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  • Giovedì 5 gennaio 2023

Chi sono i Repubblicani estremisti che bloccano la Camera degli Stati Uniti

Sono trumpiani radicali ma nemmeno Trump è riuscito a convincerli ad appoggiare l'elezione di Kevin McCarthy a speaker dell'aula

Matt Gaetz e Lauren Boebert (Kevin Dietsch/Getty Images)
Matt Gaetz e Lauren Boebert (Kevin Dietsch/Getty Images)
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Tra martedì e mercoledì il Partito Repubblicano statunitense non è riuscito per ben sei volte a eleggere lo speaker della Camera, cioè il presidente dell’aula. Il candidato favorito è di gran lunga il Repubblicano Kevin McCarthy, che ha il sostegno di quasi tutti i deputati del partito, ma un piccolo gruppo di venti Repubblicani particolarmente radicali sta bloccando la sua elezione, approfittando del fatto che la maggioranza Repubblicana alla Camera è molto piccola.

È la prima volta in un secolo che lo speaker non viene eletto alla prima votazione, e il fallimento del Partito Repubblicano nel raggiungere una maggioranza sta provocando una crisi politica piuttosto grave, che non si è risolta nemmeno dopo che l’ex presidente Donald Trump era intervenuto per convincere i 20 Repubblicani contrari a votare per McCarthy. Non è chiaro ora come si uscirà da questa situazione: la Camera continuerà, giovedì e nei prossimi giorni, a votare, ma i margini di negoziato con il resto del partito sono limitati, soprattutto perché le richieste dei 20 deputati sono vaghe, e la loro contrarietà sembra più dettata dalla ricerca di visibilità personale che da disaccordi politici.

La crisi nasce soprattutto dal fatto che la maggioranza dei Repubblicani alla Camera uscita dalle elezioni di metà mandato di novembre è estremamente piccola: 222 voti contro i 212 del Partito Democratico. A McCarthy servirebbero 218 voti per diventare speaker, e ciò significa che basta che cinque Repubblicani votino contro di lui per perdere. I Repubblicani contrari sono stati molti di più: nelle votazioni tenute negli ultimi due giorni, McCarthy non è mai riuscito a ottenere più di 203 voti, segno che almeno 19 deputati del suo partito hanno sempre votato contro di lui (in alcune votazioni sono stati 20).

Questa crisi politica sembra particolarmente difficile da risolvere ed è diventata un simbolo delle eccezionali divisioni all’interno del Partito Repubblicano: anche perché non è chiaro quali siano le richieste dei 20 deputati contrari a McCarthy.

I 20 contestatori fanno tutti parte dell’ala più estremista e intransigente del partito, sono legati al Freedom Caucus (cioè il gruppo più radicale dei Repubblicani) e sono tutti sostenitori dell’ex presidente Donald Trump: molti di loro, probabilmente, devono la loro carriera proprio all’appoggio pubblico fornito da Trump in campagna elettorale. Si può quindi dire che i deputati contrari a McCarthy siano tutti trumpiani radicali.

Il punto è che anche McCarthy è un fedelissimo trumpiano, ed è tutt’altro che moderato. Il candidato speaker è uno degli alleati più fedeli e importanti di Donald Trump, e aderisce senza obiezioni a tutte le posizioni dell’ex presidente. Le differenze ideologiche tra McCarthy e i suoi contestatori, dunque, sono molto piccole. Inoltre McCarthy, nel tentativo di convincere i suoi critici, in questi giorni ha fatto enormi concessioni, accettando praticamente ogni richiesta che gli è stata avanzata, senza tuttavia ottenere risultati.

Kevin McCarthy (AP Photo/Jacquelyn Martin)

Tra le altre cose, ha accettato di istituire un meccanismo che consentirebbe di togliergli il ruolo di speaker praticamente in qualsiasi momento, e di approvare nuove regole nelle primarie Repubblicane che avvantaggerebbero i candidati più estremisti. Non è stato sufficiente.

