È stato arrestato Matteo Messina Denaro

Il capo di Cosa Nostra era latitante da 30 anni: al momento dell'arresto si trovava in una clinica privata di Palermo

Matteo Messina Denaro dopo l'arresto (ANSA/US CARABINIERI)
Matteo Messina Denaro dopo l'arresto (ANSA/US CARABINIERI)

Lunedì mattina è stato arrestato Matteo Messina Denaro, il più importante latitante mafioso italiano, considerato il capo di Cosa Nostra. L’arresto è avvenuto nel corso di un’operazione dei carabinieri del ROS (raggruppamento operativo speciale), unità che si occupa di criminalità organizzata e terrorismo.

Il comandante del ROS, Pasquale Angelosanto, ha detto che Messina Denaro è stato arrestato nella clinica privata La Maddalena, a Palermo, dove si trovava per sottoporsi a “terapie mediche”. Nel corso di una conferenza stampa nel pomeriggio di lunedì, i carabinieri hanno specificato che al momento dell’arresto Messina Denaro non ha opposto resistenza. L’inchiesta che ha portato all’arresto è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

Matteo Messina Denaro dopo l'arresto (ANSA /CARABINIERI)

Matteo Messina Denaro dopo l’arresto (ANSA /CARABINIERI)

I carabinieri hanno aggiunto che Messina Denaro era stato ricoverato con il nome di Andrea Bonafede, utilizzando una carta d’identità falsa, e che lunedì mattina aveva un appuntamento per un ciclo di chemioterapia. Quando è stato arrestato, Messina Denaro «si è subito dichiarato, senza neanche fingere di essere la persona di cui aveva utilizzato l’identità», ha detto il procuratore aggiunto Paolo Guido.

Nel corso della conferenza stampa il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia ha anche sottolineato come «catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico».

Secondo i carabinieri al momento non ci sono motivi per pensare che la clinica, un centro di eccellenza per le cure oncologiche in Sicilia, possa aver aiutato in qualche modo Messina Denaro nella latitanza.

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Matteo Messina Denaro, nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1962, era latitante dal 1993. Figlio di un mafioso locale legato al clan dei corleonesi di Totò Riina, alla fine degli anni Ottanta era diventato il “pupillo” di quest’ultimo. Era diventato il capo della mafia siciliana dopo l’arresto nel 2006 di Bernardo Provenzano, allora capo di Cosa Nostra.

Le prime indagini nei suoi confronti furono avviate nel 1989. Su di lui cominciò a indagare un commissario di polizia di Castelvetrano, Rino Germanà. Messina Denaro decise di ucciderlo per interrompere le indagini: il 14 settembre del 1992 lui, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano intercettarono Germanà sul lungomare di Mazara del Vallo e iniziarono a sparargli. Il commissario rispose al fuoco, uscì dalla macchina e si salvò gettandosi in mare, inseguito da Bagarella il cui Kalašnikov si inceppò.

Dopo l’attentato, Messina Denaro divenne ufficialmente latitante: fu visto in pubblico l’ultima volta mentre era in vacanza a Forte dei Marmi, in Toscana, nell’agosto del 1993, con i suoi fidatissimi amici Filippo e Giuseppe Graviano. Allora era già diventato il capo di Cosa Nostra nella provincia di Trapani.

Gestiva per Cosa Nostra il racket delle estorsioni, lo smaltimento illegale dei rifiuti, il riciclaggio di denaro e il traffico di droga. Fu anche tra i boss mafiosi che decisero di organizzare gli attentati compiuti a Roma, Milano e Firenze tra il 1992 e il 1993 per colpire lo stato italiano, e quello contro il presentatore televisivo Maurizio Costanzo (da cui Costanzo e la moglie Maria De Filippi uscirono illesi).

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Fu sempre Matteo Messina Denaro a uccidere Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo molto critico nei confronti dei corleonesi, e la fidanzata di quest’ultimo, Antonella Bonomo, strangolata mentre era incinta di tre mesi. Autorizzò anche il rapimento e l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio tredicenne di un mafioso pentito, rapito a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, il 23 novembre 1993, strangolato e poi sciolto nell’acido da Giovanni Brusca l’11 gennaio 1996, dopo 25 mesi di prigionia.