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  • Domenica 10 settembre 2023

Come si presenta il Cile a 50 anni dal colpo di stato

Il paese è profondamente diviso e non c'è consenso sulla condanna del golpe che portò al potere il generale Augusto Pinochet

Un dipinto di Salvador Allende nel cortile dello studio del pittore cileno Efren Cortes. Il dipinto è stato commissionato per un libro commemorativo in occasione del cinquantesimo anniversario del colpo di stato militare guidato da Augusto Pinochet, Santiago del Cile, 31 agosto 2023 (AP Photo/Esteban Felix)
Un dipinto di Salvador Allende nel cortile dello studio del pittore cileno Efren Cortes. Il dipinto è stato commissionato per un libro commemorativo in occasione del cinquantesimo anniversario del colpo di stato militare guidato da Augusto Pinochet, Santiago del Cile, 31 agosto 2023 (AP Photo/Esteban Felix)
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In Cile si sta avvicinando il giorno della commemorazione dei 50 anni dal colpo di stato dell’11 settembre del 1973 che destituì l’allora presidente Salvador Allende e portò al potere per diciassette anni la dittatura militare del generale Augusto Pinochet. Alla guida del paese, ora, c’è il presidente Gabriel Boric, il leader più progressista e di sinistra dai tempi di Allende e il primo che non è nato durante la dittatura né l’ha vissuta.

Il clima politico intorno all’anniversario è da mesi molto teso, non solo tra i partiti presenti nel parlamento ma anche tra i cittadini e le cittadine: il paese è ancora profondamente diviso e non c’è consenso sulla condanna del colpo di stato anche a causa di una efficace propaganda revisionista, dicono intellettuali e giornalisti. Questo renderà molto difficile una commemorazione dei fatti che permetta di collocarli in una prospettiva storica e di pacificazione.

Le commemorazioni
Il governo di Gabriel Boric ha reso noto il programma commemorativo per i 50 anni dal golpe con un certo ritardo, ricevendo delle critiche anche da settori della sinistra a lui vicini e dalle organizzazioni dei diritti umani. Dall’inizio di questa settimana e fino a lunedì prossimo in tutto il paese sono stati organizzati seminari, dibattiti, iniziative ed eventi per ricordare l’11 settembre 1973, tutte raccolte sotto lo slogan “Democrazia è memoria e futuro”.

Mercoledì 30 agosto, in occasione della Giornata internazionale delle vittime di sparizione forzata, istituita dalle Nazioni Unite, il governo ha annunciato l’avvio di un ambizioso programma per cercare e identificare le centinaia di persone scomparse durante il regime e mai più ritrovate, operazione mai tentata prima da altri presidenti.

Boric, secondo quanto scrivono i giornali cileni, sta anche anche valutando il modo di rendere pubbliche le dichiarazioni rese dalle più di 36mila vittime del regime nel cosiddetto Rapporto Valech (il Rapporto della Commissione Nazionale sugli incarceramenti politici e le torture), pubblicato il 29 novembre del 2004 a seguito di un’indagine durata mesi e poi ampliato nel 2010 con la creazione di una seconda commissione di inchiesta.

Quelle dichiarazioni e quei racconti di soprusi, abusi e torture sono a oggi in gran parte segreti per un impegno che lo stato cileno decise di assumersi per i successivi 50 anni con le persone coinvolte. La decisione sulla segretezza è stata più volte messa in discussione dalle organizzazioni per i diritti umani che sostengono invece come sarebbe importante conoscere i fatti. Negli ultimi giorni l’ipotesi di una pubblicazione delle testimonianze è stata piuttosto criticata. Il politologo Ricardo Israel ha scritto ad esempio di aver reso la testimonianza di quello che gli era successo alla Commissione Valech: «Ho avuto fiducia nell’impegno alla segretezza per 50 anni e mi sentirei violato se il governo riuscisse a infrangere quella regola».

Il governo cileno, nell’ambito delle azioni in vista dell’anniversario, potrebbe infine prendere una decisione sul carcere di Punta Peuco, dove in condizioni di maggior agio rispetto alle altre prigioni del paese sono detenuti più di 100 ex militari condannati per violazioni dei diritti umani durante la dittatura. L’ipotesi è che la struttura sia riconvertita in un centro per detenute incinte o con figli e che gli ex militari siano trasferiti nelle carceri comuni.

L’atmosfera è «elettrica»
Qualche giorno fa, parlando delle giornate della commemorazione, Boric ha detto che l’atmosfera è «elettrica», mentre l’ex presidente socialista Michelle Bachelet ha aggiunto che è anche «tossica». Entrambi i leader hanno espresso la loro preoccupazione per la regressione che percepiscono innanzitutto tra i partiti politici della destra nel condannare la fine della democrazia e l’inizio della dittatura. Nei 50 anni dal colpo di stato, ha detto Bachelet, «che la democrazia sia fondamentale, che dobbiamo prendercene cura e rafforzarla, e che nulla giustifica le violazioni dei diritti umani dovrebbe essere qualcosa che ci unisce: invece vedo questi concetti basilari usati come arma politica».

