Gli NFT, spiegati

Una guida ai "Non-Fungible Token", usati per certificare contenuti e opere d'arte digitali e al centro di un mercato in grande crescita

di Gabriele Gargantini

(ANSA/UFFICIO STAMPA CHRISTIE'S)
(ANSA/UFFICIO STAMPA CHRISTIE'S)

A inizio marzo la casa d’aste Christie’s ha venduto per 69,3 milioni di dollari un’opera che esiste solo in formato digitale JPEG. Nelle ultime settimane sul sito NBA Top Shot più di centomila utenti hanno spostato oltre 250 milioni di dollari comprando e vendendo video di partite di basket. Dietro a entrambe le cose c’è un acronimo di tre lettere – NFT – di cui da qualche tempo si parla sempre più, prima nelle nicchie di internet e poi sui più grandi giornali internazionali, perché indica un concetto che può essere applicato a una gran serie di attività umane, digitali ma non solo.

Gli NFT – acronimo delle parole inglesi “Non-Fungible Token” – sono dei certificati di autenticità digitale. All’apparenza gli NFT sono contenuti digitali intangibili, infinitamente replicabili e uguali a tanti altri. Che però diventano in un certo senso unici grazie a una certificazione che avviene tramite blockchain, la tecnologia diventata famosa grazie alle criptovalute ma che è usata pure in altri contesti, ed è presentata spesso con toni un po’ profetici: anche troppo, secondo alcuni scettici. Nel caso degli NFT, la blockchain serve a certificare e commerciare opere d’arte e video di azioni di basket, ma le applicazioni sperimentate vanno dalla moda ai videogiochi. Ovunque ci sia qualcuno interessato alla proprietà digitale di qualcosa, per passione o per profitto.

Qualcuno considera gli NFT il giusto e tanto atteso modo per dare valore e unicità a contenuti digitali che altrimenti faticherebbero a trovarne; qualcun altro pensa invece che non siano molto più di una pericolosa bolla speculativa.

Nel caso vi sentiate un po’ spaesati, è normale. Gli NFT sono usati da poco più di tre anni: fino a qualche mese fa NBA Top Shot ancora non esisteva e sempre qualche mese fa nemmeno Beeple, l’artista la cui opera è stata venduta per 69,3 milioni di dollari, aveva ben chiaro cosa fossero.

La fungibilità e il suo contrario
Anzitutto il nome: “Non-Fungible Token”. Senza complicarsi troppo la vita, il sostantivo Token segnala la presenza di una serie di informazioni digitali che caratterizzano ogni determinato file. Ma è molto più importante l’aggettivo Non-Fungible.

Partiamo, per comodità, dal suo contrario. Un bene fungibile è un bene replicabile e sostituibile, privo di quella che Treccani definisce «una specifica individualità». Una banconota da 10 euro è sostituibile con ogni altra banconota da 10 euro, purché autentica e integra. In un supermercato, una bottiglia di un certo vino, di una certa cantina e di una certa annata è uguale a un’altra di quello stesso vino, di quella stessa cantina e di quel medesimo anno. E infatti costano uguale. Ci sono però anche beni non fungibili, che magari sembrano uguali ma che in realtà non lo sono. Come per esempio un quadro autentico e ogni sua copia, per quanto accurata possa essere. Fosse anche un quadro semplicissimo e replicabilissimo. Un originale si porta dietro un’idea e una storia che nessuna sua copia potrà mai ripetere.

Gli NFT sono quindi “informazioni digitali” che fanno sì che il file a cui sono associate abbia una sua peculiarità e individualità. Nel caso di opere d’arte digitali, equivale a dire che sono firmate dal loro autore, che così facendo ne riconosce l’autenticità e ne può nel caso cedere la proprietà. Nel caso di video di azioni di basket, significa che sono rari e quindi in un certo senso più preziosi, così come lo sono le cose “in edizione limitata”.

I gattini, prima di tutto
Come spesso succede con le cose di internet, prima dell’arte e prima dello sport nella storia degli NFT ci furono dei gatti. La tecnologia per creare NFT iniziò a esistere più o meno dalla metà degli anni Dieci del Duemila, ma fuori da certe nicchie tecniche se ne iniziò a parlare solo a fine 2017. La loro prima applicazione di una certa portata fu nel gioco CryptoKitties, che permetteva di comprare, allevare ed eventualmente vendere gattini digitali, alcuni dei quali per cifre superiori ai 150mila dollari. Come suggerisce il nome del gioco, la compravendita di quei felini digitali avveniva attraverso criptovalute.

