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  • Martedì 18 luglio 2023

Sánchez ha un problema di “sanchismo”

Nonostante i buoni risultati del suo governo, il primo ministro spagnolo è piuttosto impopolare, anche a causa di una dura campagna della destra

Pedro Sánchez (AP Photo/Bernat Armangue)
Pedro Sánchez (AP Photo/Bernat Armangue)
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Nei sondaggi che stanno precedendo le elezioni di domenica in Spagna, il capo del governo e leader del Partito Socialista Pedro Sánchez, che si è candidato per un nuovo mandato, viene dato alcuni punti percentuali indietro rispetto al suo principale avversario, il leader del Partito Popolare Alberto Nuñez Feijóo (si pronuncia feihò, con la h molto aspirata tipica dello spagnolo). Secondo i sondaggi, il Partito Socialista (PSOE) è a circa il 28 per cento dei consensi contro il 34 per cento del Partito Popolare, che è al momento il favorito per vincere le elezioni e governare il paese. Anche a livello di gradimento personale, Sánchez è abbastanza indietro rispetto a Feijóo.

Le difficoltà di Sánchez sono difficili da comprendere fuori dalla Spagna, dove il primo ministro è considerato in maniera quasi unanime come un politico di successo, che è riuscito a governare bene il paese anche in anni difficili. Nonostante questo, i sondaggi mostrano come la percezione di Sánchez all’interno della Spagna sia molto diversa da quella che c’è all’estero, al punto che qualche mese fa Politico scriveva che il PSOE ha un «problema Sánchez».

Da quando è stato nominato nel 2018, il governo di Sánchez ha ottenuto numerosi risultati notevoli e piuttosto tangibili. Dopo il crollo provocato dalla pandemia da coronavirus, oggi il PIL della Spagna cresce a livelli molto più alti della media dell’Unione Europea: è cresciuto del 5,5 per cento l’anno scorso (in Italia del 3,7 per cento) e si prevede che crescerà dell’1,9 per cento nel 2023 (le previsioni per la Francia sono dello 0,7 per cento, per la Germania dello 0,2 e per l’Italia dell’1,2).

Il governo spagnolo è di fatto riuscito a mettere sotto controllo l’inflazione prima di tutto il resto d’Europa (a giugno era dell’1,9 per cento su base annua contro il 6,4 per cento dell’Italia), anche grazie al fatto che la Spagna non dipende dal gas e dal petrolio russi. I prezzi dell’energia per gli spagnoli sono rimasti tra i più bassi d’Europa, grazie a un massimale sul prezzo del gas imposto dal governo e noto come «eccezione iberica». La disoccupazione è al 13 per cento, che è un dato alto per la media europea ma che per la Spagna è il minimo dal 2008. Anche nel completamento dei requisiti per ottenere il PNRR il governo spagnolo è molto avanti, al punto da aver ottenuto i complimenti pubblici della Commissione Europea.

Il governo Sánchez ha inoltre fatto approvare nel corso degli scorsi anni alcune misure economiche molto popolari, tra cui un aumento del salario minimo, un calmieramento dei prezzi degli affitti, una nuova legge sul mercato del lavoro che favorisce maggiormente i contratti a tempo indeterminato, numerosi aiuti per le famiglie povere e nuove tasse per le fasce più ricche della popolazione.

– Leggi anche: Il governo spagnolo, di sinistra

Insomma, a giudicare dai dati economici e dalla percezione esterna, il governo spagnolo di Sánchez dovrebbe essere considerato un governo di discreto successo. All’interno della Spagna, però, le cose sono diverse. Nella politica spagnola la figura di Sánchez e il suo personale stile di governo, spesso decisionista e impulsivo, sono diventati una ragione di forte polarizzazione, tanto che le destre hanno cominciato a fare campagna elettorale non tanto contro il PSOE quanto proprio contro Sánchez. Una parte notevole della campagna elettorale ruota effettivamente attorno al neologismo “sanchismo”, che è il termine usato dai partiti di destra per indicare lo stile di governo di Sánchez, che secondo loro sarebbe divisivo e “assetato di potere”.

