Che gli è preso al governo cinese?
Ha abbandonato all'improvviso la politica zero COVID che aveva difeso per oltre due anni, provocando un probabile disastro sanitario
Nel giro di circa un mese, la Cina è passata dalla rigidissima politica “zero COVID”, che prevedeva misure estreme per contenere i contagi, all’eliminazione ormai completa di praticamente tutte le restrizioni. Da alcune settimane, il governo sta lasciando correre i contagi in maniera incontrollata, e il risultato è stato una nuova ondata pandemica per la quale il paese era decisamente impreparato e che potrebbe provocare moltissimi morti ed enormi rischi.
Questo cambiamento eccezionale e improvviso di strategia ha stupito un po’ tutti: sia all’interno del paese, dove le strutture sanitarie e la popolazione si sono trovate impreparate ad affrontare l’eliminazione completa delle misure di prevenzione, sia nel resto del mondo, dove la maggior parte degli analisti si aspettava che l’uscita dalla politica zero COVID sarebbe stata graduale e più ponderata. Su perché invece sia avvenuto tutto in un mese ci sono alcune ipotesi, che hanno tendenzialmente a che vedere con la paura del regime di insurrezioni e proteste e con il rischio che l’economia fosse eccessivamente danneggiata dalle restrizioni.
Il cambiamento di strategia è stato improvviso ed eccezionale. Ancora il 10 di novembre, parlando al Politburo del Partito comunista (uno dei principali organi di governo del Partito), il presidente Xi Jinping diceva che la Cina avrebbe aderito «con decisione» alla politica zero COVID. Un mese dopo l’aveva smantellata del tutto. Fino a poco tempo fa il governo sosteneva che fosse scorretto paragonare la variante omicron all’influenza, ma a metà dicembre ha cambiato diametralmente idea, e proposto di rinominare la pandemia in «raffreddore da coronavirus».
Le conseguenze di questo cambiamento repentino sono state gravissime, perché tutto il sistema era impreparato.
«Non abbiamo ricevuto nessun avvertimento. Ho scoperto della fine delle restrizioni dai giornali», ha detto al New York Times Judy Pu, una medica di un ospedale di Tianjin, una città da 15 milioni di abitanti non lontana dalla capitale Pechino. Senza la dovuta preparazione, gli ospedali si sono trovati a corto di medicinali e non sono stati in grado di gestire adeguatamente l’enorme afflusso di pazienti malati. Sempre secondo la dottoressa Pu, l’80-90 per cento del personale dell’ospedale si è infettato, e questo sta contribuendo al collasso del sistema sanitario.
Non è chiaro quante persone si siano infettate o quante siano morte da quando il governo ha eliminato all’improvviso le restrizioni, anche perché le autorità hanno rinunciato a pubblicare dati, non riuscendo a fornirne di affidabili.
La Commissione sanitaria nazionale ha stimato che nei primi 20 giorni di dicembre si siano infettate 248 milioni di persone, circa il 18 per cento della popolazione. Per quanto riguarda invece i morti, non esistono dati certi; tra gli altri, l’Economist ha stimato che se il tasso di nuove vaccinazioni continuerà al (lento) ritmo attuale, potrebbero morire nei prossimi mesi un milione e mezzo di persone. Saranno molte meno se il governo riuscirà in tempi brevi a somministrare almeno tre dosi al 90 per cento della popolazione, ma si parla comunque di centinaia di migliaia di morti.
Che la politica zero COVID mantenuta per oltre due anni dal regime cinese fosse insostenibile dal punto di vista economico e sociale era ben noto a tutti gli analisti ormai da mesi: mentre il resto del mondo, grazie alle vaccinazioni di massa e all’immunizzazione, era riuscito a superare le fasi peggiori della pandemia, la Cina si trovava bloccata in una specie di 2020 perenne, anche a causa del tasso piuttosto basso di vaccinazione della popolazione anziana e vulnerabile. L’economia stava risentendo gravemente dei continui lockdown, e la popolazione si stava mostrando sempre più insofferente davanti alle dure restrizioni.
Le proteste di fine novembre contro le restrizioni erano state un chiaro segnale del fatto che la situazione per la popolazione fosse ormai insostenibile, e che la politica zero COVID rischiava di mettere in pericolo la tenuta sociale del paese.