Secondo un rapporto presentato da NonFungible.com e da L’Atelier (una società di ricerca di BNP Paribas), nel 2018 il mercato degli NFT era di 41 milioni di dollari e nel 2020 è salito a 338 milioni di dollari. Un valore che, osservando le transazioni di questi ultimi mesi, salirà notevolmente durante il 2021. Ma che comunque continua a essere una piccola parte di quello più grande delle criptovalute: il valore dei bitcoin attualmente esistenti, infatti, si aggira intorno ai mille miliardi di dollari.

La blockchain e gli NFT
Qualcuno parla di NFT come di “asset” o beni, qualcuno dice che sono “pezzi di contenuti digitali“, qualcun altro ancora ne parla come di “firme digitali“. Dipende se si guarda a quello che sono (di fatto, dei file che diventano dei beni grazie a una firma) o a quello che li contraddistingue (cioè la firma che li rende dei beni unici). Quello che conta davvero, però, è che – dai criptogatti in poi – perché esista un NFT c’è sempre bisogno di una blockchain.

La blockchain (letteralmente “la catena di blocchi”) è un sistema di controllo mantenuto da migliaia di terminali informatici in cui, come in una specie di grande libro mastro, si può tenere traccia di operazioni e transazioni di vario tipo. Nel caso dei bitcoin, la blockchain permette di garantire l’autenticità di ogni bitcoin, e quindi di ogni transazione che li usa. Tra le altre cose, la blockchain è anche quello che fa sì che – così come due banconote da 10 euro – anche due bitcoin siano fungibili e quindi interscambiabili.

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Nel caso degli NFT – o dei “nifties“, come qualcuno ha preso a chiamarli – la blockchain serve per certificare l’autenticità e la storia di un file. E lo fa grazie a una serie di metadati che, essendo salvati su migliaia di computer, non rischiano di andare persi né di essere contraffatti. Più nello specifico, gli NFT possono essere certificati grazie alle proprietà specifiche di alcune blockchain. Al momento, quella più associata agli NFT è senza dubbio la blockchain Ethereum, che tra le tante altre cose è usata per la criptovaluta Ether.


Mentre la blockchain dei Bitcoin fu pensata quasi solo in funzione dei bitcoin, quella di Ethereum (così come alcune altre che per molti versi le assomigliano) ha maggiori prospettive di applicazione ed è dunque più aperta e flessibile anche a certificazioni di altro tipo. In relazione agli NFT, una blockchain come quella di Ethereum permette quindi di creare qualcosa di simile a dei contratti, in cui dire, per esempio, che l’autore di un NFT prenderà una certa percentuale su ogni futura vendita di quello specifico NFT, e in cui è sempre possibile sapere chi possiede qualcosa, chi lo ha comprato e poi rivenduto in passato, e a quale prezzo.

Beeple, Christie’s e Metapurse
Al momento, il più famoso tra gli NFT è senza dubbio Everydays — The First 5000 Days, un collage di cinquemila opere digitali realizzate (una al giorno) da Beeple, nome d’arte del designer Mike Winkelmann, il più noto autore di arte digitale. L’asta per l’opera ha rappresentato un punto di svolta perché Christie’s, una storica e ultracentenaria casa d’aste, non aveva mai venduto qualcosa che fosse solo un NFT, perché nel farlo ha accettato pagamenti in criptovaluta e perché l’opera è stata venduta per 69,3 milioni di dollari. A pagare tutti quei soldi è stato un individuo noto solo con lo pseudonimo Metakovan, proprietario di Metapurse, che si ritiene essere il più grande fondo di NFT al mondo.

(Beeple / Christie’s)

In genere, chi compra un’opera all’asta, ottiene la proprietà fisica di un oggetto. Metakovan, invece, ha comprato un file che Christie’s ha descritto così:

Beeple (b. 1981)
EVERYDAYS: THE FIRST 5000 DAYS
token ID: 40913
wallet address: 0xc6b0562605D35eE710138402B878ffe6F2E23807
smart contract address: 0x2a46f2ffd99e19a89476e2f62270e0a35bbf0756
non-fungible token (jpg)
21,069 x 21,069 pixels (319,168,313 bytes)
Minted on 16 February 2021. This work is unique.

