Alcune cose che sappiamo male della Chiesa cattolica

La cresima non è formalmente necessaria per sposarsi, per esempio, e i preti non li stipendia il Vaticano: e lo sbattezzo cos'è?

(Chad Greiter/Unsplash)
(Chad Greiter/Unsplash)

«La Chiesa è grande perché ognuno ci sta dentro a modo proprio» dice don Mariano in uno dei libri più famosi di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta. In effetti, nel corso dei secoli, la Chiesa cattolica ha quasi sempre cercato di tenere insieme interpretazioni e linee di pensiero diverse, purché non fossero troppo sovversive e contraddittorie fra loro. Farsi un’idea generale di un’organizzazione così grande ed eterogenea non è facile, e per questo, soprattutto tra chi la frequenta poco, si sono nel tempo generati luoghi comuni e false credenze. Qui ne abbiamo raccolte alcune, derivate da pregiudizi più o meno fondati o da vecchie abitudini della Chiesa che faticano a evolversi.

“I preti sono pagati dal Vaticano”
Nell’immaginario collettivo il Vaticano è percepito come un’entità distante, espressione di un potere occulto esercitato anche grazie a enormi disponibilità economiche. Il Vaticano però non coincide con tutta la Chiesa, rappresenta solo l’autorità centrale, che per quanto ricca possa essere non sovvenziona né tutte le chiese in Italia né tantomeno parroci e sacerdoti. Il loro stipendio – che parte da un minimo di circa mille euro lordi – viene finanziato in larga parte dall’otto per mille (ossia quella parte di IRPEF che i contribuenti volontariamente possono devolvere ad alcuni enti religiosi), oltre che dalle offerte dei fedeli. In giro per il mondo sono le diocesi, cioè le chiese locali, che si occupano di stipendiare il personale del clero.

“Le chiese sono piene di soldi”
Anche questa credenza potrebbe derivare dalla sovrapposizione tra la Santa Sede e la Chiesa nella sua interezza. Lo stato del Vaticano è di fatto una monarchia assoluta con piena potestà sul suo piccolissimo territorio, e un bilancio separato dalle chiese nazionali. Le chiese, intese come edifici e comunità di persone che vi crescono intorno, non appartengono al Vaticano, né alla Santa Sede, che è l’organo di governo della Chiesa (intesa in senso universale, di comunità di fedeli). Quindi le chiese e le parrocchie sparse per il territorio italiano fanno riferimento alla Santa Sede come massima autorità, ma sono entità autonome con personalità giuridica. E con una propria capacità di spesa, sempre più ridotta, che non dipende dall’autorità centrale.

Sacerdoti durante il ritiro spirituale alla Basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma, giugno 2016 (@Servizio Fotografico – L’Osservatore Romano via ANSA)

La maggiore fonte di sostentamento per le chiese sono le offerte dei fedeli, e – ormai sempre meno – i lasciti testamentari. In una fase storica di profonda crisi della partecipazione religiosa in Occidente, le parrocchie (ossia le comunità locali di fedeli) non sono più partecipate come un tempo, e di conseguenza anche le entrate economiche si sono ridotte. Non è facile farsi un’idea generale della situazione, molto dipende dai singoli casi, ma specie le chiese in periferia o quelle di città molto piccole fanno fatica persino a far fronte alle spese ordinarie di manutenzione.

Se la passano ancora peggio quelle chiese che non sono elevate al rango di parrocchia, cioè la circoscrizione della diocesi amministrata da un parroco (la diocesi viene invece amministrata dal vescovo). Una chiesa che non è parrocchiale viene definita rettoria: non essendo un riferimento pastorale per il territorio, spesso la frequentazione dei fedeli in queste chiese è ancora più scarsa. Se sono chiese particolarmente belle o prestigiose, come ce ne sono per esempio a Roma, una loro fonte di sostentamento sono le offerte legate a eventi come le comunioni e i matrimoni.

“Per sposarsi in chiesa serve la cresima”
La confermazione, meglio nota come cresima, è uno dei sette sacramenti riconosciuti dalla Chiesa cattolica, in cui si conferma la vocazione ricevuta col battesimo e si testimonia pubblicamente la propria appartenenza alla comunità cristiana. Generalmente si ritiene che per accedere al matrimonio religioso sia obbligatorio essere passati attraverso la confermazione della fede, ma il diritto canonico stabilisce qualcosa di leggermente diverso.

Il decreto generale del 1990 sul matrimonio canonico lascia spazio all’interpretazione dei singoli pastori e soprattutto non ritiene la confermazione un requisito necessario: citando il canone 1065 del codice di diritto canonico, ossia il principale codice di leggi della Chiesa cattolica, il decreto dice che «i pastori d’anime siano solleciti nell’esortare i nubendi [i futuri sposi, ndr] che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione a riceverlo prima del matrimonio se ciò è possibile senza grave incomodo».