In vista delle commemorazioni, il presidente Gabriel Boric ha invitato tutte le forze politiche cilene a firmare un impegno a favore della democrazia e a condannare le violazioni dei diritti umani compiute a partire dall’11 settembre del 1973. L’invito è stato respinto dal Partito Repubblicano di José Antonio Kast, che alle ultime presidenziali aveva perso al ballottaggio contro Boric. Kast è un esplicito sostenitore di Augusto Pinochet ed è favorevole al mantenimento della Costituzione ereditata dalla dittatura.

Contraria alla firma è anche l’Unione Democratica Indipendente (UDI), partito di destra fondato nel 1987 sul finire della dittatura da Augusto Pinochet. Il presidente dell’UDI, il senatore Javier Macaya, ha detto che il suo partito non è disposto a partecipare a iniziative «divisive». Spiegando che settimane fa un senatore socialista lo aveva accusato di essere un «negazionista delle violazioni dei diritti umani» durante la dittatura ha detto che firmare l’impegno sarebbe «come andare a casa di una persona che ti insulta in continuazione». Sulla stessa linea si è espressa anche la segretaria generale dell’UDI, María José Hoffmann: «Senza Allende non ci sarebbe stato Pinochet».

La bozza dell’accordo, a cui il quotidiano cileno La Tercera ha avuto accesso, è composta da quattro punti: prendersi cura e difendere la democrazia, rispettare la Costituzione, le leggi e lo stato di diritto di fronte alle minacce autoritarie e all’intolleranza; affrontare le sfide della democrazia con maggiore democrazia; difendere il valore e la promozione incondizionata dei diritti umani; rafforzare la collaborazione tra gli stati attraverso un multilateralismo maturo e rispettoso delle differenze. Boric ha esteso l’invito a firmare anche agli ex presidenti del Cile e ai presidenti o ai primi ministri di altri paesi: dell’Argentina, della Colombia, del Messico, dell’Uruguay e del Portogallo. Tra gli ex e le ex presidenti del Cile, Bachelet ha già confermato la sottoscrizione del documento e Sebastián Piñera, di centrodestra, si è detto possibilista, mentre il suo partito ha fatto sapere di non poter firmare un accordo «scritto con la mano sinistra».

La firma del documento è comunque solo l’ultimo dei problemi che si sono presentati nel contesto della commemorazione.

All’inizio di luglio, il coordinatore delle attività celebrative Patricio Fernández, nominato da Boric, era stato costretto alle dimissioni per alcune sue dichiarazioni che, in qualche modo, relativizzavano la gravità del golpe. Fernández aveva dichiarato che si sarebbe potuto continuare a discutere del perché il golpe «avvenne e di quali ne furono le ragioni», ma «ciò su cui potremmo trovare un accordo è l’inaccettabilità degli eventi successivi al colpo di stato». Alcuni parlamentari del partito al governo, il Partito comunista e i gruppi per i diritti umani lo avevano accusato di distinguere il golpe dalle violenze che ne erano derivate, che è la posizione, contestata da Boric, dei partiti della destra. Le dimissioni a cui Fernández era stato spinto sono state considerate dalla destra stessa come un segno molto evidente, da parte del governo, di imposizione della loro verità storica.

Che la destra in parlamento negli ultimi anni sia regredita rispetto al riconoscimento del golpe e della dittatura lo dimostra anche quanto successo qualche giorno fa. Se nel 2013, nei quarant’anni del golpe, il presidente Sebastián Piñera riuscì a parlare dei «complici passivi» della dittatura, riferendosi ai civili conservatori che favorirono il regime, oggi al parlamento cileno sono state invece riproposte le dichiarazioni appena precedenti la fine della democrazia e, secondo qualcuno, complici di quella fine.

Il 22 agosto le destre hanno ottenuto che alla Camera dei deputati venisse riletto un documento scritto esattamente 50 anni prima dai cristiano-democratici e dai membri del Partito Nazionale, il centro e la sinistra che erano diventate sempre più compatte nella loro opposizione a Allende. Venti giorni prima del colpo di stato, in quel documento si accusava il governo Allende di atti incostituzionali e veniva lanciato un appello all’esercito per rimuovere il presidente. La sessione che il 22 agosto scorso era stata aperta con la lettura di quel testo è stata sospesa dopo le proteste dei partiti al governo.

Il deputato socialista Daniel Manouchehri è arrivato in aula con le immagini dei detenuti socialisti scomparsi durante la dittatura di Pinochet: «Quello che è accaduto nell’aula della Camera è una grave offesa alla democrazia, ai cileni e soprattutto ai cittadini che sono stati perseguitati, torturati, rapiti e assassinati dalla dittatura militare», ha detto Manouchehri: «Le destre ci stanno dicendo che oggi ripeterebbero gli stessi crimini. Dovrebbero vergognarsi di quest’ode a criminali, assassini e stupratori. La destra sta retrocedendo e questo è un male per il Cile». Negli ultimi giorni, alcune deputate di estrema destra hanno poi messo in dubbio gli stupri sistematici commessi dai militari subito dopo il colpo di stato e che sono stati invece più volte dimostrati in tribunale.

