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  • Giovedì 19 gennaio 2023

La mafia siciliana è alla ricerca di capi

E l'arresto di Matteo Messina Denaro c'entra solo in parte: da tempo Cosa Nostra prova a riorganizzarsi e a ricostruire un gruppo dirigente

L'arresto di Matteo Messina Denaro (Ansa Carabinieri)
L'arresto di Matteo Messina Denaro (Ansa Carabinieri)
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Una delle domande ricorrenti dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro è chi comandi adesso nella mafia siciliana. La risposta è: probabilmente nessuno. Non esiste infatti in questo momento una struttura verticistica con un capo che comanda su tutte le cosche dell’isola. Non significa certo che la mafia non sia attualmente radicata sul territorio, bensì che non ha più la struttura organizzativa che aveva al tempo del dominio dei corleonesi di Totò Riina. In pratica la commissione, conosciuta anche come Cupola, non esiste più da tempo.

In realtà le commissioni erano più di una: quelle provinciali e quella interprovinciale. Le prime rappresentavano le cosche, cioè i gruppi organizzati di mafiosi, delle varie province. In particolare a essere importante e dominante era la commissione del palermitano: ne facevano parte i capimandamento di tutte le famiglie. I capimandamento sono i rappresentanti, eletti, di tre famiglie confinanti tra loro che costituiscono, appunto, il mandamento. La commissione interprovinciale era invece quella “regionale”, della quale facevano parte i palermitani insieme ai rappresentanti delle cosche di tutte le province.

Tutte le commissioni si riunivano di fatto per ratificare decisioni già prese dai corleonesi che, con la guerra di mafia dei primi anni Ottanta, avevano eliminato le cosche rivali. Totò Riina e i corleonesi dominavano la commissione provinciale di Palermo e avevano imposto a capo delle altre commissioni provinciali rappresentanti a loro fedeli. 

Dopo l’arresto di Riina quella struttura gerarchica non è più esistita o se è esistita, comunque, non si è più riunita. Ha detto in un’intervista alla Gazzetta del Sud il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia: «La commissione non esiste in questo momento, esiste solo nella costituzione formale di Cosa Nostra. Tanto è vero che tutte le più recenti indagini della procura di Palermo evidenziano un costante tentativo di ricostituire il vertice di Cosa Nostra e di ricostituire la commissione. Le capacità dei nostri investigatori hanno fatto sì che questo progetto non sia andato a buon fine».

È anche difficile che lo stesso Messina Denaro, comunque ancora potentissimo, esercitasse il comando su tutta la Sicilia. Sempre parlando con la Gazzetta del Sud, Maurizio De Lucia ha spiegato: «Matteo Messina Denaro non è il capo di Cosa Nostra e non lo è mai stato. È stato un personaggio importantissimo nelle dinamiche mafiose per essere stato allevato da Salvatore Riina, quindi conosce bene non solo le regole dell’organizzazione ma anche molti dei segreti soprattutto degli anni 1992-1993, gli anni delle stragi. È certamente il capo della provincia di Trapani, che è una realtà economicamente importante». Inoltre, il vertice di Cosa Nostra non ha mai avuto al comando qualcuno che non fosse capo delle cosche palermitane.

Negli ultimi decenni la mafia siciliana è stata decimata dagli arresti: non solo sono stati presi i boss, ma anche centinaia di sottocapi o semplici “soldati”. Cosa Nostra non è più da tempo l’organizzazione criminale più forte in Italia, perché è stata soppiantata dalla ’ndrangheta, potente in tutto il mondo, insediatasi in tutta Europa e in Sudamerica, alleata dei più importanti cartelli di narcotrafficanti messicani e colombiani.

Enzo Ciconte, tra i massimi esperti in Italia di dinamiche delle grandi organizzazioni mafiose, spiega: «Negli anni Novanta, dopo la stagione delle stragi, quando lo Stato ha risposto potentemente a livello militare infliggendo colpi durissimi a Cosa Nostra, è accaduto contemporaneamente un altro fenomeno: è cambiato il mercato degli stupefacenti, dal grande flusso di eroina si è passati al grande flusso di cocaina. Quel treno lo ha preso la ’ndrangheta, mentre la mafia siciliana è stata costretta a un ruolo di secondo piano». 

Da allora la mafia ha cercato di cambiare profilo, presentandosi sempre meno come struttura militare ma inserendosi sempre di più nel mondo della finanza e delle imprese. «Raccontando la storia di Messina Denaro», dice ancora Ciconte, «tutti sottolineano il suo ruolo negli omicidi efferati e nelle stragi ma quasi nessuno ha ricordato che è stata la persona che ha costruito grandi affari con la diffusione dell’eolico in Sicilia. Bisogna dimenticare la mafia alla Totò Riina o alla Bernardo Provenzano. La mafia adesso è quella che fa affari con le imprese del Nord. Non è scomparsa, si è trasformata».

