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  • Lunedì 24 luglio 2023

Cosa succede ora in Spagna?

Formare una coalizione di governo sembra impossibile a destra e molto complesso a sinistra: nuove elezioni sono considerate possibili già a dicembre

Il primo ministro Pedro Sanchez, durante un incontro a Madrid, domenica (AP Photo/Manu Fernandez)
Il primo ministro Pedro Sanchez, durante un incontro a Madrid, domenica (AP Photo/Manu Fernandez)
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Le elezioni politiche in Spagna si sono chiuse domenica senza l’indicazione di una possibile maggioranza parlamentare ed esiste quindi grande incertezza su cosa succederà ora. È una situazione per nulla nuova in Spagna negli ultimi dieci anni, da quando l’emergere di nuove forze politiche ha messo in crisi il tradizionale bipolarismo.

Il Partito Popolare, il principale partito di centrodestra spagnolo, ha ottenuto più voti di tutti e per questo il suo leader, Alberto Nuñez Feijóo, ha chiesto espressamente che gli venga affidato l’incarico di formare il governo.

Per la composizione parlamentare e per il risultato sotto le attese dell’estrema destra di Vox attualmente non esiste però possibilità di formare una coalizione di destra che raggiunga una possibile maggioranza. Il Partito Socialista di Pedro Sánchez ha invece qualche possibilità in più di trovare alleati per un governo di centrosinistra, che dovrebbe però coinvolgere anche tutte le forze indipendentiste regionali di Catalogna e Paesi Baschi, un risultato molto difficile. Fra queste è ritenuto particolarmente problematico un eventuale accordo con Junts, formazione indipendentista catalana fondata dall’ex presidente Carles Puigdemont, che nel 2017 dichiarò la secessione della Catalogna dalla Spagna dopo avere organizzato un referendum per l’indipendenza giudicato illegale dallo stato spagnolo. Junts è stata all’opposizione negli ultimi quattro anni.

La creazione di coalizioni è quindi complessa, ed è ritenuta assai improbabile una terza opzione, in cui il Partito Socialista dovrebbe astenersi per permettere la formazione di un governo di minoranza del Partito Popolare vincitore delle elezioni. Il primo ministro uscente Pedro Sánchez non ha mai aperto a questa possibilità, soprattutto dopo una campagna elettorale del PP incentrata sul progetto di “disinnescare” le riforme del cosiddetto “sanchismo”.

Per questo in diversi ritengono che alla fine si andrà a nuove elezioni fra pochi mesi, probabilmente già a dicembre. Era già successo nel 2019, con le elezioni di novembre che avevano seguito quelle di aprile, quando non era stato possibile formare una maggioranza.

I problemi legati alla formazione di una maggioranza riguardano il Congresso dei deputati, cioè la camera bassa, mentre il Senato, la camera alta, è eletto con un sistema maggioritario su base regionale, e soprattutto non vota la fiducia al capo del governo: qui il Partito Popolare ha la maggioranza assoluta. Al Congresso ci sono 350 seggi: per ottenere la maggioranza assoluta ne servono 176.

I 136 seggi conquistati dal Partito Popolare, più i 33 di Vox, non bastano per arrivare alla maggioranza assoluta di 176, necessaria nella prima votazione: insieme i due partiti ne hanno 169. Dalla seconda votazione basta una maggioranza semplice (quindi i sì devono essere più dei no), in cui l’astensione di uno o più partiti possono abbassare la quota necessaria per formare un governo.

Il partito di centrodestra non ha però molti possibili alleati con cui ampliare la propria maggioranza, soprattutto in un governo che preveda anche l’estrema destra di Vox. Tutti i piccoli partiti presenti in parlamento sono infatti espressione di liste o movimenti regionali, più o meno indipendentisti e incompatibili con il nazionalismo di Vox. Accordi sarebbero possibili con l’unico rappresentante dell’Unione del Popolo Navarro e forse con quello della Coalizione Canaria: si arriverebbe a 171. Il Partito Nazionale Basco (PNV) ha governato in passato con il Partito Popolare e ha 5 eletti, ma ha ribadito in più occasioni di non essere disposto a sostenere in nessun modo un governo che abbia al suo interno l’estrema destra (l’astensione non sarebbe sufficiente).

