50mila euro e ai lavoratori dipendenti: e nel dire questo, ha fatto capire di disapprovare la scelta dei sindacati di proclamare uno sciopero generale contro la manovra.

Giorgetti ha poi confermato che lo scenario economico generale non è favorevole. E ha ammesso che l’obiettivo di crescita del PIL previsto dal governo per la legge di bilancio, cioè un +0,8 per cento, «potrebbe essere soggetto a una sia pure contenuta correzione al ribasso», il che renderebbe un po’ più complicato confermare tutte le misure previste senza determinare un aumento del deficit.

Il ministro Giorgetti durante la sua audizione al Senato (Roberto Monaldo/LaPresse)

Per quanto riguarda la dimensione “sociale” della manovra, sia la Banca d’Italia sia l’ISTAT hanno dato un parere generalmente positivo al taglio del cuneo fiscale (la riduzione delle imposte e dei contributi sugli stipendi del 7 per cento per i redditi sotto i 25mila euro, e del 6 per cento tra i 25 e i 35mila, che vale 10,8 miliardi) e alla riforma dell’IRPEF (l’imposta sui redditi per le persone fisiche) prevista in un decreto legislativo collegato alla legge di bilancio e che prevede un taglio di due punti percentuali dell’imposta per i redditi tra i 15 e i 28mila euro.

Secondo la Banca d’Italia e l’ISTAT queste due misure contribuiscono a migliorare la condizione economica delle famiglie, con un aumento medio del reddito famigliare disponibile che Banca d’Italia stima in circa 600 euro annui nel 2024. Questo fa sì che anche le disuguaglianze sociali diminuiscano lievemente: secondo una simulazione fatta dalla Banca d’Italia l’indice di Gini, il coefficiente che calcola appunto le diseguaglianze sociali, diminuirebbe dello 0,3 per cento. Una simulazione simile dell’ISTAT ha stimato una riduzione dell’indice di Gini dello 0,14 per cento. Sulla base di questi dati i parlamentari di maggioranza hanno lodato la legge di bilancio, rivendicando la riduzione della pressione fiscale e l’impegno a sostegno delle famiglie meno ricche. Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), cioè la commissione indipendente che si occupa di verificare le previsioni economiche e finanziarie del governo, ha rilevato un effetto positivo di queste misure nel mitigare le disuguaglianze.

La Banca d’Italia ha ribadito però come il taglio del cuneo abbia «natura transitoria»: è infatti una misura rinnovata per il solo 2024, dopo che già nel 2023 era stata prevista per il solo secondo semestre. Non si sa dunque se e in che modo verrà finanziata in seguito, visto che al momento non ci sono risorse per il 2025. L’UPB, nel corso della sua audizione, ha avvisato che se la misura venisse resa strutturale dovrà essere ripensata per evitare che ci siano distorsioni: c’è infatti il rischio che le persone con un reddito appena più alto delle soglie stabilite paghino molti contributi in più rispetto a quelle che guadagnano appena meno di quelle soglie.

Da questo punto di vista l’impegno del governo per garantire un po’ di sostegno alle persone con redditi più bassi ha una sua concretezza nel contesto delle scarse risorse disponibili, ma non risulta solidissimo. In questo senso la Banca d’Italia ha detto che l’obiettivo di ridurre il cuneo fiscale «va perseguito tenendo conto degli effetti degli strumenti adottati sui comportamenti degli individui, che richiedono stabilità delle norme per potersi manifestare pienamente»: se una famiglia non molto ricca non sa se lo sgravio di cui sta beneficiando verrà rinnovato, insomma, difficilmente aumenterà stabilmente le proprie spese.

Secondo i partiti di opposizione questa attenzione per il sociale da parte del governo in realtà non ci sarebbe, perché la manovra prevede anche tagli alla spesa sanitaria. Con la legge di bilancio il Fondo sanitario nazionale viene incrementato di 3 miliardi per il 2024, con risorse che vengono destinate per lo più a finanziare i rinnovi contrattuali e nuove assunzioni nei servizi di medicina territoriale. È vero però, come ha fatto notare la Banca d’Italia, che la spesa sanitaria tra il 2024 e il 2026 diminuisce se la si calcola in rapporto al PIL, scendendo al di sotto del livello medio del 6,5 per cento dei cinque anni precedenti la pandemia.

Giorgetti ha fatto un paragone un po’ provocatorio: ha parlato dell’«emorragia» di risorse ai danni della finanza pubblica causata dal Superbonus, dicendo che solo a ottobre quella misura è costata 4,2 miliardi, che è l’equivalente di ciò che il governo ha potuto stanziare per l’intero 2024 per finanziare la spesa sanitaria e sociale. Il Superbonus è quell’agevolazione fiscale introdotta nel 2020 dal governo PD-Movimento 5 Stelle per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica di case e condomini, ed è anche il principale oggetto delle lamentele che il ministro Giorgetti continua a fare sullo stato dei conti pubblici che lui ha ereditato. Spesso il governo di Giorgia Meloni ha rinfacciato al centrosinistra l’impatto notevole del Superbonus sulle casse dello Stato: circa 120 miliardi finora.

Il senso delle accuse di Meloni è un po’ questo: quando c’eravate voi, cioè la sinistra, avete concentrato una parte enorme di risorse su un provvedimento che non ha affatto avvantaggiato le famiglie povere né ha ridotto le disuguaglianze. Sia l’Ufficio parlamentare di bilancio sia la Banca d’Italia nei mesi scorsi avevano osservato che almeno fino al 2020 le agevolazioni fiscali connesse al Superbonus avevano favorito i contribuenti con redditi alti. In ogni caso il Superbonus è stato sostenuto nel corso degli ultimi tre anni da tutti i partiti, anche quelli di centrodestra. Tuttora alcuni parlamentari di maggioranza, e in particolare Forza Italia, si stanno battendo al Senato per prorogarlo.

