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  • Mercoledì 9 novembre 2022

Perché cinque stati americani hanno votato sull’abolizione della schiavitù

Nella costituzione c'è un'eccezione che permette di costringere le persone incarcerate a lavorare senza diritti

(Photo by Mario Tama/Getty Images)
(Photo by Mario Tama/Getty Images)
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Gli Stati Uniti hanno abolito ufficialmente la schiavitù nel 1865, con la ratifica del Tredicesimo emendamento della Costituzione. Eppure, alle elezioni di metà mandato dell’8 novembre gli elettori di cinque stati – Alabama, Louisiana, Oregon, Tennessee e Vermont – hanno votato per vietarla a livello statale. E la proposta non ha vinto ovunque.

Se si parla ancora di schiavitù nell’America del 2022 è perché, secondo il Tredicesimo emendamento, «né la schiavitù né la servitù involontaria esisteranno negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione per un crimine per il quale la parte sia stata debitamente condannata». Basandosi sull’eccezione contenuta sulla seconda parte dell’emendamento, quindi, nella maggior parte degli Stati Uniti, la schiavitù è ancora legale come punizione per un crimine. Clausole d’eccezione come quella presente nella costituzione federale esistono anche nelle costituzioni di circa venti stati.

Secondo uno studio dell’American civil liberties union (ACLU), organizzazione non governativa che da decenni lavora per la piena fruizione dei diritti civili per tutte le persone che vivono negli Stati Uniti, nel paese circa 800 mila persone, cioè 2 carcerati su 3, lavorano in condizioni di schiavitù, gratis o in cambio di pochi centesimi l’ora, senza alcun tipo di diritto o accesso a tutele sindacali. Ai prigionieri che si rifiutano di lavorare possono essere negate le telefonate o le visite delle persone care, e in alcuni casi possono essere date punizioni come l’isolamento.

In altri paesi, come per esempio l’Italia, il lavoro in carcere ha invece valore riabilitativo, non punitivo, ed è pagato ai carcerati con piccole somme di denaro, stabilite secondo vari criteri.

Gli esperti di diritti civili sottolineano che il sistema attuale è una perpetuazione del sistema di sfruttamento degli afroamericani dopo secoli di aperta schiavitù. «Nel Diciannovesimo secolo la scappatoia della “clausola di eccezione” portò a leggi repressive negli Stati Uniti meridionali», scrive Marsha Mercer. «Come i Black Codes, che consentivano alle autorità di incarcerare i neri per reati minori, come il vagabondaggio, e quindi costringerli a lavorare».

Oggi, una piccola percentuale dei carcerati – il 2,2 per cento – lavora nel settore agricolo, ma la maggior parte delle persone incarcerate che vivono in una condizione assimilabile alla schiavitù lavora all’interno delle prigioni stesse o in subappalto per aziende private o agenzie governative, generando 2 miliardi di dollari l’anno in beni e prodotti e 9 miliardi in servizi di manutenzione delle carceri. Grandi società come American Express, Apple e FedEx fanno uso frequente del lavoro estremamente sottopagato dei carcerati.

Intervistata dalla BBC, l’esperta Savannah Eldrige, che lavora per la Rete nazionale per l’abolizione della schiavitù, ha detto che «anche se la schiavitù è stata abolita, in realtà è stato solo un trasferimento di proprietà dai privati allo stato». 

I referendum
Negli ultimi anni, il tema ha cominciato timidamente a essere discusso a livello statale, e diversi stati hanno deciso di emendare le proprie costituzioni per rimuovere l’eccezione che permette la continuazione di questa situazione. In parte, si tratterebbe di un cambiamento simbolico, che non migliorerebbe immediatamente le condizioni di vita dei carcerati, ma gli attivisti sostengono che si tratti di un punto di partenza importante per migliorare la situazione, anche attraverso possibili denunce contro gli stati che continuano a sfruttare la propria popolazione carceraria.

Il primo stato a votare per cambiare la formulazione è stato il Colorado, nel 2018. Nel 2020, poi, l’hanno fatto anche Nebraska e Utah. Al momento, una legge per rivedere il testo del Tredicesimo emendamento a livello federale è stata proposta al Congresso: se dovesse essere approvata, dovrebbe essere ratificata da tre quarti degli stati prima di entrare in vigore. 

Alle elezioni di metà mandato si è votato sul tema in Alabama, Louisiana, Oregon, Tennessee e Vermont: l’eliminazione dell’eccezione per i carcerati è stata approvata in tutti questi stati a parte la Louisiana, dove l’opposizione alla misura rimane fortissima nella classe politica a maggioranza Repubblicana.

«Molte persone pensavano che fosse impossibile anche solo tenere un referendum sul tema in Louisiana, ma né qui né nel resto d’America dovrebbe esistere un giro d’affari basato sulla schiavitù legalizzata», ha detto Curtis Ray Davis II, che è diventato uno dei principali organizzatori degli sforzi politici per la revisione del Tredicesimo emendamento dopo aver lavorato per pochi spiccioli per 25 anni in prigione, dove era finito per un omicidio che non aveva commesso. 

Alcuni critici del movimento per l’abolizione della schiavitù penitenziaria dicono che pagare i prigionieri un salario adeguato per il loro lavoro sarebbe troppo costoso per il governo: in California, il governatore Democratico Gavin Newsom quest’estate ha fatto notare che pagare tutti i prigionieri dello stato un salario minimo di 15 euro l’ora sarebbe costato al governo più di 1,5 miliardi di dollari l’anno. 

Altri dicono che una riforma del sistema complicherebbe la riabilitazione dei carcerati, e impedirebbe loro di svolgere varie mansioni come il lavoro nelle biblioteche carcerarie, la pulizia delle celle e il bucato: tutte attività che aiutano le persone incarcerate ad acquisire competenze e incentivano un buon comportamento.

Altri ritengono, semplicemente, che le persone che hanno commesso un crimine non meritino di essere pagate per il proprio lavoro. «Ma solo perché qualcuno è incarcerato ed è ritenuto responsabile di un crimine non significa che dovrebbe essere trattato come uno schiavo», dice Sandy Chung dell’ACLU.

Per i sostenitori dell’abolizione della schiavitù, la rimozione dell’eccezione per i carcerati nelle costituzioni è soltanto il primo passo: serve anche che i tribunali comincino a definire più specificatamente i diritti dei lavori carcerari, a partire dal congedo per malattia, di cui oggi la maggior parte di loro non gode.