Ve li ricordate gli NFT?

Un paio di anni fa non si parlava d'altro, e sembrava dovessero arrivare ovunque: oggi è rimasto ben poco

(Aaron Davidson/Getty Images for eToro.Art)
(Aaron Davidson/Getty Images for eToro.Art)
Caricamento player

Nel 2021 il mercato dei Non-Fungible Token, o NFT, arrivò a valere circa 17 miliardi di dollari, con una crescita del 21mila per cento rispetto all’anno precedente. Nel corso di quell’anno l’interesse per gli NFT, dei certificati digitali di proprietà basati sulla blockchain, la stessa tecnologia alla base delle criptovalute, crebbe e interessò ambiti diversi, come l’arte, l’illustrazione e la musica, e per qualche mese se ne parlò tantissimo ovunque. Se c’era chi era convinto che presto buona parte dei beni digitali sarebbe stata comprata e scambiata usando questi token, altri erano decisamente più scettici, e ritenevano si trattasse di una enorme bolla speculativa basata su una tecnologia poco utile. Hanno avuto ragione i secondi.

Di tutto quell’interesse per questi certificati di proprietà digitali, infatti, oggi è rimasto ben poco: i siti di news e i profili social che nel 2021 parlavano di NFT (ma anche di blockchain, metaverso e gli altri elementi del grande settore che veniva chiamato “Web3”) oggi hanno un seguito molto minore, e in alcuni casi sono passati ad altri temi, come le intelligenze artificiali. L’abbandono del pubblico e degli investitori ha avuto un forte impatto nel mercato: secondo un report di Dappgambl, un gruppo di esperti e investitori nel settore delle criptovalute, circa il 95% delle collezioni di NFT presenti nel mercato oggi non avrebbe alcun valore.

Lo studio ha preso in considerazione 73.257 “collezioni” di NFT di vario tipo, scoprendo che 69.795 di queste hanno un valore di mercato di zero Ether (la seconda criptovaluta più diffusa al mondo). Un elemento ancora più preoccupante per la salute del mercato degli NFT riguarda invece chi possiede questi beni: solo il 21% delle collezioni prese in esame avrebbe infatti un proprietario. «Ciò significa», conclude il report, «che il 79% di tutte le collezioni di NFT, ovvero 4 su 5, è rimasto invenduto».

A partire dal 2021 a trainare la speculazione sugli NFT furono alcune collezioni di particolare successo, come Bored Ape Yacht Club e CryptoPunks, che furono promosse anche da personalità del mondo dello spettacolo e della musica sui social network. Il cantante Justin Bieber, ad esempio, comprò nel gennaio del 2022 un NFT della linea Bored Ape Yacht Club per 1,3 milioni di dollari che, secondo una stima dello scorso luglio, avrebbe perso il 95% del suo valore (oggi stimato a 59mila dollari). Anche l’NFT comprato da Madonna nello stesso periodo per circa mezzo milione di dollari oggi avrebbe un valore simile a quello di Bieber. C’è poi il caso di Logan Paul, youtuber statunitense che nel 2021 pagò 623mila dollari per un NFT della collezione 0N1 Force, che lo scorso maggio arrivò a valere circa dieci dollari.

Alla fine del 2022 alcuni investitori denunciarono alcune celebrità che avevano promosso questi NFT accusandole di non aver dichiarato di essere state pagate da MoonPay, una piattaforma per lo scambio di criptovalute e altri beni nella blockchain. Denunce simili hanno coinciso con l’inizio di un periodo di profonda crisi per il settore legato alle criptovalute, il cosiddetto “inverno crypto”, durante il quale il valore delle criptovalute è diminuito di molto. La situazione è stata peggiorata ulteriormente dai molti scandali che hanno colpito aziende come FTX, per anni ritenuta tra gli operatori più affidabili del campo. La crisi ha colpito anche il cosiddetto “Web3”, controversa espressione con cui si indicava un’ipotetica nuova fase per la rete, che sarebbe stata potenziata da criptovalute, NFT e tecnologie come il metaverso.

– Leggi anche: Perché l’arte degli NFT è così dozzinale

Nel corso del 2023 l’interesse nei confronti degli NFT è continuato a calare, con la sola eccezione di collezioni come Bored Ape Yacht Club e Azuki, le quali, ha notato il sito specializzato NFT Now, «sembrano stranamente staccate dal resto del mercato». L’interesse per questi prodotti – comunque scarso e non paragonabile a quello del 2022 – sarebbe dovuto non a una domanda crescente, ma all’abbassamento continuo dei prezzi che spinge qualche investitore all’acquisto di beni a prezzo inferiore.