Boric è stato invece molto criticato dalle destre per alcune sue dichiarazioni fatte a fine agosto. Dopo mezzo secolo di dilazioni, la Corte suprema del Cile ha condannato in via definitiva a pene tra gli 8 e i 25 anni di carcere sette militari ora in pensione per il sequestro, la tortura e l’assassinio del musicista e poeta Víctor Jara e dell’allora direttore del servizio penitenziario Littré Quiroga, confermando una decisione presa nel 2021 dalla Corte d’Appello. Poche ore dopo la sentenza e mentre la polizia cilena stava per andare a prendere uno dei sette condannati per portarlo in carcere, Hernán Chacón Soto, il più anziano, 86 anni, e il più alto in grado, si è suicidato sparandosi alla tempia. Nei giorni della sentenza è morto, a 79 anni, anche il presidente del Partito Comunista Guillermo Teillier, che venne perseguitato e torturato dalla dittatura e che poi ne guidò la resistenza autorizzando l’attentato contro Augusto Pinochet nel 1986.

Commentando insieme i due fatti Boric ha detto che Teillier era morto «con la dignità e l’orgoglio della vita che aveva vissuto» e che «ci sono altri, invece, che sono morti vigliaccamente per evitare di affrontare la giustizia». Il presidente ha poi chiarito che non spetta a lui a giudicare un suicidio: «Quello che volevo dire, e lo ribadisco, è che c’è stato chi ha commesso crimini atroci, che per molto tempo se ne è vantato, che li ha nascosti, che ha mentito e che ha fatto tutto il possibile per ostacolare la giustizia. E di fronte alle conseguenze delle propri azioni, attraverso modi diversi, ha eluso ancora una volta la propria responsabilità. Questa scelta, e non mi riferisco solo al caso di Chacón, ma allo stesso Augusto Pinochet, mi sembra profondamente vile».

Come arriva il Cile ai 50 anni dal golpe
Al di là delle divisioni politiche e dei fatti delle ultime settimane il Cile è un paese dove non c’è consenso sulla condanna del colpo di stato di Pinochet, come mostrano i sondaggi. Il sociologo Manuel Antonio Garretón ha detto che «il problema è che c’è una parte importante della popolazione che continua a rivendicare il colpo di stato del 1973. Si tratta del 44 per cento che votò “sì” a un nuovo mandato presidenziale di Augusto Pinochet nel plebiscito del 1988 e il 44 per cento che ha votato per José Antonio Kast nel ballottaggio alle presidenziali del 2021. Kast che afferma che il colpo di stato era necessario».

In generale, il Cile affronta l’appuntamento dei 50 anni dal golpe con un governo di sinistra che, nonostante le alte aspettative di radicale riforma della società e della politica, è stato indebolito da due pesanti sconfitte.

Il 4 settembre del 2022 la maggioranza dei cileni ha respinto la nuova Costituzione, che avrebbe dovuto sostituire la precedente nata dalla dittatura militare. A quel punto Boric aveva avviato un nuovo processo costituente dovendo però accettare che nel processo stesso avessero molto più potere il parlamento e i partiti e di un’Assemblea costituente di nomina non politica, interamente eletta dai cittadini. A maggio, in una delle fasi di questo nuovo processo, l’estrema destra di Kast ha ottenuto una larga vittoria alle elezioni per il Consiglio costituzionale, l’organo che dovrà appunto discutere, modificare e approvare la nuova proposta di Costituzione: Kast ha ottenuto quasi il 35 per cento dei voti e 33 seggi su 50, ben più della metà. Negli ultimi giorni, tra l’altro, il consigliere costituzionale più votato del Cile, il repubblicano Luis Silva, ha ammesso di essere «ammirato» dalla figura di «statista» di Pinochet e ha invitato il governo «a una lettura un po’ più ponderata» del suo periodo al potere in occasione del cinquantesimo anniversario del colpo di stato (Boric ha risposto dicendo che Pinochet era un dittatore «corrotto e ladro»: «Uno statista, mai»).

Il Cile, ha spiegato qualche settimana fa a El País l’analista politico cileno Max Colodro, «è oggi diviso e polarizzato»: la crisi sociale «ha aperto una nuova spaccatura nella società cilena e ha ripristinato la violenza politica come tema di confronto. A questo si aggiunge la dura sconfitta subita dalla sinistra nel processo costituente». Di conseguenza, per lui, la commemorazione dei 50 anni dal colpo di stato non porterà a una rilettura dei fatti da una prospettiva storica, «con un’autocritica da parte di tutti i settori e la ricerca di punti di incontro che possano aiutare a rimarginare le ferite». Questo anniversario, ha concluso, «lascerà il Cile in una posizione ancora più scomoda non solo verso il suo passato, ma anche verso il presente e il futuro».