Dobbiamo smettere di dire «Twitter»?

Da quando Elon Musk ha rinominato il social network X, ci si chiede cosa fare con parole comuni come “tweet”, “twittare” e “ritwittare”

Uno screenshot della vecchia interfaccia di Twitter
Uno screenshot della vecchia interfaccia di Twitter
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Lunedì 24 luglio Elon Musk ha annunciato che da quel momento in poi il social network noto da diciassette anni con il nome di Twitter si sarebbe cominciato a chiamare “X”. Nei giorni seguenti, il vecchio nome è stato cancellato dall’edificio principale dell’azienda a San Francisco e lo storico logo dell’uccellino bianco su sfondo blu è stato scambiato con una “X” un po’ grossolana, prima nella versione da desktop della piattaforma e poi anche sugli smartphone su cui era installata l’applicazione.

La decisione, annunciata e messa in atto da Musk in modo piuttosto repentino, ha ricevuto molte critiche, un po’ per la cattiva fama che Musk si è procurato da quando è capo di Twitter tra gli utenti della piattaforma, un po’ perché è la prima volta che un social network così popolare cambia nome e in generale è un’operazione molto inusuale per un’azienda con un marchio così famoso. In passato, l’azienda dietro Snapchat aveva cambiato il proprio nome in “Snap”, senza toccare però il nome del prodotto; allo stesso modo, Facebook ha cambiato nome in Meta, ma la piattaforma ha continuato a chiamarsi Facebook. Tra i tanti aspetti di questa novità che hanno suscitato stupore e scompiglio, ce n’è uno in particolare che fa discutere gli utenti e i giornali (con cui Twitter ha sempre avuto un rapporto molto stretto) da settimane: come chiamare la piattaforma, adesso? Ha ancora senso dire che qualcuno ha “twittato” o che si è letto qualcosa in un “tweet”?

Da parte propria, l’azienda ha confermato che il social network si chiama ufficialmente “X”, e sta prendendo varie misure per allontanarsi dal marchio, molto riconoscibile, di Twitter. Tra la piattaforma e la app il nome e il logo di Twitter sono stati quasi totalmente sostituiti. Il tasto “tweet”, da premere per pubblicare i propri post sul social network, è stato sostituito nella versione in inglese con un generico “post” e in quella in italiano con “pubblica”. Al momento è possibile raggiungere la piattaforma da desktop sia digitando www.twitter.com sia digitando www.x.com. Negli uffici dell’azienda, le sale conferenze che prima erano a tema ornitologico ora hanno dei nomi che contengono delle X, come “eXposure”, “eXult” e “s3Xy”.

Per gli utenti il cambiamento è particolarmente complesso perché è molto raro che si sviluppi un lessico specifico attorno a un prodotto, come è successo appunto con Twitter, e cambiare abitudini sedimentate dopo anni di uso quotidiano di un termine non è così immediato. La reazione tra gli utenti è stata molto divisa: c’è chi promette che non smetterà mai di chiamare “Twitter” la piattaforma che usa e “tweet” i propri post, ma anche chi si è conformato subito al cambiamento. Molte persone hanno proposto in modo ironico neologismi come “x-files” o “xeets” per sostituire “tweet”. La stessa questione si pone per altri termini propri della piattaforma, come “retweet”, che ufficialmente ora è stato sostituito da “repost”.

Al di là del modo in cui viene chiamato colloquialmente tra le persone, il cambiamento nel nome della piattaforma sta creando difficoltà anche a chi deve parlarne per lavoro, a partire dai giornalisti. Associated Press, la principale agenzia stampa statunitense, ha aggiornato il proprio “stylebook” – ovvero il dizionario interno all’agenzia, che tutti i suoi giornalisti sono tenuti a consultare per mantenere uno stile di scrittura coerente, e che viene spesso usato anche dalle altre testate americane come riferimento per la sua accuratezza – scrivendo che il modo migliore per riferirsi alla piattaforma al momento è «X, formerly known as Twitter», cioè  «X, noto in precedenza come Twitter».

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