I cambiamenti hanno riguardato anche le piattaforme su cui si basano gli scambi di NFT. Per anni questo tipo di investimento ha avuto come riferimento OpenSea, un sito ritenuto il più grande mercato di NFT del mondo che recentemente è stato superato da Blur, un sito con un’utenza minore ma capace di generare un volume di investimenti notevole. La differenza sostanziale tra OpenSea e Blur sta nella gestione delle commissioni, le cosiddette royalties: ogni volta che un NFT viene comprato da un utente, una parte della somma versata viene data all’autore dell’opera o al curatore della collezione da cui è tratta. I fondatori di Blur hanno invece fissato una commissione minima fissa (pari allo 0,5% del prezzo dell’NFT), causando un drastico calo dei pagamenti di questo tipo agli artisti. Blur ha quindi puntato su un tipo di scambio a maggiore frequenza e intensità, superando il volume di OpenSea. Il mercato di Blur rimane però controllato da pochi utenti che risultano molto attivi: circa il 20% del traffico totale è infatti generato da quindici wallet (i portafogli digitali con cui si investe in criptovalute).

 

L’accentramento di potere nelle mani di pochi investitori è una caratteristica molto diffusa in tutto il settore crypto e contribuisce a renderlo poco trasparente, a causa della grossa influenza dei grandi proprietari, detti anche whales (balene). Oltre a questa caratteristica e agli scandali citati, il settore degli NFT è anche interessato da frequenti truffe: tra quelle più comuni c’è il cosiddetto “rug pull”, che avviene quando i creatori di una determinata linea di NFT raccolgono i fondi dagli utenti e poi scompaiono senza consegnare il risultato finale.

Nel settore circolano poi molti hacker, in grado di prendere il controllo dei wallet degli utenti e “rubare” NFT. A essere colpiti dalla crisi non sono stati solo utenti e curiosi attirati dalla crescita notevole di questi beni ma anche società affermate del settore tecnologico come il fondo di investimenti Andreessen Horowitz (A16z), che nel 2022 investì circa tre miliardi di dollari in aziende di questo settore. Secondo il Wall Street Journal, questi investimenti furono fatti «nel peggior momento possibile», ovvero poco prima dell’inverno delle criptovalute.

Gli unici settori in cui si continua a investire in NFT sembrano essere l’arte contemporanea e la moda. Il legame tra arte e NFT è del resto stretto, visto che questi token divennero un argomento molto discusso online a partire dal marzo del 2021, quando l’artista digitale statunitense Mike Winkelmann, noto come Beeple, vendette una sua opera come NFT per circa 69 milioni di dollari in un’asta tenuta da Christie’s. Da allora, il mondo dell’arte sembra avere un rapporto privilegiato con queste tecnologie e il centro degli esperimenti su questo campo è Miami, città che ospita la fiera annuale Art Basel e negli anni scorsi si propose come la capitale mondiale del crypto, tra raduni e fiere del settore.

La stessa piattaforma FTX, prima di essere travolta dagli scandali, aveva annunciato di voler trasferire in città il suo quartiere generale. L’edizione di Art Basel in Miami Beach del 2021 rappresentò forse l’apice dell’interesse dimostrato dal mondo dell’arte per gli NFT, con alcune gallerie come Pace e Nagel Daxter che installarono dei chioschi virtuali pensati per l’acquisto di opere d’arte in digitale. A partire dall’anno successivo, ha scritto The Art Newspaper, molti di questi investimenti sono rientrati e, nonostante un lieve rialzo a inizio anno, sarebbero ancora molto bassi rispetto al 2022.

Anche la moda ha da sempre un rapporto stretto con gli NFT e, in generale, tutto il Web3. Nei mesi successivi alla presentazione del metaverso da parte di Meta – il gruppo a cui fanno capo Facebook e Instagram, tra le altre aziende – molti pensavano che la vendita di vestiti e scarpe “virtuali” da fare indossare agli avatar degli utenti sarebbe diventata un mercato enorme per gli storici brand di moda. Nel 2021, una collezione di 777 NFT ispirati allo stilista Karl Lagerfeld andò esaurita in pochi secondi. Nello stesso periodo, anche Nike investì nel settore acquisendo Rtfkt, una startup fondata nel 2020 specializzata in scarpe “virtuali” vendute come NFT. Anche in questo caso il 2021 fu un anno di grande crescita, che raddoppiò l’anno successivo. Quanto al 2023, secondo le stime di Vogue Business, «pur essendoci ancora qualche “drop” settimanale, i brand non stanno più rilasciando NFT per mera spinta di marketing».

A interessare sempre di più è un’altra tecnologia che nel corso dell’ultimo anno ha rubato la scena agli NFT, le intelligenze artificiali generative, che sono già state utilizzate da Gucci per generare immagini da rivendere come NFT. Le 21 opere digitali sono state vendute su Christie’s 3.0, una piattaforma della casa d’asta fondata sulla blockchain. A conferma dell’interesse ancora vivo del mondo della moda per queste tecnologie, lo scorso aprile si è svolta la prima edizione della AI Fashion Week, a New York, che si aggiunge alla Metaverse Fashion Week, lanciata nel 2022, che si tiene invece su Decentraland, una piattaforma virtuale.