Meloni interviene al Senato per le comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo di ottobre (Roberto Monaldo/LaPresse)

È anche vero che almeno un provvedimento inserito nella legge di bilancio non sembra affatto ispirato dall’esigenza di ridurre le disuguaglianze. Nella sua audizione Banca d’Italia ha espresso alcune perplessità sulla norma che prevede che i titoli di Stato detenuti dalle famiglie non vengano conteggiati nel calcolo dell’ISEE, l’Indicatore della situazione economica equivalente, che stabilisce la soglia per accedere a molti servizi o per sapere quanto pagare varie prestazioni. Per calcolarlo, oltre al reddito, si tiene conto anche della situazione patrimoniale delle famiglie: beni immobili e depositi bancari. Ora il governo ha deciso che fino a un massimo di 50mila euro i titoli di Stato non verranno tenuti in considerazione. Secondo la Banca d’Italia c’è il rischio che la valutazione di chi abbia diritto oppure no ai programmi di assistenza sociale venga distorta, e dunque di «ridurre l’utilità» stessa dell’ISEE.

In ogni caso le critiche maggiori sulla manovra sono arrivate proprio dalle categorie che in teoria dovrebbero vedere nei partiti di destra il proprio riferimento, come gli industriali. Confindustria per esempio non ha giudicato sufficienti le misure a sostegno della crescita, in linea con le osservazioni fatte anche dalla Corte dei Conti. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, durante la sua audizione, ha riconosciuto l’approccio «ragionevole» della manovra, ma ha definito «incompleto» il disegno di legge di bilancio «vista la sostanziale assenza di misure a sostegno degli investimenti privati e, più in generale, di una strategia per la crescita e la competitività».

Bonomi ha lamentato anche la mancanza di norme per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, e poi si è soffermato sull’abolizione dell’ACE prevista dal governo nel decreto legislativo collegato alla legge di bilancio. L’ACE, l’Aiuto alla crescita economica, è un’agevolazione fiscale introdotta nel 2011 che incentiva le imprese che si finanziano con capitale proprio consentendo loro di pagare meno tasse. Il governo ora la abolisce per trovare risorse, 4,8 miliardi nel 2025 e circa 3 miliardi a regime a partire dal 2026. Confindustria ha sostenuto che questo intervento vanifichi il nuovo sostegno alle imprese per le assunzioni di lavoratori, che è contenuto nella stessa legge di bilancio ed è decisamente meno consistente: vale 1,3 miliardi.

L’ISTAT ha calcolato che la nuova agevolazione sulle assunzioni avrà un impatto del 3,1 per cento nella riduzione generalizzata dell’IRPEF, mentre la cancellazione dell’ACE determinerà un aumento dell’imposta del 13,7 per cento. Anche l’UPB e la Banca d’Italia hanno condiviso un certo scetticismo sull’abolizione dell’ACE. Banca d’Italia ha ricordato peraltro come la scelta adottata adesso dal governo vada «in controtendenza rispetto agli orientamenti della Commissione Europea», che nel maggio scorso ha avviato le procedure per introdurre in tutta l’Unione una deduzione simile a quella finora in vigore in Italia.

Molte audizioni si sono soffermate anche e soprattutto sul PNRR e sulla sua modifica, su cui il governo sta contrattando con l’Unione Europea. Sia Confindustria sia l’ANCI, cioè l’associazione dei sindaci, si sono lamentate dell’incertezza che accompagna questo negoziato, da cui dipendono sia le misure a sostegno delle imprese (il cosiddetto Piano Industria 5.0, soprattutto), sia il reperimento di risorse alternative (circa 16 miliardi) per quei progetti del PNRR che sono stati assegnati agli enti locali e che ora il governo vorrebbe escludere dal piano perché difficilmente realizzabili entro la sua scadenza, fissata a giugno 2026. La Corte dei Conti è stata particolarmente critica su questi aspetti: da mesi è protagonista di un confronto abbastanza aspro con il governo, e in particolare con il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, proprio intorno all’efficace realizzazione del piano.

In tema di reperimento delle risorse, la Banca d’Italia ha espresso perplessità anche rispetto al piano di privatizzazioni del governo, che prevede di recuperare 20 miliardi tra il 2024 e il 2026 attraverso la vendita di asset pubblici (per esempio partecipazioni azionarie nelle grandi società di Stato o in banche e la dismissione definitiva di Ita, la ex Alitalia). È una cifra enorme, specie se si considera che negli ultimi vent’anni governi di diverso orientamento politico avevano elaborato piani di privatizzazioni meno ambiziosi di questo, e hanno sempre mancato gli obiettivi che si erano prefissati.

Dopo la fine del ciclo di audizioni, il disegno di legge è stato “incardinato” nel calendario dei lavori della commissione Bilancio, come si dice in gergo: significa che potranno partire le procedure per la presentazione degli emendamenti, cioè le proposte di correzione che dovranno essere depositate entro martedì prossimo.Il governo aveva escluso che venissero presentate proposte di modifica da parte della sua maggioranza, ma in questi giorni le richieste di migliorare alcuni aspetti della manovra sono arrivate da tutti i partiti, compreso Fratelli d’Italia.

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