• di Dario Bressanini
  • Storie/Idee
  • Domenica 18 dicembre 2022

L’ammoniaca nei biscotti, da secoli

«L’ammoniaca è un gas, dal caratteristico odore pungente. Il prodotto liquido che compriamo al supermercato da usare per fare le pulizie di casa è semplicemente ammoniaca disciolta in acqua. In pasticceria invece si usa in forma gassosa, come agente lievitante, liberata da una polvere bianca che si aggiunge agli impasti. Se una ricetta di prodotti da forno richiede l’ammoniaca, che non vi venga in mente di usare quella per le pulizie»

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)
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“C’è l’ammoniaca tossica nei biscotti. Nessuno pensa ai bambini? Chissà quanti ne hanno mangiati in questi anni!”.
Sicuramente tantissimi, grandi e piccini, da molto tempo. Lo possiamo affermare con assoluta certezza. Chi non ha mai assaggiato i classici biscotti da inzuppo, diffusi in tutta Italia? Per non parlare di alcuni prodotti tradizionali tipici in alcune province come i pasticciotti leccesi o le reginelle palermitane. Non è certo un segreto, ma può essere una sorpresa per chi non si diletta di pasticceria casalinga. La cosiddetta ammoniaca per dolci è un ingrediente fondamentale per la corretta riuscita della struttura friabile, aerata e leggera di questi biscotti, e il suo uso in cucina precede addirittura l’invenzione del cosiddetto lievito chimico, a base di bicarbonato di sodio.

L’ammoniaca è un gas, dal caratteristico odore pungente. Il prodotto liquido che compriamo al supermercato da usare per fare le pulizie di casa è semplicemente ammoniaca disciolta in acqua. In pasticceria invece si usa in forma gassosa, come agente lievitante, liberata da una polvere bianca che si aggiunge agli impasti. Se una ricetta di prodotti da forno richiede l’ammoniaca, che non vi venga in mente di usare quella per le pulizie: dovete procurarvi una bustina di carbonato o di bicarbonato d’ammonio, additivi alimentari autorizzati e regolamentati dall’Unione Europea con codice E503, chiamati appunto ammoniaca per dolci.

Disciolta in acqua a temperatura ambiente è stabile. Innalzando la temperatura si innesca una reazione di decomposizione che inizia a circa 40 °C ed è completa a 60 °C. Il bicarbonato d’ammonio, decomponendosi nel forno, produce non solo anidride carbonica e acqua, come farebbe il più comune bicarbonato di sodio, ma anche ammoniaca gassosa che contribuisce alla lievitazione e alla formazione della struttura friabile. Pensate che 10 g di bicarbonato di ammonio possono produrre – a quelle temperature e a pressione ambiente – ben 5,6 litri di gas totali. In più, a differenza del bicarbonato di sodio, l’ammoniaca per dolci non lascia alcun residuo nel prodotto finale.
Tuttavia, poiché uno dei prodotti di decomposizione è l’ammoniaca, un gas estremamente solubile in acqua, se il prodotto finale contiene più del 3-4% di acqua una parte dell’ammoniaca non riuscirà a sfuggire e si scioglierà nell’acqua presente, rimanendo nel prodotto finale e dando un retrogusto indesiderato. Questo è il motivo principale per cui il bicarbonato di ammonio si usa solo per prodotti secchi, piccoli, e a struttura porosa come i cracker e alcuni biscotti.
Il bicarbonato di ammonio, decomponendosi completamente, non influenza il pH finale del prodotto, ma l’alcalinità dell’ammoniaca ancora disciolta in acqua porta, nella fase iniziale, a un aumento temporaneo del pH che favorisce la reazione di Maillard e rende quindi i prodotti più bruni. Durante la cottura l’ammoniaca fuoriuscendo può diffondere il suo odore nella vostra cucina per cui ricordatevi di arieggiare bene per non respirarla, se vi volete dilettare con qualche ricetta.

Un altro utilizzo dell’ammoniaca per dolci è legato al suo pH: è una sostanza alcalina, come il bicarbonato di sodio, e può reagire con le sostanze acide neutralizzandole parzialmente innalzando il pH. Se al supermercato date un’occhiata tra le preparazioni per fare la cioccolata o tra le confezioni di cacao in polvere troverete spesso tra gli ingredienti il carbonato di potassio oppure il carbonato di ammonio.

Cristoforo Colombo nel 1502, nel suo quarto e ultimo viaggio nelle Americhe, vicino al moderno Honduras catturò una canoa Maya piena di merci, tra le quali delle fave di cacao. Colombo ne ignorava l’uso e le riportò in Europa come curiosità. Fu solo dopo la conquista del Messico da parte degli Spagnoli che Cortez portò in Spagna la cioccolata, all’epoca bevanda amara, acida e astringente.
Per migliorare il sapore del cacao disperso in acqua si aggiungeva zucchero, sconosciuto a Aztechi e Maya che invece aggiungevano vaniglia, peperoncino e a volte miele. La cioccolata si diffuse nel ‘600 in alcune corti europee più come sfoggio di ricchezza che per il suo sapore, tanto che un Papa dichiarò che la cioccolata poteva essere bevuta anche durante i digiuni, tanto era terribile il suo sapore.

L’innovazione che la rese popolare in tutta Europa fu l’aggiunta di latte invece che di acqua. Fu Peter Sanders nel 1727 ad avere l’idea. Le sostanze emulsionanti naturalmente presenti nel latte aiutavano la dispersione del cacao nella bevanda. Il cacao però contiene il 55% circa di grasso, il burro di cacao. Con l’aggiunta di acqua o latte caldo il grasso si fondeva salendo in parte in superficie formando uno strato di grasso poco appetibile, mentre le particelle solide di cacao non si disperdevano completamente.
La soluzione a questo problema arrivò nel 1828 quando la famiglia van Houten, produttori olandesi di cacao, brevettò una pressa idraulica per estrarre circa la metà del burro di cacao, riuscendo a produrre una polvere di cacao molto meno grassa e più adatta per la preparazione della cioccolata. Quel cacao parzialmente sgrassato si chiama ancora oggi cacao magro. Coenraad van Houten, figlio del capofamiglia Casparus, era un chimico e introdusse una seconda innovazione: per migliorare la dispersione del cacao in un liquido, e per neutralizzarne l’acidità, inventò quello che ancora oggi si chiama “processo olandese”: il trattamento della polvere di cacao con una sostanza alcalina, come il carbonato di potassio o, appunto, il carbonato di ammonio.
Il cacao trattato, oltre ad avere un gusto diverso, assume anche una colorazione molto più scura. Anche in questo caso l’utilizzo del carbonato di ammonio non lascia residui nel prodotto finale, ma l’ammoniaca gassosa prodotta deve essere correttamente smaltita nel caso di impianti di grandi dimensioni. Il cacao grezzo utilizzato per la produzione di cioccolato invece non viene alcalinizzato, ma subisce altri trattamenti ed è anche per questo che cacao e cioccolato hanno aromi e sapori un po’ diversi.

Possiamo quindi stare tranquilli: il consumo di biscotti al cacao prodotti con l’ammoniaca per dolci non comporta alcun rischio per il consumatore.

Dario Bressanini
Dario Bressanini

Dario Bressanini fa il chimico e il divulgatore scientifico, con grandi popolarità su Instagram e YouTube. Il suo ultimo libro è La scienza delle pulizie (Gribaudo).

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