• Italia
  • Mercoledì 28 dicembre 2022

Anche i comuni che hanno molti pannelli solari devono pagare la tassa sugli extraprofitti dell’energia

1.200 enti locali hanno ricevuto richieste di pagamento, anche da centinaia di migliaia di euro: alcuni rischiano il dissesto

(Chutternsap/Unsplash)
(Chutternsap/Unsplash)

Negli ultimi dieci anni il comune di Montechiarugolo, in provincia di Parma, ha installato 14 impianti fotovoltaici per ridurre la spesa per i consumi energetici e sfruttare i proventi della vendita dell’energia per finanziare i servizi pubblici. Offre ai suoi 11mila abitanti servizi pubblici che la maggior parte degli altri enti locali non riesce a permettersi e per questo è considerato un comune modello: l’asilo nido costa pochissimo, sono state aperte due biblioteche con ludoteca e sono state introdotte diverse agevolazioni economiche per gli studenti. La sua lungimiranza, tuttavia, lo sta penalizzando in modo significativo per via della tassa sugli extraprofitti dell’energia introdotta negli ultimi mesi dal governo.

Quando in autunno gli uffici finanziari dei comuni come Montechiarugolo hanno iniziato a ricevere richieste di pagamento di decine o centinaia di migliaia di euro, i sindaci si sono resi conto che la tassa sugli extraprofitti non riguardava soltanto le grandi società energetiche, ma anche le amministrazioni locali: nel giro di poche settimane questi comuni sono passati da una gestione dei conti invidiabile al rischio di un dissesto finanziario.

La tassa sugli extraprofitti era stata introdotta dal governo guidato da Mario Draghi per aumentare il gettito fiscale prelevando una parte dei nuovi e lauti guadagni delle società che producono o vendono energia, gas o elettricità: grazie all’aumento dei costi energetici, infatti, negli ultimi mesi queste società hanno guadagnato molto più del previsto. Il governo aveva quindi messo una tassa con l’obiettivo di recuperare soldi e finanziare misure di sostegno economico per le famiglie in difficoltà.

Semplificando molto, il contributo straordinario è calcolato sull’aumento dei guadagni tra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022: si confrontano i dati con quelli dello stesso periodo dell’anno precedente e si ottiene così una differenza, che rappresenterebbe la quota di extraprofitti. Se questo aumento è superiore al 10 per cento del totale, o comunque maggiore di 5 milioni di euro, le aziende devono allo stato un tributo del 25 per cento sulla somma. La quota così calcolata va pagata in due parti. L’acconto, pari al 40 per cento, andava saldato entro fine giugno, e il restante 60 per cento a fine novembre.

Secondo i calcoli del ministero dell’Economia la misura avrebbe coinvolto circa 11 mila aziende per un gettito totale di 10,5 miliardi di euro: le stime, tuttavia, non hanno rispettato le attese perché secondo gli ultimi aggiornamenti sono stati riscossi soltanto 2,6 miliardi di euro.

Il contributo aveva suscitato subito critiche da parte delle aziende, soprattutto per il metodo di calcolo scelto. Per valutare gli extraprofitti era stato scelto il cosiddetto “differenziale IVA”, ossia la variazione della cifra imponibile su cui si paga l’IVA da un anno all’altro. Secondo molti esperti di diritto tributario questo non è un indicatore adeguato. Esistono infatti molte variabili che possono influenzare il dato, al di là degli extraprofitti: può essere modificato dall’ampliamento del portafoglio clienti, dall’acquisto di un ramo d’azienda o dal semplice aumento della quota di mercato.

Inoltre è stato sottolineato che il periodo preso come riferimento per calcolare l’aumento, l’inverno 2020-21, comprende gli ultimi mesi di lockdown, in cui consumi e prezzi erano più bassi del normale. Secondo le aziende, un aumento nella stagione del 2021-22 ci sarebbe stato indipendentemente dall’aumento dei prezzi dell’energia.

– Leggi anche: Il ritorno dei combustibili fossili

Ma le critiche più rilevanti sono arrivate dai sindaci dei comuni che negli ultimi anni avevano installato pannelli fotovoltaici e per questo sono stati equiparati alle società energetiche. A differenza di un’azienda, i comuni reinvestono i proventi di questa attività nella limitazione delle spese, nel miglioramento energetico del patrimonio comunale per abbassare i consumi e nel finanziamento dei servizi pubblici. Essendo pubbliche amministrazioni, infatti, non possono fare utili e molti nel frattempo hanno già speso il ricavato degli extraprofitti. Secondo le stime dell’ANCI, l’associazione dei comuni italiani, sono circa 1.200 le amministrazioni che hanno ricevuto richieste di pagamento dal GSE.

