Il governo vuole limitare le cause giudiziarie contro i medici

Sono tante: intasano i tribunali e favoriscono la “medicina difensiva”, cioè la prescrizione di più esami e visite del dovuto

medico in corsia
(Michele Lapini/Getty Images)
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Oggi sono iniziate le riunioni della commissione creata dal ministero della Giustizia per limitare e quindi ridurre le cause giudiziarie presentate contro i medici. L’obiettivo della commissione, come spiegato dal ministro Carlo Nordio, non è depenalizzare completamente gli errori medici, ma proporre una modifica alle attuali leggi per evitare le conseguenze delle molte cause giudiziarie relative alla sanità: l’intasamento dei tribunali e soprattutto la cosiddetta “medicina difensiva”, cioè la prescrizione da parte dei medici di un gran numero di esami e visite per prevenire il rischio di cause. «Il malato è la prima vittima della medicina difensiva, diventata una zavorra per l’operatore sanitario, che ha il diritto di lavorare con tranquillità», ha detto Nordio.

La commissione è composta da esperti di medicina e di diritto penale, e il suo presidente è Adelchi d’Ippolito, ex procuratore aggiunto a Venezia con delega all’antiterrorismo, in pensione dallo scorso anno. La commissione si è data un anno di tempo per analizzare in modo approfondito le leggi attuali e studiare proposte di modifica che poi saranno valutate dal governo e dal Parlamento.

L’obiettivo non è quindi semplicemente studiare il fenomeno bensì intervenire concretamente, come si può dedurre dalle parole del presidente d’Ippolito. «I medici italiani, e gli operatori sanitari in generale, sono vittime di una vera e propria aggressione giudiziaria», ha detto. «È sbagliato credere che delle norme severe ci restituiscano medici più attenti. Anzi, accade esattamente il contrario: un dottore impaurito tende a fare troppo o troppo poco, e in entrambi i casi non va bene».

Secondo le stime dell’Anaao Assomed, uno dei principali sindacati di medici ospedalieri, ogni anno in Italia vengono presentate 35.600 cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie. Considerati i tempi lunghi della giustizia italiana, moltissime (Anaao stima siano 300mila) si sono accumulate nei tribunali in attesa di essere discusse. D’Ippolito ha detto che soltanto il 2 per cento si conclude con una condanna del medico.

L’istituto di ricerca Demoskopika, che ogni anno pubblica un’indagine sul sistema sanitario italiano, ha stimato che nel 2019, anno che ha preceduto la pandemia, le spese legali per liti, contenziosi o sentenze sfavorevoli sostenute dal sistema sanitario italiano ammontavano a 203,5 milioni di euro, circa 560mila euro al giorno, con un aumento del 6,9 per cento rispetto al 2018. Le spese legali più alte sono state pagate dalle strutture sanitarie del Sud, 128,1 milioni di euro, mentre al Centro sono stati pagati 45,7 milioni di euro. Al Nord 29,7 milioni di euro.

Questi dati mostrano che i provvedimenti introdotti negli ultimi anni su questo tema non hanno risolto i problemi. L’ultimo è la legge cosiddetta Gelli-Bianco che nel 2017 modificò la precedente legge Balduzzi. In sostanza, la legge Gelli-Bianco dice che il medico che ha causato morte o lesioni personali di un paziente non è penalmente responsabile nel caso in cui abbia seguito in modo corretto le linee guida sanitarie. Può essere giudicato colpevole, però, se l’errore è causato da imperizia in una serie di circostanze: quando non esistono le linee guida per il caso affrontato; nell’individuare e scegliere le linee guida, quando ci sono; oppure nella loro applicazione.

L’attuale legge lascia quindi ancora diverse possibilità di presentare denunce contro i medici. La commissione dovrà studiare un modo per un intervento ulteriore sulla legge attuale che non sia una depenalizzazione completa degli errori medici, definita «impensabile» dal ministro Nordio.

La preoccupazione più grande legata alle cause presentate contro medici e strutture sanitarie sono le loro conseguenze sull’intero sistema sanitario. Diversi studi degli ultimi anni dicono che il timore di essere coinvolti in un procedimento giudiziario porta i medici a prescrivere esami e visite più del dovuto. Secondo un sondaggio su un campione di 1.500 medici ospedalieri realizzato nel 2014 dall’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, il 58 per cento ha ammesso di praticare medicina difensiva. Il 64 per cento ha detto che la medicina difensiva ha ridotto il rischio di errore e il 69 per cento considerava la medicina difensiva un fattore limitante della professione, mentre quasi tutti (il 93 per cento) avevano previsto un aumento del ricorso alla medicina difensiva.

La medicina difensiva ha anche conseguenze economiche. Sempre secondo l’Agenas, esami e visite dovute all’eccessiva premura dei medici costituirebbero il 10 per cento della spesa sanitaria complessiva, circa 10 miliardi di euro ogni anno.

La medicina difensiva è anche una delle cause dell’allungamento delle liste di attesa e dell’aumento dei tempi di attesa per visite o esami. Studi recenti sulla gestione dei sistemi sanitari dicono che una delle soluzioni ai tempi di attesa così lunghi è chiedere ai medici di famiglia e agli specialisti di fare meno prescrizioni favorendo una “appropriatezza prescrittiva”, come si dice in gergo tecnico. Evitare, insomma, visite ed esami inutili. Uno dei modi per risolvere questo problema è analizzare in modo sistematico le richieste di visite ed esami per individuare il tasso di prescrizione dei medici di famiglia e degli specialisti a seconda della patologia. Uno studio costante e approfondito con l’utilizzo dei dati a disposizione delle aziende sanitarie potrebbe ridurre sensibilmente le richieste di visite con un beneficio sui tempi di attesa.

La commissione del ministero guarderà con attenzione alla legislazione francese, tra le altre. In Francia si predilige il risarcimento economico all’azione legale: il paziente può ottenere un indennizzo rinunciando a fare causa. In questo modo ha la certezza di essere risarcito e allo stesso tempo i tribunali non vengono gravati dalle cause sanitarie.

Una possibile soluzione individuata da d’Ippolito, in questo senso, è l’introduzione di provvedimenti contro le persone che presentano denunce definite “temerarie”, cioè tentativi di ottenere risarcimenti anche quando non c’è stato un errore medico. Secondo il presidente della commissione non è soltanto necessario mettere i tribunali nelle condizioni di archiviare le denunce temerarie in tempi rapidi, ma anche di condannare chi le presenta. «Chi presenta accuse clamorosamente infondate nei confronti del medico, dovrà rispondere della temerarietà della propria querela, ad esempio versando una pena pecuniaria», ha detto in un’intervista al Corriere del Veneto. «Lo ripeto: nessuna impunità sarà garantita ai camici bianchi, perché la legge è uguale per tutti. Ma è evidente che questo problema va risolto: quella medica è una professione diversa da gran parte delle altre, sia per la rilevanza che riveste per i cittadini che per la misura con la quale finisce con l’incidere sulle finanze dello Stato».