I deputati contestatori non hanno cambiato idea neanche dopo che Donald Trump in persona è intervenuto a favore di McCarthy: mercoledì, prima della seconda tornata di votazioni, Trump ha scritto sul suo social network Truth, con ampio uso di maiuscole: «REPUBBLICANI, NON TRASFORMATE UNA GRANDE VITTORIA IN UNA SCONFITTA GIGANTESCA & IMBARAZZANTE. […] Kevin McCarthy farà un buon lavoro, e forse perfino un OTTIMO LAVORO. STATE A VEDERE!». Ma nemmeno l’intervento di Trump è riuscito a smuovere i contestatori, che poche ore dopo hanno votato nuovamente contro McCarthy.

Il fatto che non sia chiaro cosa vogliono i contestatori è emerso anche quando a un certo punto gli stessi si sono messi a votare per Jim Jordan, un altro Repubblicano molto conservatore. Ma Jordan sostiene McCarthy, e in questi giorni ha sempre votato per lui.

Per questo sembra che la maggior parte dei membri del gruppo dei contestatori stia bloccando l’elezione di McCarthy e i lavori della Camera più che altro per aumentare la propria visibilità sui media e per migliorare i propri consensi tra la parte più estremista dell’elettorato Repubblicano, contraria ai politici di lungo corso come McCarthy. Tra i contestatori ci sono deputati com Matt Gaetz e Lauren Boebert, che negli ultimi anni hanno acquisito popolarità e influenza appoggiando posizioni sempre più estremiste e fuori controllo.

«Ciò che gli interessa davvero è soltanto il caos. Ogni volta che bocciano una legge, ricevono un nuovo invito ad andare a parlare a Fox News o in radio. È un modo molto pericoloso di alimentare il loro narcisismo», ha detto John Boehner, che era stato speaker Repubblicano della Camera tra il 2011 e il 2015 e aveva anche lui avuto problemi con gli estremisti del partito di allora. Karl Rove, un altro analista politico Repubblicano appartenente alla vecchia guardia (era famoso soprattutto ai tempi del presidente George W. Bush) ha detto che «questa non è un’operazione politica seria. È un capriccio da bambini».

Le conseguenze del blocco dell’elezione dello speaker sono comunque notevoli.

Secondo la Costituzione americana, l’elezione dello speaker è il primo atto di una nuova Camera, ed è necessaria al proseguimento di tutto il resto: senza uno speaker, per esempio, i nuovi deputati non possono fare la cerimonia di giuramento (anche se sono già attivi), non è possibile portare avanti l’attività legislativa, formare le commissioni e così via. I deputati non possono nemmeno leggere i rapporti secretati che arrivano abitualmente dalle agenzie del governo, e non possono partecipare praticamente a nessuna attività ufficiale.

E siccome c’è la possibilità che le cose possano andare per le lunghe (uno dei contestatori, Bob Good, ha detto che potrebbero volerci addirittura «settimane»), anche alcuni membri del Partito Democratico stanno cominciando a preoccuparsi. Il deputato Democratico Ted Lieu martedì aveva twittato una foto di se stesso con un pacco di pop-corn dentro alla Camera, lasciando intendere che si sarebbe goduto lo spettacolo delle divisioni dei Repubblicani. Ma appena un giorno dopo, parlando con il Wall Street Journal, si è detto molto più preoccupato: «Metti che ci sia una crisi da qualche parte nel mondo o dentro ai nostri confini e che sia necessario che la Camera agisca: adesso non possiamo farlo. La situazione si sta aggravando rapidamente».

Questa crisi sta anche rendendo evidenti le eccezionali divisioni all’interno del Partito Repubblicano: il blocco imposto dai 20 deputati estremisti mostra che, con una maggioranza così ridotta, chiunque può tenere in ostaggio i Repubblicani alla Camera. Questo è un serio problema perché a breve la Camera dovrà approvare il nuovo budget dello stato e votare per alzare il tetto del debito, cioè per aumentare la quantità di denaro che lo stato può prendere a prestito per onorare i suoi impegni finanziari ed evitare il default. Sono misure di eccezionale importanza, che potrebbero dipendere dalla volontà di pochi deputati radicali.

Questa crisi sta mostrando anche l’indebolimento progressivo di Donald Trump all’interno del Partito Repubblicano: come ha notato il Washington Post, «è la prima volta da molto tempo» che l’ex presidente viene messo ai margini e di fatto ignorato proprio da quelli che si definiscono i suoi più fedeli sostenitori.