Francesco Totti e Ilary Blasi il giorno del loro matrimonio alla Basilica di Santa Maria in Aracoeli, 19 giugno 2005 (CLAUDIO PERI/ANSA/DE)

Quest’ultima frase viene interpretata rigidamente da alcune diocesi, accettando come «incomodo» solamente un impedimento oggettivo di forza maggiore (mancanza di tempo o indisponibilità del vescovo ad amministrare il sacramento). In altre diocesi invece viene lasciata più libertà. In ogni caso, stando al canone, la confermazione non è strettamente necessaria e la sua assenza non pregiudica la validità del matrimonio. Lo conferma il fatto che se la futura coppia di sposi è già convivente – una cosa che è considerata irregolare dalla Chiesa – non può in teoria ricevere la cresima prima di sposarsi. La confermazione è comunque ritenuta una tappa fondamentale nel percorso spirituale di ogni persona cristiana, pertanto molti parroci la consigliano a prescindere.

Non è possibile per le persone risposate ricevere l’eucarestia”
Su questo punto la discussione interna alla Chiesa è ancora in corso e la prassi pastorale è in evoluzione. Di norma il matrimonio cattolico è considerato inscindibile: la Chiesa considera quindi in una condizione di “irregolarità” le persone che dopo un matrimonio celebrato in chiesa divorziano, si risposano o frequentano un partner stabile. Nel 2016, con l’esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia di papa Francesco, sembrò esserci un’apertura che attirò una certa attenzione anche da parte dei media, e che venne interpretata come un’autorizzazione a dare la comunione alle persone divorziate e risposate. Nel testo dell’esortazione, però, si legge:

È comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi.

In sostanza, come hanno poi ribadito successivamente alcuni teologi, la linea è di valutare caso per caso, a seconda delle situazioni.

Basta pagare per ottenere l’annullamento matrimoniale”
Quando le coppie che si sono sposate in chiesa si separano possono revocare solo gli effetti civili del matrimonio, non quelli religiosi. Al limite si può tentare una causa di nullità, cioè dimostrare che il matrimonio fosse nullo fin dall’inizio perché mancava qualche requisito fondamentale, come il consenso informato e la libera volontà di entrambi.

Visto che un tempo solo chi poteva permettersi di pagare le spese legali riusciva a portare a termine il processo canonico e ottenere la nullità, si diffuse l’idea che l’annullamento fosse una sorta di divorzio per ricchi, anche perché una legge dello Stato in materia è mancata fino al 1970.

Tuttavia oggi le spese che bisogna sostenere per un processo di nullità sono paragonabili a quelle di certe cause di divorzio civile: il costo del patrocinio di avvocati e procuratori competenti va da un minimo di 1.575 euro a un massimo di 2.992, a cui vanno aggiunti 525 euro di tasse al tribunale ecclesiastico. In ogni caso queste spese non assicurano che la causa vada a buon fine: molto dipende dall’interpretazione dei giudici canonici, e devono comunque esserci i presupposti di nullità.

La statua di San Pietro d’Alcantara nella Basilica di San Pietro, a Roma (Spencer Platt/Getty Images)

Il coinvolgimento della Sacra Rota (o Rota Romana, cioè il tribunale ecclesiastico della Santa Sede) è solamente facoltativo nel primo e secondo grado di giudizio. Tutte le cause di nullità vengono sottoposte al tribunale ecclesiastico di competenza del proprio territorio. L’intervento della Sacra Rota è previsto e obbligatorio solamente al terzo grado di giudizio, l’ultimo.

Il voto dei religiosi
È un equivoco comune associare i voti di castità, povertà e obbedienza a tutto il clero. Questi tre voti vengono professati solo dai religiosi, frati e suore, mentre i sacerdoti fanno altre promesse ritenute ugualmente importanti, per esempio quella di obbedire al proprio vescovo, di rimanere celibi e di pregare ogni giorno la Liturgia delle Ore, composta da salmi e da cantici tratti dalla Bibbia che si recitano in corrispondenza di determinate ore del giorno, di norma divisi in cinque momenti.

Cosa significa sbattezzarsi
L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR) offre da anni assistenza per ottenere lo “sbattezzo”, tuttavia questo termine potrebbe generare un equivoco su quali siano le conseguenze effettive del gesto. Sbattezzarsi, nelle intenzioni dell’UAAR, serve per mandare un messaggio alla Chiesa e per affermare la propria autonomia di scelta, qualora si sia ricevuto il battesimo da neonati. Inoltre, in molti lo chiedono per non figurare come cattolico, dato che nelle statistiche demografiche vengono conteggiate come tali tutte le persone che sono state battezzate. Tuttavia l’atto di sbattezzarsi non ha la conseguenza di “cancellare” il battesimo – che comunque rimane un atto che va confermato con la cresima – ma più semplicemente significa che si viene tolti dal registro delle persone battezzate. Il battesimo in sé, in quanto atto storico, non può essere cancellato. Scrive l’UAAR:

Sia il Garante della Privacy, sia il Tribunale di Padova hanno stabilito che il battesimo, essendo un evento “storico” effettivamente avvenuto, non può essere cancellato: possono essere cancellate solo le conseguenze giuridiche di quell’atto, ovvero l’appartenenza, vita natural durante, alla Chiesa cattolica.

– Ascolta: La bomba – un podcast del Post sulla crisi degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana