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  • Martedì 17 gennaio 2023

Perché si parla di un’intervista di Salvatore Baiardo su Matteo Messina Denaro

Alcune sue insinuazioni sul possibile arresto del boss stanno alimentando varie dietrologie

Salvatore Baiardo durante l'intervista a "Non è l'Arena" del 5 novembre 2022
Salvatore Baiardo durante l'intervista a "Non è l'Arena" del 5 novembre 2022

Dopo l’arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro, lunedì sui giornali e sui social network è circolata molto una recente intervista a Salvatore Baiardo, un uomo che in passato aveva aiutato i mafiosi Filippo e Giuseppe Graviano nella loro latitanza nel Nord Italia. Nell’intervista, realizzata dal giornalista televisivo Massimo Giletti e andata in onda il 5 novembre nella trasmissione Non è l’Arena, Baiardo aveva ipotizzato che l’arresto di Messina Denaro avrebbe potuto essere imminente, e aveva sostenuto che avrebbe potuto essere il risultato di una trattativa tra lo Stato italiano e la mafia.

Baiardo, che è piemontese ma di origine siciliana, negli anni Novanta aveva scontato quattro anni di carcere per favoreggiamento e riciclaggio di denaro in favore dei Graviano. Nell’intervista di novembre, Baiardo aveva ipotizzato – con formulazioni criptiche e allusive, senza fornire alcuna prova – che la mafia avrebbe potuto offrire qualcosa in cambio allo Stato se il governo avesse abrogato l’ergastolo ostativo, ovvero la pena prevista per alcuni reati di particolare gravità, come mafia o terrorismo, che fino ad allora impediva ai condannati che non collaboravano con la giustizia di accedere a misure alternative alla detenzione. Nello specifico, l’abrogazione avrebbe consentito ai fratelli Graviano –  in carcere dal 1994 e condannati tra le altre cose per l’omicidio di don Pino Puglisi – di ottenere permessi premio per uscire dal carcere.

«Magari chi lo sa, che arriva un regalino. Che magari, presumiamo, che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso. E così arrestando lui magari esce qualcuno che ha l’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore. Sarebbe un fiore all’occhiello per il governo, un bel regalino», aveva detto Baiardo.

In quei giorni si stava discutendo molto della riforma dell’ergastolo ostativo perché la Corte Costituzionale aveva ritenuto la norma incostituzionale e aveva ordinato al governo di modificarla entro il novembre del 2022: se per quella scadenza non fosse stata approvata alcuna legge, l’ergastolo ostativo sarebbe stato abolito.

– Leggi anche: Qual è la nuova questione sull’ergastolo ostativo

Nel suo primo Consiglio dei ministri a fine ottobre, il governo aveva quindi approvato un decreto-legge che tra le altre cose modificava la norma, introducendo la possibilità che i detenuti potessero accedere a “benefici penitenziari” anche senza aver collaborato con la giustizia, dimostrando però di aver tenuto una corretta condotta carceraria e partecipato a un percorso rieducativo. La modifica, approvata in via definitiva dal parlamento a fine dicembre, prevedeva comunque che dai benefici continuassero a essere esclusi i detenuti in regime di 41-bis, ovvero il “carcere duro” per i delitti più gravi come mafia e terrorismo.

Nell’intervista di novembre di Giletti, in sostanza, Baiardo aveva ipotizzato che un possibile arresto di Messina Denaro sarebbe potuto arrivare a breve in cambio di “un favore” da parte dello Stato italiano, ossia l’abolizione dell’ergastolo ostativo per alcuni detenuti mafiosi. Dopo l’arresto del capo di Cosa Nostra, il video è stato commentato da molte persone e alcuni giornali lo hanno condiviso descrivendo le parole di Baiardo come una “profezia” di quanto avvenuto lunedì mattina.

Non ci sono però molti elementi noti che possano confermare le dichiarazioni di Baiardo. Il fatto che Messina Denaro fosse gravemente malato era noto da tempo negli ambienti investigativi, e probabilmente anche in quelli mafiosi: non è perciò così sorprendente che Baiardo ne fosse al corrente. Da tempo gli investigatori stavano seguendo questa pista, che è stata poi proprio quella che ha portato all’arresto.

Quelle di Baiardo insomma potrebbero essere benissimo illazioni formulate sulla base di informazione che erano più o meno note. Il decreto-legge approvato dal governo Meloni inoltre non ha davvero abolito la pena dell’ergastolo ostativo, ma l’ha solo modificata: e non ci sono prove che i fratelli Graviano o altri mafiosi in carcere abbiano ottenuto benefici di qualche tipo (peraltro i Graviano sono detenuti in regime di 41-bis e quindi non potrebbero ottenerne comunque). Rimane comunque l’oggettiva coincidenza che, poche settimane dopo l’intervista, Messina Denaro sia stato catturato dopo 30 anni di latitanza.

Le parole di Baiardo sono state commentate molto duramente dalle autorità italiane. Lunedì sera la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la trasmissione di Rete4 Quarta Repubblica, ha respinto ogni ipotesi di una possibile trattativa tra Stato e mafia per l’arresto di Messina Denaro, ribadendo come uno dei primi provvedimenti del suo governo sia stato proprio il decreto legge che ha confermato l’ergastolo ostativo. Nell’intervista Meloni ha però fatto una certa confusione, sostenendo che il decreto serva a mantenere il “carcere duro” per detenuti come Messina Denaro quando invece, come detto, l’obiettivo principale è permettere benefici a chi è condannato all’ergastolo ma non è in regime di 41-bis.

Martedì mattina anche il comandante generale dei carabinieri, Teo Luzi, ha commentato le parole di Baiardo, dicendo al Corriere della Sera che «non ci sono misteri, né segreti inconfessabili. Abbiamo indagato per anni e anni e abbiamo lavorato per fargli terra bruciata intorno. Fino a questo risultato straordinario che deve essere dedicato a tutte le vittime di mafia».

Le teorie sulle presunte trattative tra Stato italiano e mafia non sono una novità. Per anni infatti una corrente di pensiero, animata da magistrati, giornalisti e saggisti, ha sostenuto che questi contatti siano avvenuti e abbiano avuto un ruolo determinante nella fine della cosiddetta “stagione delle stragi” mafiose degli anni Novanta. Secondo questa teoria, lo Stato avrebbe garantito ai boss mafiosi alcune concessioni – principalmente benefici per i mafiosi detenuti – ottenendo in cambio che non venissero più messe bombe.

Sulla presunta trattativa Stato-mafia sono stati scritti molti libri e articoli, e soprattutto c’è stato un processo: nel 2018 in primo grado ha riconosciuto l’esistenza della trattativa condannando diversi imputati, tra cui l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex carabiniere Mario Mori. Nel 2021 però furono assolti in appello. Le motivazioni della sentenza di assoluzione stabilirono che la trattativa fu una «improvvida iniziativa» intrapresa da alcuni ufficiali dei carabinieri «in totale spregio ai doveri inerenti l’ufficio e i compiti istituzionali», e che non era stata approvata dai loro superiori. I contatti con la mafia in sostanza ci furono, stabilì la Corte d’assise d’appello di Palermo, ma ebbero ragioni investigative, e gli ufficiali non esercitarono pressione su politici e ministri perché cedessero alle richieste mafiose.