È scritto nel secondo rapporto del 2021 presentato dalla Direzione investigativa antimafia al parlamento: «Questa mafia sempre più silente e mercantilistica privilegerebbe, pertanto, un modus operandi collusivo-corruttivo ove gli accordi affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza».

La Dia conferma «la costante inoperatività della commissione provinciale di Palermo» e spiega che «la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà». 

I nomi che vengono fatti in questi giorni sui giornali come possibili nuovi capi della mafia sono in effetti tutti di persone relativamente anziane. Si parla molto di Giovanni Motisi, chiamato u’ pacchiuni (“chiattone”, grassoccio), attualmente latitante e uno dei killer di fiducia dei corleonesi. Ma è sempre stato, appunto, un esecutore dell’ala militare di Cosa Nostra, probabilmente molto rispettato e temuto ma forse non in grado di rappresentare le nuove esigenze mafiose, cioè quelle più affaristiche. Un altro nome che viene fatto è quello di Stefano Fidanzati, vecchio boss la cui famiglia da molti anni fa affari a Milano. Ha più di 70 anni. Più giovane è Giuseppe Auteri, 48 anni, detto Vassoio, del mandamento palermitano di Porta Nuova. E poi ancora Sandro Capizzi, del clan di Santa Maria del Gesù. 

Secondo Ciconte, un ruolo potrebbero averlo anche i cosiddetti “scappati”. Sono i mafiosi perdenti, quelli che negli anni Ottanta furono sconfitti dai corleonesi nel corso della guerra di mafia e cercarono rifugio soprattutto negli Stati Uniti. Alcuni di loro hanno stretto forti rapporti con i Gambino, storica famiglia mafiosa italo-americana. Negli ultimi anni sono tornati alla spicciolata in Sicilia con la speranza di riprendersi il ruolo che Riina gli aveva tolto. «Di certo c’è», dice ancora Ciconte, «che rivolgendosi agli “scappati” e a vecchi boss, le cosche fanno capire di essere alla ricerca di una riorganizzazione. La mafia è ancora forte ma da tempo, a prescindere dall’arresto di Messina Denaro, sta cercando di riorganizzarsi. Si potrebbe dire che in questo momento Cosa Nostra ha un problema di classe dirigente».

Lo sottolinea anche la relazione della Dia che spiega: «Tale difficoltà di ricostituire una leadership autorevole alimentata dalla continua, incisiva e pressante repressione giudiziaria con la quale vengono colpite le organizzazioni mafiose determina inevitabilmente per Cosa Nostra una situazione di incertezza».

La mafia infatti, a differenza delle altre grandi organizzazioni criminali italiane, ha sempre avuto un assetto verticistico. Non c’è mai stato un gruppo dirigente che riunisse per esempio tutti i clan della camorra, e la ’ndrangheta è anzi strettamente compartimentata, divisa in ’ndrine chiuse, spesso impenetrabili. 

Cosa Nostra ha invece sempre ricercato, storicamente, un coordinamento unitario, necessario ancora di più oggi visto che le cosche tendono ad agire “sottotraccia”. Lo spiega bene un altro passaggio del rapporto della Dia: «La strategia mafiosa è tesa a rafforzare l’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali che, abbandonando il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio, privilegiano ove possibile l’approccio corruttivo. L’azione spregiudicata e violenta del passato ha peraltro ceduto il passo alla necessità di adottare strategie silenti di contaminazione e di corruzione».

Un altro fenomeno è in atto da alcuni anni proprio in seguito al cambiamento di strategia e anche all’indebolimento di Cosa Nostra: il rafforzamento della Stidda. La Stidda (letteralmente stella: i suoi affiliati hanno cinque punti tatuati tra indice e pollice della mano destra a formare una stella) nacque tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta nella provincia di Caltanissetta per poi estendersi in quelle di Ragusa e Agrigento. È stata costituita da ribelli di Cosa Nostra, alcuni “messi fuori confidenza”, cioè espulsi dalle cosche. La Stidda, che in alcuni casi entrò in guerra con cosche mafiose, è molto attiva in alcune zone della Sicilia meridionale mentre è praticamente assente nella Sicilia del nord. La mancanza di un coordinamento tra i vari mandamenti mafiosi ha consentito agli “stiddari” di intensificare le proprie attività criminali, concentrate nel traffico di droga a livello locale, nell’usura e nello sfruttamento della prostituzione.