La storia del tartan, dalla Scozia al resto del mondo

Il tipico tessuto a righe sovrapposte ha contraddistinto clan medievali, sovrani britannici, punk inglesi e a volte anche l'alta moda

donna punk tartan
(Christopher Furlong/ Getty Images)
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Lo scorso primo aprile al Victoria and Albert Museum di Dundee, in Scozia, è stata inaugurata una mostra dedicata al tartan, il tipico tessuto a linee e quadri sovrapposti che in Italia chiamiamo spesso “scozzese”. Oggi il termine “tartan” indica sia il tessuto in sé sia i suoi tipici motivi, che sono immediatamente riconducibili alla Scozia, a volte in maniera un po’ stereotipata. Nel tempo il tartan è stato un simbolo dell’identità scozzese, ma anche di ribellione e lotta contro le oppressioni: diventato di moda nell’Ottocento, fu adottato negli anni Settanta dal movimento punk, è stato fonte di ispirazione per stiliste e stilisti e oggi continua a essere popolare, apprezzato e impiegatissimo anche al di fuori del Regno Unito.

Sebbene le origini del tartan non siano chiare, si sa che in Scozia si usa almeno dal Terzo secolo dopo Cristo. Tessuti creati dall’intersezione di fili di lana di colori diversi in senso perpendicolare venivano usati già vari secoli prima, per esempio in Austria e in Scandinavia: il primo frammento di tartan documentato in Gran Bretagna invece è il cosiddetto Falkirk tartan, trovato assieme ad alcune monete datate tra l’83 a.C. e il 230 d.C. durante alcuni scavi più o meno a metà strada tra Glasgow ed Edimburgo. Si ritiene comunque che questo tipo di tessuto cominciò a essere ampiamente diffuso almeno a partire dal Quattrocento tra le popolazioni di lingua gaelica del nord della Scozia, i cosiddetti highlander (dal nome della regione delle Highlands).

Le popolazioni autoctone della Scozia erano suddivise in clan, cioè strutture sociali composte da varie famiglie che facevano capo a un leader, e avevano un loro peculiare tipo di abbigliamento. Tra le altre cose usavano i tipici kilt con calze di lana che lasciavano scoperte le ginocchia e poi sciarpe, berretti, mantelli e altri accessori tradizionali come lo sporran, il piccolo borsello che si portava davanti al kilt, circa all’altezza dei genitali. Ciascun clan era identificato proprio da un tartan con fantasie e combinazioni di colori diversi, vivaci e in contrasto fra loro, tra cui rosso, verde, blu, bianco, giallo e grigio.

Non è chiara l’origine della parola “tartan”: secondo alcune fonti, deriverebbe dal francese “tiretaine”, che indica un tessuto grezzo e resistente, mentre secondo altre dal gaelico scozzese “tarsainn”, che vuol dire “attraverso” o “perpendicolare”. A ogni modo, gli abiti in tartan venivano indossati sia dalle persone comuni che dai re scozzesi. Ci sono documenti scritti che dicono che nel 1471 re Giacomo III di Scozia acquistò del tessuto in tartan per sé e per la regina, mentre durante una battuta di caccia nel 1538 Giacomo V era vestito sempre con abiti tradizionali. Per il suo matrimonio, nel 1662, Carlo II, re d’Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia, indossò sul soprabito un nastro di tartan.

Musicisti in abiti tradizionali durante i Braemar Highland Games nel settembre del 2019

Musicisti in abiti tradizionali durante i Braemar Highland Games nel settembre del 2019 (Chris Jackson/ Getty Images)

Il tartan diventò più ampiamente un simbolo dell’identità scozzese a metà Settecento, quando Carlo Edoardo Stuart guidò un’insurrezione contro l’Inghilterra con l’obiettivo di rovesciare re Giorgio II di Gran Bretagna e di riportare la corona inglese in mano alla sua famiglia. L’esercito di scozzesi che sostenevano queste rivendicazioni fu sconfitto nella battaglia di Culloden, nell’aprile del 1746: poco dopo fu promulgato un decreto che vietò l’uso di alcuni indumenti in tartan, considerato un simbolo della lealtà verso gli Stuart.

Lo storico Peter MacDonald ha ricordato che il tartan non fu vietato del tutto – potevano per esempio indossarlo i soldati e le donne – tuttavia le popolazioni scozzesi furono costrette ad adeguarsi all’abbigliamento del resto dell’Inghilterra. Nel 1782 il divieto fu revocato, e nel secolo successivo il tartan cominciò lentamente a diventare di moda proprio grazie alla monarchia britannica.

Nel 1822 re Giorgio IV del Regno Unito cercò di promuovere l’unità sul territorio indossando un abito tradizionale in tartan durante la prima visita di un sovrano inglese in Scozia dopo la battaglia di Culloden. Nel 1848 invece la regina Vittoria acquistò il castello di Balmoral, in Scozia, che ancora oggi è una tra le residenze ufficiali della famiglia reale britannica, contribuendo a rendere popolare tra l’aristocrazia inglese l’uso del tessuto. Esiste anche un tipico tartan di Balmoral, che può essere indossato solo dai reali quando si trovano lì, e solo con il permesso del sovrano regnante.