Parlando con Politico, lo stimato politologo spagnolo Pablo Simón ha detto: «Le politiche del governo, come l’aumento del salario minimo, il reddito minimo e il ruolo del paese in Europa, sono molto popolari. Ma a livello personale [Sánchez] non lo è».

Questa impopolarità personale di Sánchez si basa in parte su una forte campagna dei partiti e dei media di destra contro di lui: il presidente viene abitualmente presentato come un politico assetato di potere, capace di subordinare l’ideologia e l’etica al suo desiderio di mantenere a tutti i costi il governo del paese, e capace praticamente di ogni menzogna. Il forte protagonismo di Sánchez sulla scena pubblica spagnola e a livello internazionale, inoltre, viene spesso definito come culto della personalità. Su El Confidencial, un giornale conservatore, il “sanchismo” viene definito «la subordinazione della politica, dell’etica e della lealtà a un progetto strettamente personale» (cioè il progetto di Sánchez di mantenere il potere politico in Spagna). In più di un’occasione La Razón, un giornale molto conservatore, ha paragonato il “sanchismo” all’autoritarismo.

Queste critiche hanno qualche fondamento nelle numerose contraddizioni in cui è finito Sánchez nei suoi anni al potere, nel corso dei quali molto spesso ha messo da parte le ideologie e le appartenenze politiche per cercare soluzioni pragmatiche. Per esempio, nel 2018 ha cercato prima di fare un governo con i centristi del partito Ciudadanos, e poi, dopo il fallimento delle trattative, ha fatto un governo con la sinistra radicale di Podemos, anche se in precedenza Sánchez aveva detto che non avrebbe mai governato con Podemos. Non ci sono tuttavia elementi concreti per descrivere Sánchez come un governante autoritario, o che stia alimentando un culto della personalità.

Oltre alla campagna mediatica della destra, ci sono altre ragioni più concrete che hanno reso Sánchez impopolare agli occhi di molti elettori spagnoli.

Per esempio nel 2021 il governo ha concesso la grazia ai nove leader separatisti catalani in prigione per aver organizzato un tentativo di secessione della Catalogna dalla Spagna nell’ottobre del 2017. Questa decisione fu vista in maniera tutto sommato positiva dalla comunità internazionale e riuscì nell’intento di ridurre la polarizzazione in Catalogna e aprire così una strada (ancora molto lunga) verso una riconciliazione più ampia. Ma per molti spagnoli le concessioni fatte ai separatisti sono state percepite come un attacco all’unità nazionale della Spagna e come un’intromissione indebita nel lavoro del sistema giudiziario.

Per ragioni simili, è stata molto criticata anche la decisione di Sánchez di fare affidamento con il suo governo all’appoggio esterno di Bildu, un partito politico nazionalista basco che secondo la destra avrebbe legami con il terrorismo basco dell’ETA della seconda metà del Novecento. Bildu effettivamente deriva alla lontana da movimenti politici spagnoli legati all’ETA, ma oggi è una forza politica democratica e non più legata al terrorismo. Nonostante questo, l’opposizione sta attaccando duramente Sánchez per i suoi legami con Bildu, che sarebbero un altro aspetto del “sanchismo”: pur di rimanere al potere, Sánchez sarebbe disposto a governare con gli ex terroristi.

Nel corso della campagna elettorale Sánchez si è lamentato in più di un’occasione che il “sanchismo” sarebbe un modo della destra per cercare di screditarlo a livello personale. In un’intervista al País ha detto: «Il sanchismo è la vecchia strategia della destra quando si trova all’opposizione. È un modo di deumanizzare, ridicolizzare, dipingere il leader progressista che guida il governo come una persona egoista, che non ha nessuno scrupolo ed è pronta a fare qualunque cosa per rimanere al potere. Lo fecero con Felipe [González, che governò dal 1982 al 1996] e lo chiamarono felipismo; lo fecero con José Luis [Zapatero, che governò dal 2004 al 2011] e lo chiamarono zapaterismo: e lo fanno con me, chiamandolo sanchismo».

In più di un’occasione, in effetti, Feijóo ha detto che il suo obiettivo è «porre fine al sanchismo».