• Mondo
  • Mercoledì 23 novembre 2022

Le proteste nella principale azienda produttrice di iPhone in Cina

Hanno coinvolto centinaia di lavoratori e sono legate alle rigide restrizioni contro il coronavirus in vigore da circa un mese

(Twitter, Jennifer Zeng)
(Twitter, Jennifer Zeng)

Nella notte tra martedì e mercoledì centinaia di dipendenti di un enorme stabilimento industriale di proprietà di Foxconn, l’azienda che assembla gli iPhone e moltissimi altri prodotti tecnologici, hanno protestato violentemente contro le condizioni di lavoro e per il timore di essere contagiati da altri lavoratori positivi al coronavirus. La sede di Foxconn coinvolta dalle proteste si trova a Zhengzhou, nella Cina centrale, e da ottobre l’intero stabilimento (che è enorme e ospita centinaia di migliaia di lavoratori, che vivono in dormitori costruiti apposta) è in lockdown a causa dei contagi che si sono diffusi nell’azienda.

Le rigidissime misure prese da Foxconn per non interrompere la produzione nonostante i contagi, che hanno previsto tra le altre cose l’assunzione di 100 mila nuovi lavoratori da affiancare ai lavoratori positivi, hanno creato grosse tensioni, che sono poi sfociate nelle proteste violente di martedì. Le proteste mostrano inoltre le enormi contraddizioni della strategia “zero COVID” imposta dal governo cinese, che prevede l’applicazione di pesanti restrizioni per tenere al minimo i contagi e che continua a creare gravi problemi in tutto il paese e a generare sporadiche proteste.

Lo stabilimento di Zhengzhou è il principale luogo di produzione degli iPhone di Apple, oltre che di numerosi apparecchi di altri noti marchi tecnologici. Alcuni video che stanno circolando sui social network in queste ore mostrano centinaia di lavoratori uscire in massa dai dormitori e poi scontrarsi con le forze di sicurezza dell’azienda, vestite con tute protettive, o abbattere le barriere installate per delimitare le aree per l’isolamento; un altro ancora mostra vari agenti picchiare una persona con un bastone.

Secondo un testimone che ha parlato con Bloomberg in forma anonima per timore di ripercussioni, le proteste sono dovute sia al mancato pagamento di alcuni compensi, sia alle rigide restrizioni introdotte dall’azienda. Lo scorso mese, dopo che lo stabilimento di Foxconn aveva annunciato l’inizio del lockdown, migliaia di lavoratori erano scappati dalla fabbrica per timore di rimanere settimane o addirittura mesi bloccati al suo interno, come era già successo in altre occasioni. Da allora l’azienda era rimasta operativa con un sistema “a bolla”, in cui i dipendenti dovevano vivere e lavorare senza avere contatti con l’esterno.

Dopo la fuga dei dipendenti, la dirigenza di Foxconn aveva annunciato che avrebbe assunto 100 mila nuovi lavoratori per sostituire quelli scappati, a cui avrebbe offerto salari più alti e condizioni di lavoro migliori e più sicure. Sembra che non sia successo.

Secondo la giornalista cinese Jennifer Zeng le proteste sono cominciate perché i nuovi dipendenti erano stati messi a lavorare insieme ai lavoratori che si trovavano già nell’azienda, con il rischio di essere più esposti al coronavirus. Inoltre ci sarebbero problemi di stipendi non pagati e contratti non rispettati. Sempre secondo la persona sentita da Bloomberg, vari dipendenti sono stati feriti. Per ripristinare l’ordine è intervenuta la polizia in tenuta antisommossa.

Al momento Foxconn non ha commentato le vicende di mercoledì notte e non si sa fino a quando dureranno le restrizioni.

Oltre a creare grossi disagi alla produzione industriale e al commercio internazionale, la strategia “zero COVID” adottata dalle autorità cinesi ha cominciato a provocare proteste che nelle prime fasi della pandemia erano state inedite. A maggio per esempio centinaia di lavoratori si erano scontrati con le forze di sicurezza fuori dallo stabilimento Quanta Computer a Shanghai, dopo mesi di misure straordinarie, mentre la settimana scorsa ci sono stati scontri violenti anche a Guangzhou (conosciuta anche come Canton), importante porto a nord-ovest di Hong Kong. In questi giorni peraltro a Pechino milioni di persone sono tornate in lockdown dopo le prime morti per cause legate al COVID registrate in Cina in oltre 6 mesi.