Con l’espansione dell’Impero britannico, il tartan fu esportato in quelle che allora erano le colonie del Regno Unito. Ancora oggi quello ispirato ai colori delle foglie dell’acero è uno dei simboli nazionali del Canada, dove è indossato da una banda militare e da alcuni battaglioni dell’esercito. Un’altra fantasia ispirata al tartan è tipica degli abiti di cotone tipici di Chennai, in India. Uno dei tartan più famosi in assoluto è il Royal Stewart, il tartan personale della regina Elisabetta II, con sfondo rosso e righe verdi, gialle, bianche e blu, disegnato per la prima volta nell’Ottocento.

Un ritratto di re Giorgio IV durante la sua visita in Scozia dipinto nel 1829 da David Wilkie (Wikimedia Commons, dominio pubblico)

Come ha riassunto la giornalista di moda Caroline Young, citata dal giornale scozzese The Scotsman, in un modo o nell’altro il tartan è di moda fin dalla fine dell’Ottocento. Si adattava bene sia agli uomini che alle donne, racconta Young, e il fatto che fosse molto resistente lo rese ideale sia per le divise di scuola, sia per gli abiti da lavoro, come le camicie dei taglialegna. Nella seconda metà del Novecento è stato utilizzato anche in varie sottoculture, quasi sempre come simbolo di ribellione o anticonformismo, anche perché si poteva trovare un po’ dappertutto.

Negli anni Settanta i punk nel Regno Unito cominciarono a indossare kilt o camicie di tartan strappate, usandole un po’ come «un dito medio contro la classe dirigente» e il suo potere politico, ha detto al National Geographic Mhairi Maxwell, che lavora al museo di Dundee. Fu la nota stilista inglese Vivienne Westwood a stabilire i canoni della moda punk, che incorporò nelle sue creazioni e nelle sue sfilate. Oltre ad abiti di pelle, spille, cinghie e fibbie, Westwood indossò e usò spessissimo anche il tartan.

L'attrice Helena Bonham Carter con un abito in tartan a Buckingham Palace nel 2012

L’attrice Helena Bonham Carter con un abito in tartan a Buckingham Palace nel 2012 (LaPresse)

Nel 1995 lo stilista inglese Alexander McQueen fece sfilare modelle con abiti strappati o molto scollati, alcuni dei quali in tartan, durante la controversa sfilata “Highland Rape”, ispirata alla disgregazione della cultura delle popolazioni scozzesi dopo la battaglia di Culloden. Lo stesso McQueen indossò un abito tradizionale in tartan in coordinato con quello che aveva disegnato per l’attrice Sarah Jessica Parker in occasione del Met Gala del 2006.


Maxwell ritiene che la mostra in corso al museo di Dundee affronti un dibattito molto contemporaneo, legato a temi come indipendenza, nazionalismo e decolonizzazione. Il tartan infatti è indubbiamente legato all’identità scozzese e all’idea di ribellione: il fatto che oggi si trovi un po’ dappertutto nei negozi di souvenir – dalle magliette alle sciarpe, dalle scatole dei biscotti ai cuscini – può però contribuire a quella che negli ultimi decenni alcuni critici hanno definito “tartanry”, ovvero la rappresentazione stilizzata, stereotipata, distorta o kitsch della cultura tradizionale scozzese.

A ogni modo, il tartan ha ispirato mode e abiti legati a un atteggiamento anticonformista anche all’estero, tanto da essere citato in varie mostre, una delle quali al museo del Tessuto di Prato nel 2003.

Comparve per esempio nelle camicie tipiche dello stile del grunge, il genere di rock nato nel nord-ovest degli Stati Uniti e reso popolare tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta da band come Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam. Solitamente di flanella, spesso indossate aperte sopra una maglietta, le camicie a quadri erano facili da trovare, resistenti e sfidavano i canoni della moda del tempo (in Nord America il tartan è chiamato “plaid”, motivo per cui queste camicie sono conosciute come “plaid shirts”). Sempre negli anni Novanta le studentesse giapponesi crearono lo stile Kogal, indossando la gonna scozzese delle loro divise più alta in vita e abbinandola a lunghe calze morbide e mocassini. Più di recente le camicie scozzesi sono riemerse nella moda hipster indicando, secondo Young, «un certo senso di comfort e nostalgia in tempi di grande incertezza».

Tra le case di moda che hanno utilizzato il tartan o i suoi motivi nelle loro collezioni recenti ci sono per esempio Saint Laurent o Kenzo. Il tartan è usato anche in uno dei costumi di Jobu Tupaki, il personaggio contro cui combatte la protagonista di Everything Everywhere All at Once, premiato come miglior film agli Oscar del 2023.

Una modella indossa un mantello di tartan durante una sfilata di RequaL≡ a Tokyo, nel marzo del 2021

Una modella durante una sfilata di RequaL≡ a Tokyo, nel marzo del 2021 (Christopher Jue/ Getty Images)

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