Metakovan ha comprato un file JPEG che sta in un portafoglio digitale (wallet address)che è reso unico da uno smart contract address, che è fatto di pixel e byte (in questo caso molti, dato che è un collage) e che è stato “coniato” (minted).

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(Beeple/ Christie’s)

Non solo arte
Gli NFT però non sono legati soltanto all’arte digitale. Prima di tutto perché, pure quando è digitale, spesso è parecchio difficile dire cosa è arte e cosa no. Poi perché l’arte digitale, fatta a computer, esisteva da prima degli NFT (Beeple stesso iniziò la sua opera migliaia di giorni fa, ben prima di sapere cosa fossero). E soprattutto perché gli NFT possono essere tante altre cose ben diverse da qualcosa a cui qualcuno possa attribuire un certo valore artistico.

Torna utile, a questo proposito, l’esempio di NBA Top Shot. In quel caso più che con l’arte il paragone più semplice è quello con le carte da collezione, o con le figurine. Su NBA Top Shot gli utenti comprano (e in certi casi rivendono) video in edizione limitata, con una certa tiratura che ne indica la rarità e che quindi ne determina il prezzo.

Gli NFT possono essere canzoni, video, gif, tweet o qualsiasi altra cosa che sia digitale. Anche questo articolo, volendo, potrebbe diventare un NFT. Non sono le qualità, a decidere cosa sia un NFT, ma le proprietà che qualcuno decide di associarci. Il primo tweet della maggior parte delle persone (così come l’ultimo), difficilmente interesserà a qualcuno. Il primo tweet di sempre, scritto dal fondatore di Twitter vale un paio di milioni di dollari, nella sua versione unica certificata attraverso gli NFT.

In generale, il recente successo degli NFT si inserisce in una serie di discorsi e tendenze che riguardano lo sviluppo di una sorta di economia della passione, la messa in vendita da parte dei creatori di contenuti di sempre più oggetti, abbonamenti, servizi ed esclusività di ogni tipo, e che hanno a che fare anche con un crescente e talvolta avventato interesse (per qualcuno una mania) per gli investimenti (in azioni, in criptovalute, in criptogattini o in NFT) fatti via internet.

Mercati di NFT
Gli NFT – che si possono anche comprare e vendere in dollari, euro o altre valute, visto che le blockchain sono indispensabili per la loro autenticità ma non per il loro scambio – possono costare qualche euro o, come abbiamo visto, decine di milioni di dollari. Dipende, come sempre, da dove si incrociano domanda e offerta, da quale valore viene attributo a un certo bene e da quanto è diffuso quel bene.

Già da qualche mese, comunque, si sono affermate alcune piattaforme di compravendita di NFT, spesso “artistici”, ma a volte anche di altro tipo. Tra i più famosi marketplace di NFT ci sono: Nifty Gateway, OpenSea e Known Origin. Sorare, invece, ricorda per certi versi Top Shot, solo che anziché al basket è dedicato al calcio. Per i curiosi, la creazione di un NFT è descritta qui, e come invece si fa, nella pratica, a comprare un NFT è raccontato qui.

Proprietà e diritti d’autore
In ogni caso, che si parli di un’opera di Beeple o di LeBron James, c’è un’importante questione che va chiarita. Chi acquista un NFT dell’una o dell’altra cosa, ne acquista la proprietà, l’autenticità e l’unicità. A meno di specifiche e rare eccezioni, però, l’acquisto non comprende il copyright e l’acquirente non ne può reclamare i diritti d’autore o deciderne gli usi. Chi eventualmente acquisterà qualche famoso tweet, non potrà decidere cosa farne e in realtà nemmeno impedire che venga condiviso, così come qualsiasi altro tweet della storia.

Nella maggior parte dei casi, acquistando un NFT si acquista un bene non tangibile, che – nel caso sia un’immagine – si può al limite stampare. Ma quella stampa, smettendo di essere digitale, è una copia, così come lo sarà quella di chiunque altro decida di stamparla a sua volta.

In teoria, chi possiede l’NFT di una immagine più che cercare di limitarne la diffusione dovrebbe anzi sperare che quell’immagine diventi il più possibile nota, diffusa e condivisa. Un paragone assai diffuso è quello con la Gioconda: quella vera, dipinta da Leonardo da Vinci, è solo una; ma le sue riproduzioni sono tantissime, ed è in gran parte grazie alle riproduzioni che oggi l’opera originale ha una tale rilevanza artistica e culturale.

