Twitter ha limitato il traffico verso i siti che non piacciono a Elon Musk

Per un po' di tempo i link a Threads, Instagram, Substack, Reuters o New York Times ci hanno messo cinque secondi in più a funzionare

Il simbolo di caricamento dei contenuti su Twitter
Il simbolo di caricamento dei contenuti su Twitter
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Martedì molti utenti di Twitter – o X, come si chiama da qualche settimana – hanno cominciato a notare che, cliccando sui link che portavano a specifici siti, il caricamento della pagina ci metteva alcuni secondi in più del normale. Non succedeva con tutti i link: quelli che indirizzavano a YouTube, per esempio, funzionavano regolarmente. In base a test condotti prima da diversi utenti appassionati di informatica e poi dalla redazione del Washington Post, ad avere questo problema di lentezza erano specificatamente i link verso social network e piattaforme rivali di Twitter come Facebook, Instagram e Threads (tutti appartenenti a Meta), Substack e Bluesky, e quelli verso i siti di due testate giornalistiche, Reuters e il New York Times.

Questi siti sono accomunati tra loro dal fatto che negli scorsi mesi Elon Musk ha mostrato apertamente di disprezzarli per quello che ritiene essere il loro posizionamento ideologico (come nel caso del New York Times) o di temerli in quanto diretti rivali di Twitter. Nel caso delle piattaforme appartenenti a Meta, di cui è presidente Mark Zuckerberg, potrebbe avere un ruolo anche l’attuale faida in corso tra lui e Musk.

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Non è chiaro cosa sia successo da un punto di vista tecnico: l’ipotesi più accreditata è che Twitter abbia scelto volontariamente di limitare i dati trasmessi verso specifici siti, approfittando del fatto che tutti i link pubblicati sulla piattaforma vengono automaticamente abbreviati con il dominio t.co, che appartiene a Twitter. Il traffico verso tutti i link pubblicati su Twitter viene quindi incanalato attraverso t.co, il che permette all’azienda di tracciare i movimenti degli utenti verso siti esterni e, come in questo caso, rallentarli. Nella pratica, questo sottrae potenzialmente traffico, e quindi entrate pubblicitarie, ai siti in questione.

Le aziende investono milioni di euro per assicurarsi che i loro siti web si aprano il più rapidamente possibile, dato che anche il minimo ritardo può avere un forte impatto sulla decisione degli utenti di visitare il sito. Uno studio di Google risalente al 2016 ha mostrato che il 53 per cento degli utenti abbandona un sito se il caricamento richiede più di tre secondi.

Non è chiaro quanto a lungo sia durata questa anomalia: una fonte del New York Times che ha parlato sotto la condizione dell’anonimato al Washington Post ha detto che la redazione ha cominciato a notare stranezze nel traffico proveniente da Twitter già il 4 agosto. Lo stesso giorno Musk aveva pubblicato una serie di tweet in cui criticava duramente il giornale newyorkese, definendolo «apologeta del genocidio razziale» e suggerendo alle persone di disabbonarsi perché non era d’accordo con il modo in cui era stata trattata una controversia politica in corso in Sudafrica, paese dove Musk è nato. In passato Musk aveva già definito il New York Times «l’equivalente digitale della diarrea» e «un organo di propaganda». Dopo la pubblicazione dell’articolo del Washington Post sul caso martedì, il traffico è tornato alla normalità.

Yoel Roth, ex responsabile della divisione “Trust and safety” di Twitter (quella che si occupava tra le altre cose di definire le politiche relative ai contenuti ammissibili sulla piattaforma) ha scritto su Bluesky che «è una di quelle cose che sembrano troppo folli per essere vere, anche per gli standard di Twitter, finché non vedi che inspiegabilmente Chrome ci sta davvero mettendo 5 secondi a ricevere 650 byte di dati».

Musk, che in passato ha posto molta enfasi sull’importanza che dà alla libertà di espressione, non ha risposto alle richieste di commentare su quanto accaduto. Ma da quando ha comprato Twitter lo scorso ottobre non è la prima volta che cerca di mettere in difficoltà piattaforme rivali e persone che fanno cose che non gli piacciono, o che altera il funzionamento della piattaforma a fini personali.

A dicembre aveva bandito un account noto come ElonJet che tracciava i voli del jet privato di Musk, e poi sospeso temporaneamente sia gli account dei giornalisti che avevano raccontato la cosa, sia l’account ufficiale di Mastodon, che aveva parlato di ElonJet in un tweet. A febbraio ha ordinato che l’algoritmo di raccomandazione dei tweet fosse modificato per assicurarsi che molte più persone vedessero i suoi tweet. Ad aprile di quest’anno ha poi provato a ostacolare la diffusione di Substack Notes, una nuova funzione della piattaforma per newsletter Substack che la fa somigliare un po’ di più a un social network, bloccando alcune funzionalità di Substack su Twitter.

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