ChatGPT ha già cambiato il modo in cui lavoriamo

Da quando è accessibile viene impiegato quotidianamente da programmatori e grafici, così come insegnanti, analisti e organizzatori di eventi, ma non è sempre tempo risparmiato

(Steve Legato/The New York Times/Redux)
(Steve Legato/The New York Times/Redux)
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Quando, a fine febbraio, ChatGPT, il chatbot intelligente di OpenAI, ha cominciato a dare risposte senza senso e impiegare moltissimo tempo per svolgere compiti che solitamente compie in meno di un secondo, molte persone, in Italia e nel mondo, se ne sono accorte subito. Il motivo è che da quando è diventato disponibile, alla fine del 2022, questo chatbot gratuito e basato sul machine learning viene usato quotidianamente da molti lavoratori, e ne ha cambiato in parte il modo di lavorare.

La sua velocissima popolarizzazione – e il lancio di molti altri servizi simili, gratuiti o meno, basati sulle “intelligenze artificiali” – ha portato vari analisti a ipotizzare che nel prossimo decennio software di questo tipo sostituiranno lavoratori qualificati anche in settori che finora non erano stati toccati dall’automazione, come la giurisprudenza, la programmazione o il marketing. Per ora anche i chatbot più avanzati hanno mostrato di fare grossi errori se non vengono affiancati da esseri umani pronti a controllare i testi che producono, ma molte persone li hanno comunque introdotti con successo nel proprio flusso di lavoro per aumentare la propria produttività, esternalizzare lavori altrimenti tediosi o farsi venire nuove idee quando si trovano davanti a un blocco creativo.

Da un punto di vista tecnico ChatGPT è un chatbot, ovvero un software che simula le conversazioni umane rispondendo a frasi scritte o pronunciate dagli utenti, basato su un “modello linguistico di grandi dimensioni” detto GPT-3.5, ovvero un programma addestrato su enormi quantità di dati pensato per generare testi simili a quelli che produrrebbe un essere umano. La versione a pagamento, ChatGPT Plus, si basa invece sul modello linguistico GPT-4, considerato più affidabile, creativo e in grado di gestire istruzioni molto più sfumate rispetto a GPT-3.5.

Esistono molti altri software basati su altri modelli linguistici, pensati per essere usati da un pubblico generalista o specializzato: per esempio ai giornalisti interessano particolarmente i software di trascrizione automatica di file audio, perché permettono loro di risparmiare tempo nella trascrizione delle interviste registrate; ai programmatori sono utili strumenti pensati specificatamente per seguire il loro lavoro man mano che lo fanno e segnalare eventuali errori. ChatGPT rimane però in assoluto il software più usato tra tutti quelli basati sull’intelligenza artificiale che sono stati aperti al pubblico finora.

Né GPT-3.5 né GPT-4 analizzano i contenuti internet in tempo reale, e quindi non sono aggiornati sull’attualità o sui più recenti studi scientifici. Capita piuttosto spesso, inoltre, che entrambi i modelli diano delle risposte completamente inventate o contenenti errori fattuali anche gravi. A questi problemi si aggiunge il fatto che i dati e le informazioni digitate dall’utente nella propria conversazione con ChatGPT (così come con gran parte degli altri software simili) vengono poi immagazzinati dall’azienda che sviluppa il software per continuare ad addestrarlo: anche per questo motivo, varie aziende vietano formalmente ai propri dipendenti di usarli, per paura che qualcuno divulghi anche senza volerlo informazioni riservate o segreti aziendali.

A prescindere da questi limiti, milioni di persone nell’ultimo anno e mezzo sono riusciti a integrare ChatGPT nel proprio flusso di lavoro quotidiano, usandolo come se fosse un assistente o «uno stagista non particolarmente qualificato». E quindi chiedendogli di rivedere il proprio inglese prima di mandare una mail di lavoro, se non si è sicuri del proprio livello linguistico; di aiutare a generare qualche spunto quando si intraprende un nuovo progetto; di scrivere mail con un certo grado di formalità o organizzare al meglio il curriculum di un utente nel momento di fare domanda per un nuovo posto di lavoro.