Gli impianti fotovoltaici di Montechiarugolo hanno una potenza complessiva di circa 2,5 megawatt e garantiscono entrate per 1,2 milioni di euro, una quota non trascurabile del bilancio comunale. L’impianto più grande è stato realizzato in una ex cava abusiva, in una lieve depressione di circa 5 metri per renderlo invisibile all’esterno: questa soluzione ha consentito di sfruttare al meglio un terreno che altrimenti sarebbe rimasto abbandonato. I pannelli fotovoltaici sono stati posizionati anche sui tetti di quasi tutti gli edifici di proprietà comunale, una scelta fatta da migliaia di altri comuni italiani e incentivata a più riprese dai governi che si sono succeduti negli ultimi 20 anni.

– Leggi anche: Le soprintendenze continuano a ostacolare la transizione energetica

Montechiarugolo ha ricevuto due fatture dal GSE: la prima da 268mila euro e la seconda da 53mila. «Pagare una cifra simile alla fine dell’anno, per un comune come il nostro, significa andare in dissesto economico», spiega il sindaco Daniele Friggeri. «Noi per ora abbiamo accantonato quanto richiesto, perché non possiamo fare altrimenti, ma non abbiamo ancora pagato nella speranza che venga cancellata questa norma».

Il paradosso del meccanismo di questa tassa è che più un piccolo comune è stato lungimirante, cioè ha installato impianti fotovoltaici per una potenza superiore al suo fabbisogno, e più ora viene penalizzato. In Veneto, una delle regioni dove negli ultimi anni sono stati installati più impianti fotovoltaici, i comuni sembrano essere particolarmente sollecitati: ai comuni di Affi e di Castelnuovo, entrambi in provincia di Verona, sono stati chiesti rispettivamente 193 mila e 300 mila euro, mentre al comune di Padova 600mila euro e a Fontanelle, 5.700 abitanti in provincia di Treviso, 170mila euro. Il presidente dell’ANCI Veneto, il sindaco di Treviso Mario Conte, ha scritto al governo e ai parlamentari per chiedere di escludere gli enti locali dalla riscossione degli extraprofitti legati all’energia. «La lungimiranza andrebbe premiata, non tassata», ha detto Conte al Corriere Veneto.

– Leggi anche: Cosa vuol dire slegare il prezzo del gas da quello dell’energia elettrica

Anche l’ANCI nazionale ha scritto al governo per contestare l’applicazione di questa norma nei confronti degli enti locali, in quanto i comuni «non sono in alcun modo assimilabili alla nozione di “extraprofitto”: non si tratta di ricavi o profitti di natura privatistica ma di proventi destinati alla collettività e all’erogazione dei servizi ai cittadini e non all’utile o profitto privato». L’ANCI ha chiesto al governo di sospendere questa misura, ma finora non ha avuto risposta.

Diversi parlamentari di maggioranza e opposizione hanno presentato emendamenti per escludere i comuni dalla tassa sugli extraprofitti che potrebbero essere ripresi nella discussione del cosiddetto decreto chiamato Milleproroghe, un provvedimento che viene approvato quasi ogni anno, e il cui scopo principale è prorogare scadenze di legge vicine al termine (da cui il nome della norma), ma che di solito finisce con il contenere un po’ di tutto.

Il sindaco di Montechiarugolo dice che non può permettersi di limitare i servizi pubblici, da una parte perché sono apprezzati dagli abitanti, ma anche perché sarebbe una sconfitta per chi ha investito soldi pubblici in modo oculato. «La cosa ridicola è che la tassa sugli extraprofitti finanzia in parte anche i maggiori costi energetici sostenuti negli ultimi mesi da tutti i comuni italiani», dice Friggeri. «Abbiamo ricevuto qualche briciola anche noi che produciamo il 700 per cento dell’energia che consumiamo, quindi non ne avremmo bisogno. Di contro, vengono aiutati i comuni che non hanno fatto nulla negli ultimi anni. Se davvero venisse confermata questa norma sarebbe un messaggio devastante per molti amministratori che si impegnano per far funzionare bene gli enti locali».

– Leggi anche: Quindi ci basterà il gas per l’inverno?