Specialmente dopo le proteste era chiaro a tutti gli analisti che la Cina avrebbe abbandonato la politica precedente, ma l’aspettativa era che l’avrebbe fatto in maniera molto graduale, dandosi tempo per aumentare il tasso di vaccinazione tra la popolazione e per mettere in atto contromisure per evitare grosse ondate pandemiche. Una delle ipotesi più diffuse era che il regime avrebbe cominciato ad allentare le restrizioni dapprima in una provincia, per sperimentare cosa potesse funzionare e cosa no, e che poi la nuova politica di allentamento graduale sarebbe stata via via estesa al resto del paese.
Gli esperti avevano perfino stimato che le restrizioni sarebbero state allentate non prima del mese di marzo 2023, quando si sarebbe tenuta la sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese.
C’erano anche ragioni politiche e ideologiche per cui, si riteneva, la Cina avrebbe fatto fatica a liberarsi della politica zero COVID, che Xi Jinping fino a poche settimane fa lodava come la prova della superiorità del modello di governo autoritario cinese sulle democrazie occidentali: la Cina, secondo Xi Jinping, era riuscita a proteggere il suo popolo dalla pandemia mentre i governi occidentali avevano lasciato morire centinaia di migliaia di persone.
Ma tutte queste dichiarazioni e previsioni sono state smentite nel giro di poche settimane e ora la Cina rischia un disastro sanitario. Non è chiaro perché Xi abbia deciso di cambiare improvvisamente strategia, ma ci sono alcune ipotesi.
Le proteste hanno sicuramente avuto un peso, perché mostravano la profonda insofferenza della popolazione nei confronti della politica precedente. Soprattutto, l’insofferenza aveva profonde basi economiche, e questo potrebbe aver spaventato molto il regime. Anche a causa della politica zero COVID – ma non solo – negli ultimi anni in Cina è aumentata la disoccupazione, soprattutto giovanile, e il settore terziario, che è fondamentale per la crescita dell’economia, è stato particolarmente colpito. Milioni di persone si sono trovate nel giro di poco tempo con prospettive economiche gravemente peggiorate, e questo ha creato un improvviso e grosso malcontento.
Come ha scritto il New York Times, è possibile che a spaventare la dirigenza cinese siano state in particolare le proteste dei lavoratori, come quelli delle fabbriche di iPhone a Zhengzhou, che se fossero proseguite avrebbero potuto creare un’instabilità generalizzata.
Il rischio, di fatto, era che la politica zero COVID avrebbe potuto mettere in pericolo il rigido controllo che il Partito comunista ha sull’intera società cinese. È probabile che già da tempo all’interno della dirigenza cinese fossero in corso discussioni sull’allentamento della politica zero COVID, e che le proteste unite all’aumento delle preoccupazioni economiche abbiano spinto il Partito comunista ad accelerare i tempi.
Un’altra possibilità, che non esclude la prima, è che in realtà la pandemia fosse già andata fuori controllo ben prima dell’abbandono della politica zero COVID delle ultime settimane.
Tra ottobre e novembre i contagi erano aumentati costantemente, dalle poche decine di casi quotidiani della prima metà dell’anno a diverse migliaia. A fine novembre c’erano grossi focolai in ormai 200 città della Cina, in molte delle quali il sistema di test di massa fondamentale per la politica zero COVID si era interrotto perché gli operatori sanitari non erano in grado di stare dietro ai nuovi contagi. Il 27 novembre i casi registrati erano stati oltre 40 mila: con questi numeri si sarebbe dovuto mettere in lockdown la gran parte del paese. È possibile, in questo senso, che il regime sia stato costretto dalla progressione dei contagi a cambiare piani e politica.
Sarà difficile, e forse impossibile, capire davvero perché il regime cinese abbia deciso di eliminare all’improvviso la politica zero COVID, esponendo il paese (e forse il mondo) a enormi rischi. Il governo ha censurato ogni discussione pubblica sull’argomento, e a metà dicembre il Quotidiano del popolo, il principale giornale del Partito comunista, ha pubblicato un lungo articolo per ricordare come la strategia di Xi Jinping contro il virus rimanga comunque «perfettamente corretta».