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  • Giovedì 10 novembre 2022

Trump non è uscito bene dalle elezioni di metà mandato americane

I suoi candidati hanno perso quasi ovunque e una parte del partito Repubblicano potrebbe iniziare a considerarlo un problema

Donald Trump durante un comizio a Mar-a-Lago, in Florida (AP Photo/Andrew Harnik)
Donald Trump durante un comizio a Mar-a-Lago, in Florida (AP Photo/Andrew Harnik)
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Il dato politico più importante uscito dalle elezioni di metà mandato statunitensi è stato senza dubbio il fatto che i Repubblicani non abbiano stravinto, contrariamente a quanto in molti si aspettavano prima del voto di martedì. Otterranno quasi certamente il controllo della Camera, ma con un margine più ridotto del previsto, e dovranno aspettare il ballottaggio in Georgia del 6 dicembre per sapere chi controllerà il Senato.

Le dimensioni del successo, molto deludenti se si considera che storicamente alle elezioni di metà mandato l’opposizione va fortissimo, hanno favorito l’inizio di una discussione interna al partito Repubblicano: sulla sua leadership e soprattutto su Donald Trump, il politico oggi più influente fra i Repubblicani e vicino a moltissimi candidati sconfitti alle elezioni o vittoriosi con scarti inferiori al previsto.

Martedì, prima delle elezioni, Trump aveva dato una risposta “alla Trump” alla domanda di NewsNation su quanto ci fosse in gioco per lui in questa elezione: «Penso che se vinceranno, dovrebbero riconoscermi tutto il merito. Se perderanno, non mi si potrà dare alcuna colpa».

Secondo interpretazioni comuni anche all’interno del partito, invece, Trump potrebbe aver condizionato e limitato l’attesa vittoria elettorale Repubblicana. I “suoi” candidati –  chiamati MAGA, dallo slogan della sua prima campagna elettorale, “Make America Great Again” – avrebbero attirato i voti dell’elettorato più conservatore e radicale, ma avrebbero allontanato i cosiddetti “elettori indipendenti”, cioè quelli meno schierati e meno fedeli a un partito.

Potrebbero aver allontanato anche elettori Repubblicani che si sono sentiti a disagio a causa dei continui riferimenti dei trumpiani ai mai provati brogli nelle presidenziali del 2020, all’approccio ultraconservatore sull’aborto o alle molteplici teorie complottiste che Trump ha abbracciato nel corso degli anni.

Alcuni analisti hanno inoltre ipotizzato che le tesi radicali sostenute dai molti candidati vicini a Trump abbiano permesso al presidente Joe Biden e ai Democratici di impostare una campagna elettorale in difesa non solo dei diritti, come per esempio il diritto all’aborto, ma anche della stessa democrazia, facendo passare in secondo piano alcune delle questioni economiche che più avrebbero potuto danneggiare il partito Democratico: la prima fra tutte, l’inflazione.

L’ex presidente in un comizio in Pennsylvania (AP Photo/Jacqueline Larma)

I candidati vicini a Trump che sono usciti sconfitti da queste elezioni sono diversi. In Pennsylvania il candidato governatore Doug Mastriano, politico di estrema destra che aveva partecipato alle prime fasi dell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, è stato sconfitto con largo margine. Sempre in Pennsylvania, Trump ha appoggiato come candidato per il Senato il medico e personaggio televisivo Mehmet Oz, che è stato battuto da John Fetterman in un voto che ha permesso ai Democratici di ottenere un seggio che era Repubblicano.

Trump ha voluto l’ex campione di football Herschel Walker come candidato al Senato in Georgia. Walker andrà al ballottaggio, mentre nello stesso stato i Repubblicani hanno vinto tutte le altre elezioni con un discreto margine.

Kari Lake è al momento in svantaggio per l’elezione a governatrice dell’Arizona, mentre Don Bolduc ha perso in New Hampshire, stato in cui il Repubblicano Chris Sununu è stato rieletto governatore con 15 punti di vantaggio.

Anche dove i candidati di Trump hanno vinto, lo hanno fatto con più fatica del previsto. Lo scrittore J.D. Vance è stato eletto in Senato per l’Ohio, ma il governatore Mike DeWine, sempre Repubblicano ma non appoggiato apertamente da Trump, ha preso quasi il 10 per cento di voti in più nello stesso stato. Per quel che riguarda la Camera, il New York Times ha scritto che nelle 36 elezioni considerate più in bilico Trump ha appoggiato in modo esplicito solo 5 candidati: hanno perso tutti.

Tutte queste considerazioni non bastano per mettere in crisi la leadership attuale di Donald Trump all’interno del partito Repubblicano, che rimane molto forte. La gran parte dei sondaggi mostra ancora come sia il più popolare fra i possibili candidati, e già in passato aveva mostrato di poter vincere le competizioni interne al partito e raccogliere più finanziamenti di chiunque altro.

I risultati delle elezioni di metà mandato, però, potrebbero creare nuovi spazi a chi nel partito Repubblicano si oppone alla leadership di Trump e considera necessaria una svolta. Anche su Fox News, canale che in questi anni è stato sempre su posizioni trumpiane, si è parlato dell’ex presidente come di un «possibile problema».

In questi ultimi due anni, nonostante i guai legali successivi all’assalto al Congresso, all’interno del partito non è emerso nessun altro leader abbastanza forte da potersi opporre a Trump.

Negli ultimi due giorni si è parlato molto di Ron DeSantis, rieletto con grande margine governatore della Florida e possibile sfidante di Trump alle primarie Repubblicane per le presidenziali del 2024: DeSantis, anche lui molto conservatore, è stato riconfermato governatore con le più alte percentuali per un Repubblicano negli ultimi 24 anni ed è stato molto celebrato dalla stampa di destra, anche quella di proprietà di Rupert Murdoch, la cui influenza sul partito e sull’area che si rivede in valori conservatori è nota. È ancora troppo presto però per dire se riuscirà effettivamente a proporsi come un’alternativa a Trump.