Sánchez aveva convocato queste elezioni anticipate dopo la sconfitta elettorale della sinistra nelle ultime elezioni locali di fine maggio in cui il Partito Socialista aveva perso quasi ovunque, in molte regioni e città si erano formate coalizioni di destra, proprio con Partito Popolare e Vox.

La scelta di Sánchez era stata giudicata sorprendente e pericolosa, soprattutto perché il Partito Popolare era avanti nei sondaggi. Il risultato elettorale del Partito Socialista è stato invece buono: ha guadagnato due seggi (122) rispetto alle ultime consultazioni e anche i principali alleati, il raggruppamento di forze di sinistra Sumar, hanno ottenuto un discreto risultato, con 31 eletti. L’esito del voto è stato accolto con sollievo, come confermato da alcuni balli di esponenti del Partito Socialista sulle note di Pedro di Raffaella Carrà, molto circolati sui social.

Nel 2019 Sánchez aveva formato un governo grazie all’appoggio esterno o all’astensione dei partiti catalani e baschi: Sinistra Repubblicana catalana (ERC), Partito Nazionale Basco (PNV) e Bildu, oltre ad alcune formazioni minori. Era stato molto criticato dalla destra soprattutto l’accordo con Bildu, partito indipendentista basco che a livello locale aveva candidato persone che in passato avevano fatto parte dell’organizzazione terroristica basca ETA.

Per la sinistra la situazione attuale, dopo le elezioni di domenica, è ancora più complicata, perché le alleanze del 2019 non sono sufficienti per garantirsi una maggioranza. Oggi un eventuale successo per Sánchez passarebbe anche dall’astensione dei sette eletti di Junts, il partito indipendentista di Carles Puidgemont (di centrodestra), ancora in autoesilio in Belgio ma a rischio estradizione in Spagna dopo che il Tribunale dell’Unione Europea gli aveva revocato l’immunità da europarlamentare. Negli ultimi quattro anni Junts è stato sempre all’opposizione, votando contro quasi tutte le proposte di legge del governo. La portavoce di Junts Míriam Nogueras ha commentato già prima che i risultati fossero definitivi: «Non faremo diventare Sánchez presidente in cambio di niente».

Il quotidiano ABC: “Puigdemont o stallo” (AP Photo/Manu Fernandez)

Nonostante le forze indipendentiste, soprattutto quelle catalane, abbiano perso seggi e rilevanza in queste elezioni, l’incertezza post-elettorale potrebbe renderle decisive. Per Sánchez non sarà solo difficile iniziare delle trattative con questi partiti, ma sarà anche politicamente delicato, visto che in passato le destre lo avevano molto attaccato per la sua collaborazione con forze indipendentiste regionali.

Non esiste quindi una via chiara per uscire da questa situazione. La prima decisione toccherà al re Filippo VI. Il nuovo parlamento si riunirà una prima volta il 17 agosto: nei giorni successivi il re inizierà le consultazioni per verificare chi potrebbe avere i numeri per formare un governo. Non esiste una consuetudine definita, né in un senso né in un altro, che possa guidare la scelta di Filippo VI nel dare l’incarico al leader del partito più votato, e quindi il Partito Popolare, o a quello con più possibilità di creare una coalizione.

La Costituzione prevede che il parlamento debba essere sciolto due mesi dopo il conferimento del primo incarico di formare un governo, qualora i successivi tentativi falliscano. Le elezioni dovranno poi tenersi entro 54 giorni: si potrebbe quindi tornare a votare già a dicembre o a gennaio 2024. Nel frattempo Pedro Sánchez rimarrà in carica come primo ministro ma con poteri limitati, relativi alla gestione ordinaria degli affari correnti.

Una situazione di stallo e il ricorso a nuove elezioni metterebbero a rischio la leadership all’interno del Partito Popolare di Nuñez Feijóo: la presidente della regione di Madrid Isabel Díaz Ayuso gode di una crescente popolarità ed è considerata da parte dell’elettorato conservatore più incisiva e vincente rispetto a Nuñez Feijóo.

– Ascolta anche: Globo: Le elezioni in Spagna e tutto il resto, con Javier Cercas