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  • Martedì 10 ottobre 2023

Cos’è successo coi fondi europei al governo palestinese

L'annuncio sulla loro sospensione è stato ridimensionato, con un po' di confusione che ha esposto alcune divisioni interne all'Unione Europea 

(AP Photo/Majdi Mohammed)
(AP Photo/Majdi Mohammed)
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Lunedì c’è stata un po’ di confusione sull’apparente sospensione, poi smentita, dei finanziamenti dell’Unione Europea per lo sviluppo della Palestina a seguito dell’eccezionale attacco di Hamas contro Israele.

Lunedì mattina il commissario per l’Allargamento dell’Unione Europea, Olivér Várhelyi, aveva annunciato su X (Twitter) la sospensione immediata di circa 691 milioni di euro di finanziamenti destinati al governo palestinese. In serata, dopo molte polemiche, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri europei, Josep Borrell, ha detto invece che nessun finanziamento al governo palestinese sarà sospeso. Con un comunicato ufficiale la Commissione Europea ha precisato che ci sarebbe stata solo una «urgente revisione» di alcuni tipi di finanziamenti, un impegno che al momento sembra più che altro simbolico: la Commissione ha detto che la revisione servirà a garantire che nessun finanziamento europeo finisca nelle mani di Hamas, movimento considerato terroristico da una serie di stati soprattutto occidentali e dall’Unione Europea.

Hamas controlla la Striscia di Gaza dal 2006, la governa in modo autoritario e repressivo ed è considerato il principale responsabile delle stragi, delle uccisioni e dei rapimenti compiuti da sabato in poi in varie città e kibbutz del sud di Israele (agli attacchi hanno contribuito anche altri gruppi radicali attivi nella Striscia). Già oggi comunque Hamas non riceve alcun finanziamento diretto da parte dell’Unione.

– Leggi anche: Le cose da sapere sull’attacco di Hamas e sulla risposta di Israele

Nel comunicato la Commissione Europea ha chiarito che nel futuro immediato non c’erano pagamenti previsti, e che perciò non ci sarà alcuna sospensione. Ha aggiunto che alla luce delle circostanze avrebbe valutato se i suoi programmi di sostegno alla popolazione palestinese e all’Autorità Palestinese dovessero essere modificati, e ha infine precisato che la revisione dei finanziamenti non avrebbe incluso i fondi umanitari previsti dall’European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations (ECHO).

La rettifica della Commissione ha fatto un po’ di chiarezza, anche perché l’annuncio di Várhelyi era stato non solo netto ma anche molto dettagliato: il commissario aveva parlato della sospensione immediata di tutti i pagamenti, della revisione di tutti i progetti attivi, del rinvio fino a nuovo avviso di tutte le nuove proposte di budget, comprese quelle rimaste per il 2023, e di una revisione completa dei fondi per la Palestina.

L’Unione Europea è una delle principali fonti di sostegno economico esterne al governo palestinese. La revisione annunciata dalla Commissione dovrebbe riguardare l’insieme di programmi destinati allo sviluppo dei Territori palestinesi, che servono fra le altre cose a tenere in piedi la struttura amministrativa dell’Autorità Palestinese e a stimolare la formazione e l’occupazione dei palestinesi sia in Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza. Il principale, ma non l’unico, è il Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument (NDICI), che per il 2021-2024 prevede un finanziamento di quasi 1,2 miliardi di euro.

Restano comunque alcune questioni non chiare su cosa intenda fare esattamente l’Unione Europea coi finanziamenti e se l’eventuale decisione di sospenderli spetti alla Commissione o al Consiglio dell’Unione Europea, che insieme al Parlamento detiene il potere legislativo e ha competenze anche sulla politica estera, l’economia e la sicurezza. Quali finanziamenti dovrebbero essere soggetti a revisione e quali no e con quali modalità dovrebbe essere chiarito con più precisione oggi, nel corso di una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Unione a Muscat, in Oman. La riunione è stata convocata appositamente per discutere della situazione in Israele.

L’annuncio di Várhelyi e le discussioni che ne erano seguite avevano suscitato molte preoccupazioni e anche molte critiche da parte di vari governi. Várhelyi non faceva distinzioni tra finanziamenti economici e aiuti umanitari, che sono fondamentali soprattutto per la Striscia di Gaza, dipendente per l’80 per cento dagli aiuti internazionali. Nella Striscia, territorio molto complesso, pieno di tensioni e descritto come una «prigione a cielo aperto», le condizioni di vita sono estremamente critiche e una sospensione degli aiuti umanitari (ma anche dei finanziamenti economici) porterebbe certamente a un aggravamento delle condizioni di vita dei quasi 2 milioni di persone che ci vivono.

L’annuncio di Várhelyi aveva peraltro fatto seguito a quello del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che sempre lunedì aveva detto di voler porre la Striscia di Gaza sotto «assedio totale», bloccando anche l’arrivo di beni essenziali, acqua, elettricità e carburante. Per questo, oltre al chiarimento della Commissione, altri funzionari si sono affrettati a ribadire le intenzioni dell’Unione: Borrell si è detto consapevole dell’enorme danno che la sospensione dei finanziamenti avrebbe provocato, e il commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, ha ribadito che l’Unione avrebbe continuato ad distribuire i propri aiuti umanitari.

L’annuncio di Várhelyi ha inoltre reso ancora più espliciti il disallineamento e le divisioni degli stati membri dell’Unione sulla posizione da assumere sulla crisi in corso, che non ha preso completamente alla sprovvista non solo l’intelligence e l’esercito israeliano, ma anche i governi occidentali.

Già prima del caso degli aiuti erano emerse spaccature sulla posizione da assumere. Nel caso specifico sono abbastanza esemplificative le posizioni di due dei tre commissari che si sono esposti di più sulla questione dei fondi. Várhelyi, commissario ungherese, aveva già in passato espresso posizioni molto critiche nei confronti del governo palestinese; Lenarčič proviene invece dalla Slovenia, che è tradizionalmente uno dei Paesi dell’Unione più favorevoli alla causa palestinese: è quindi probabile che queste divisioni alimentino ulteriori discussioni durante la riunione dei ministri degli Esteri prevista per oggi.