Vittorio Bossa, che da tre anni lavora come programmatore e data analyst per il Post, dice di usare ormai da mesi ChatGPT nel quotidiano. Chiede al software di aiutarlo a decidere cosa mettere in valigia per un viaggio e cosa ha senso visitare una volta arrivato, come usare un elettrodomestico appena acquistato o quali ricette provare a partire da determinati ingredienti. Ma soprattutto lo usa per lavoro, facendosi aiutare quando deve scrivere pezzi di codice in linguaggi di programmazione che conosce poco. «Prima passavo ore e ore a cercare una soluzione online, facendo molto spesso un buco nell’acqua», racconta. «O non ci provavo nemmeno».

Sebastian Bendinelli, che insegna italiano e storia alle scuole superiori, racconta di usarlo per inventare brevi testi da sottoporre ai propri studenti come compiti per casa o nelle verifiche: «Per una verifica di grammatica avevo per esempio bisogno di un breve testo che contenesse vari verbi di un certo tipo. Altre volte mi ha aiutato a trovare spunti per esercizi di scrittura, oppure a decidere in che ordine esporre un argomento da trattare quando non sono subito certo di come impostare un lavoro», racconta. Tommaso, che si occupa di amministrazione aziendale in una società con sede a Londra, dice che lo aiuta a scrivere più rapidamente email complesse, «rendendo le comunicazioni più persuasive», ma anche a generare spunti in fase di promozione di un evento aziendale.

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Ci sono agenti immobiliari che dicono di usarlo per generare più velocemente le descrizioni degli appartamenti da mettere in vendita e impiegati in banca che lo usano per riassumere lunghi documenti o normative. Altri lo trovano utile non solo per scrivere le prime bozze di testi, ma anche per analizzare grosse masse di dati e generare grafici per esporre i risultati delle proprie ricerche. E ci sono anche persone che provano a usarlo per guadagnare soldi facendo un quantitativo davvero minimo di lavoro: su Amazon, per esempio, nell’ultimo anno sono stati autopubblicati migliaia di libri scritti interamente con ChatGPT e a malapena modificati da esseri umani, con risultati creativamente piuttosto scarsi.

Secondo la rivista Business Insider, negli Stati Uniti l’utilizzo massiccio di ChatGPT per aumentare la propria produttività sul posto di lavoro è arrivato a generare una certa disuguaglianza in termini di performance e quindi anche di ricompense e aumenti tra chi ha imparato a usarlo – spesso senza dirlo ai colleghi o ai superiori – e chi invece continua a lavorare come faceva prima. Anche per questo motivo, nell’ultimo anno online si sono moltiplicate le persone che si specializzano nella produzione di contenuti o nella vendita di corsi su come imparare a usare al meglio questi strumenti.

Questo non vuol dire che i risultati siano immediati, o che una volta imparato qualche trucchetto il proprio lavoro diventi sistematicamente più semplice grazie a ChatGPT, soprattutto per chi vorrebbe usarlo per compiti un po’ più complessi della media. «ChatGPT funziona davvero bene solo quando ti prendi il tempo per imparare come funziona, e poi per restringere al massimo il suo campo d’azione», spiega Alessandro Massone, grafico e co-fondatore della piccola media company Undermedia, con sede a Milano. «Qualsiasi attività più complessa di chiedergli di scrivere due paragrafi di testo generico richiede di impegnarsi moltissimo per assicurarsi che il modello generativo rimanga sul percorso giusto. E quando gli chiedi di fare qualcosa capita spesso che produca una guida in modo che lo faccia tu: in quei casi è necessario insistere, chiarendo che vuoi che l’azione venga svolta da lui e non dall’utente con cui sta dialogando».

Oltre ai singoli utenti che cercano di arricchirsi insegnando agli altri come integrare ChatGPT nel proprio lavoro, online sono cresciute molto anche le comunità di persone che condividono tra loro trucchetti e consigli su come ottenere esattamente i risultati che vogliono dalla propria interazione con il chatbot. L’esperienza può però essere tanto divertente quanto frustrante. «Gran parte del mio lavoro è fatta di incarichi burocratici, ripetitivi e superflui. Per questo motivo da diversi mesi sto cercando di delegarli a ChatGPT, ma il risultato è che lavoro un po’ più di prima, perché passo un sacco di tempo a cercare di far fare all’algoritmo quello che voglio, e poi altro tempo ancora a revisionare i risultati che produce, se non rifarli da zero», spiega Federico Nejrotti, co-fondatore di Ufficio Furore, uno studio che lavora alla produzione di progetti culturali e strategie di comunicazione. «Io di mestiere scrivo, e per ora il mio tentativo di farmi sostituire da ChatGPT mi ha insegnato che, se continua così, lavorerò per tutta la vita».

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