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Resta la differenza che ridipingere qualcosa così come fece da Vinci è sensibilmente più difficile che fare copia-e-incolla di un’immagine digitale, operazione replicabile da chiunque sul proprio computer con le stesse qualità grafiche dell’originale. Però, allo stesso tempo, è vero anche che tutti possono attaccare con lo scotch una banana al muro, ma che solo una specifica banana attaccata a un determinato muro e con un preciso scotch compongono una precisa (e costosa) opera di Maurizio Cattelan.

Di certo, prima o poi qualcuno venderà un NFT di qualcosa di cui non è davvero proprietario, creando quindi non pochi problemi (soprattutto a chi lo comprerà).

Quel problema dell’ambiente
Se ne parla ormai da anni per i bitcoin e le altre criptovalute, e vista la loro dipendenza dalla blockchain, ora se ne parla anche per gli NFT: hanno un impatto ambientale non indifferente. Perché per esistere e funzionare le blockchain richiedono molta elettricità, che potrebbe essere usata per fare altro, e che viene prodotta anche ricorrendo a fonti di energia non rinnovabili con tutti i problemi di impatto ambientale delle attività umane ad alto consumo energetico.

Una bolla?
Come sa bene chiunque comprò criptovalute verso la fine del 2017 per poi vederle crollare pochi giorni più tardi, in contesti ad alta volatilità succede spesso che a grandi salite seguano grandi discese. E negli ultimi mesi, in particolare nelle ultime settimane, la salita degli NFT è stata ripida e rapida. Già da giorni c’è chi si aspetta che anche il valore di molti NFT inizi a scendere drasticamente e senza grande preavviso, e che agli oggettivamente grandi guadagni di qualcuno (che ha comprato e poi rivenduto in un mercato in crescita) possano seguire altrettanto grandi perdite per molti. Beeple stesso ha detto, un giorno prima della chiusura dell’asta su Christie’s della sua opera, di ritenere che «ci sarà una bolla», e che forse ci siamo già dentro.

C’è anche chi, spingendosi oltre, dice candidamente di non capire come diavolo sia possibile spendere certe cifre per qualcosa di oggettivamente piuttosto effimero e di certo intangibile. E che ritiene quindi che si tratti di una grande speculazione, di quelle in cui pochi si arricchiscono e tanti ci rimettono: discorsi e preoccupazioni simili a quelle relative al caso di GameStop.

Ma forse no
C’è però anche chi sostiene che gli NFT siano solo all’inizio, che possano crescere ancora molto, in molti ambiti, e che possano essere un modo efficace per dare valore a opere e contenuti digitali e creare profitti per tutta una serie di creatori di contenuti. È possibile – forse addirittura probabile – che il grande mercato degli NFT subisca delle flessioni. Ma è anche vero che i bitcoin valgono oggi tre volte tanto quello che valevano verso la fine del 2017.

Sebbene si possano comprare anche con valuta tradizionale, secondo gli ottimisti gli NFT potrebbero diventare un interessante modo per spendere le criptovalute che sempre più persone stanno accumulando. E che quindi al crescere del mercato delle criptovalute dovrebbe corrispondere una crescita nella compravendita degli NFT.

Inoltre, c’è chi vede grandi possibili applicazioni degli NFT, ben oltre l’acquisto e la vendita di opere d’arte. In futuri – e in parte già presenti – contesti digitali gli NFT potrebbero essere usati per comprare e certificare la proprietà di luoghi digitali, oppure di oggetti, accessori e indumenti da usare in certi videogiochi, o magari anche da portarsi appresso (digitalmente) da un videogioco all’altro. In questo senso, un marchio di moda potrebbe creare e vendere NFT delle proprie sfilate, o anche versioni digitali dei propri indumenti. Tutte cose che in parte, spesso a livello ancora molto embrionale, già esistono.

In questo senso, c’è anche chi differenzia tra la possibile bolla degli NFT legati all’arte digitale e le possibili altre applicazioni degli NFT. Beeple, per esempio, ha detto di ritenere che siamo solo all’inizio di tutto quello per cui gli NFT si possono usare.

Nulla vieta poi di usare le stesse proprietà di certificazione digitali associate agli NFT anche per garantire, autenticare e tenere traccia delle proprietà di ogni oggetto fisico. Nel frattempo, senza guardare troppo lontano, il consiglio per chiunque voglia eventualmente provare a investire qualcosa in NFT è sempre il solito: non spendere nessuna somma che non si sia, nel peggiore dei casi, disposti a perdere interamente.