Per fare i bitcoin serve tanta energia

Ma proprio tanta: per ottenerne uno serve più o meno l'energia che una famiglia media usa in due anni

(MAXIM ZMEYEV/AFP/Getty Images)
(MAXIM ZMEYEV/AFP/Getty Images)

I bitcoin sono la più grande, nota e diffusa criptovaluta al mondo. Il sistema Bitcoin esiste dal 2009 e funziona come quello di molte altre criptovalute: un protocollo peer-to-peer, simile ai sistemi usati per scaricare e condividere i file online, garantisce la sicurezza delle transazioni e, allo stesso tempo, premia alcuni computer che contribuiscono al sistema creando i bitcoin. Al momento esistono un po’ meno di 17 milioni di bitcoin e ne vengono creati circa 100 ogni quaranta minuti: vuol dire che ogni dieci minuti si crea un valore di circa 720mila euro, stando al valore che la criptovaluta aveva ieri sera. I bitcoin non sono infiniti: ne verranno creati 21 milioni e poi basta. Quel momento è molto lontano (tra più di cento anni) perché più si va avanti e meno bitcoin vengono creati, ma più che essere creati i bitcoin vengono estratti: questa operazione, che può portare grandi guadagni, comporta grandi costi e consumi energetici.

Estrarre bitcoin vuol dire risolvere un complicato problema crittografico il cui premio è un bitcoin. Tutti i computer che fanno parte del sistema possono provare a risolvere il problema e estrarre quindi bitcoin, ma ormai possono riuscirci solo computer con grandi capacità di calcolo. Molti di questi computer si trovano in grandi stabilimenti – in Cina, o in paesi in cui l’energia costa poco – in cui ci sono stanze piene di server che hanno come unico scopo l’estrazione di bitcoin. Per avere ragionevoli possibilità di estrarre bitcoin servono quindi: tanti computer, impianti di ventilazione per evitare che i computer si surriscaldino e, soprattutto, tanta elettricità per far funzionare il tutto.

È difficile dire quanta energia serva per estrarre un singolo bitcoin, ma nelle ultime settimane vari enti ed esperti hanno proposto alcune stime e qualche esempio. Il New York Times ha scritto, citando l’economista Alex de Vries e la società Morgan Stanley, che «l’energia consumata per ottenere ogni bitcoin è pari a quella usata in due anni da una famiglia americana media». O, per vederla più in grande, «il totale dei computer che fanno parte del sistema Bitcoin [molti dei quali ci sono collegati con lo scopo primario di estrarre bitcoin] consuma in un giorno la stessa energia di una nazione di media grandezza». Nel dicembre 2017 Nicole Kobie ha scritto su Wired:

È praticamente impossibile sapere quanta energia venga consumata per i bitcoin, ma le stime migliori arrivano dal sito Diciconomist. Secondo il suo Bitcoin Energy Consumption Index, la rete di computer del sistema Bitcoin usa 3.4 gigawatt: un watt è un joule al secondo e il tuo computer usa circa 60 watt [e un gigawatt sono 109 watt].

Aggiungiamo un’altra complicazione. Non ci sono solo i bitcoin: Ethereum, la seconda criptovaluta per volume d’affari, funziona allo stesso modo di Bitcoin, e ci sono tante altre criptovalute che, seppur più piccole, fanno la stessa cosa. Il giro d’affari totale di Bitcoin è al momento di 200 miliardi di dollari; Ethereum è grande un po’ più della metà e al momento ci sono 34 criptovalute con un giro d’affari superiore al miliardo di dollari.

Tra i tanti argomenti di conversazione – e preoccupazione – sulle criptovalute, quello del consumo energetico è tra i più pressanti e rilevanti. È giusto consumare così tanto? Finiremo a spendere per l’estrazione più soldi del valore stesso della valuta? È un bene o un male che le “fabbriche di Bitcoin” siano in paesi poveri e non sempre democratici? E se invece l’estrazione di criptovalute promuovesse energie pulite e innovative, e aiutasse quei paesi? Non tutte queste domande hanno risposte chiare, e quelle che ci sono dipendono dalle persone a cui si fa la domanda.

La posizione di chi dice che non sia un problema usare tanta energia per le criptovalute è piuttosto semplice: il mondo è pieno di cose che consumano energia, almeno in questo caso si usa per un progetto che potrebbe cambiare le cose sia dal punto di vista tecnologico che da quello finanziario ed economico. Già nel 2016 Marc Bevand – esperto di criptovalute – scrisse che «considerare uno spreco energetico quello per le criptovalute vuol dire non riuscire a guardare il quadro complessivo delle cose». Tra le tante cose dette da chi difende i costi energetici legati ai bitcoin c’è il fatto che altre valute non cripto – euro, dollari, yen – vanno stampate, spostate, conservate in luoghi che vanno costruiti, illuminati, sorvegliati, eccetera. Anche le valute tradizionali consumano energia, insomma.

È più facile però trovare persone critiche, o almeno preoccupate, nei confronti dell’impatto sull’ambiente delle criptovalute. De Vries, l’economista citato dal New York Times, ha scritto che il problema non sta solo nell’estrazione ma anche nelle operazioni che si fanno con i bitcoin: e ha stimato, sul sito Digiconomist, che ogni transazione di bitcoin – quella che chiede a tutti i computer del sistema di controllare, registrare e approvare l’operazione – consuma l’elettricità necessaria per fare 80mila transazioni con carte Visa. Le stime sono state criticate ma è certo che, se non 80mila, si parla di almeno 10mila transazioni.

Ci sono persone preoccupate anche dentro il mondo delle criptovalute. Il creatore di Bitcoin è sconosciuto ma quello di Ethereum si chiama Vitalik Buterin e ha detto: «Mi sentirei molto infelice se il mio principale contributo al mondo dovesse essere stato aver aumentato il surriscaldamento mondiale con una cosa che consuma tanta elettricità quanto Cipro». Come scritto dal New York Times, Buterin sta provando a capire se esistano modi migliori e più puliti per distribuire i nuovi Ethereum (al momento ne esistono 97 milioni e non c’è un numero massimo come per i Bitcoin). Il sistema attuale è noto come “proof of work” (ti do i bitcoin se te li meriti, contribuendo al sistema); Buterin sta pensando a uno chiamato “proof of stake” (ti do ethereum se ne hai già altri, come premio per la fiducia). È un metodo che stanno già usando altre criptovalute molto più piccole, ma c’è da vedere come e se funzionerà per Ethereum, e se riuscirà a garantire la sicurezza di sistema che c’è con il metodo “proof of work”: banalizzando un po’, la questione è “se non mi dai in cambio valuta, perché dovrei aiutarti a mantenere sicuro il tuo sistema e tracciare le sue transazioni?”.

Intanto esistono già tante criptovalute che funzionano in modo diverso. Le più importanti sono Ripple e Stellar, terza e nona per volume d’affari. Sono nate dopo Bitcoin, quando già ci si poneva il problema del consumo energetico legato alle criptovalute.