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  • Domenica 6 novembre 2022

La Nuova Zelanda tiene molto ai suoi cieli notturni

E per questo vuole tutelarli, puntando a diventare il secondo paese al mondo a ottenere la certificazione di “dark sky nation”

(Carol Comer/IDA)
(Carol Comer/IDA)
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Lo scorso 24 giugno gli abitanti della Nuova Zelanda hanno festeggiato ufficialmente per la prima volta il Matariki, una festa nazionale in cui si celebra la costellazione delle Pleiadi, che è ben visibile a metà inverno e segna l’inizio dell’anno nuovo nel calendario maori, quello della popolazione autoctona. L’introduzione della festa era stata una delle promesse fatte dalla prima ministra Jacinda Ardern nella campagna elettorale per le elezioni del 2020, durante la quale si era impegnata tra le altre cose a eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone di origine maori, che sono oltre il 16 per cento della popolazione.

Per la storia e la cultura dei maori le stelle e il cielo notturno hanno un’importanza particolare: è anche per questo che la Nuova Zelanda sta provando a essere riconosciuta come “dark sky nation”, letteralmente “paese dal cielo buio”, una denominazione con cui già oggi sono definite le aree naturali e più in generale i posti in cui le comunità si impegnano attivamente per tutelare i cieli notturni e limitare l’inquinamento luminoso.

Rangi Mātāmua, astronomo e professore di cultura maori all’Università neozelandese di Massey, ha spiegato al National Geographic che la lingua, le pratiche culturali e la mitologia dei maori arrivano in qualche modo dalle osservazioni del cielo notturno. Non solo i maori usano da sempre il calendario lunare per conoscere i periodi migliori in cui seminare, pescare o cacciare, ma anticamente osservavano le stelle per orientarsi mentre navigavano, come del resto fecero anche i popoli di navigatori nel Mediterraneo.

Il ciclo di giorno e notte, e quindi il cielo notturno, sono importanti anche per la vita degli animali selvatici e quindi «per l’equilibrio degli ecosistemi» della Nuova Zelanda, ha sintetizzato Olive Karena-Lockyer, educatrice all’osservatorio Stardome di Auckland. I pinguini minori blu per esempio raggiungono le spiagge per preparare i nidi di notte, mentre quando il cielo è buio usano le stelle per orientarsi anche molte specie di uccelli migratori. Vari studi hanno inoltre evidenziato che la luce artificiale compromette l’attività di alcune specie di insetti, come i weta giganti, e può essere uno dei motivi collegati al declino delle loro popolazioni.

In base a dati del 2018, circa il 74 per cento dei cieli notturni sopra l’isola del Nord e il 93 per cento di quelli sopra quella del Sud – le due isole più grosse che formano la Nuova Zelanda – erano classificati come «limpidi o degradati solo in prossimità dell’orizzonte». Il paese vuole continuare a proteggerli e seguire l’esempio di Niue, il piccolo stato insulare dell’Oceania che si trova circa 2.500 chilometri a nord-est della Nuova Zelanda e nel 2020 è stato il primo paese al mondo a ottenere lo status di dark sky nation.

Quella di dark sky nation è una certificazione assegnata dalla International Dark-Sky Association (IDA), un’organizzazione che si occupa di proteggere i cieli notturni dal 1988. Ventun anni fa la IDA ha istituito un programma per incoraggiare le comunità a preservarli con politiche che combattano l’inquinamento luminoso e comprendano anche attività formative di vario tipo.

Le comunità, i parchi, le riserve e le aree protette “buie” non sono necessariamente posti dove il cielo è completamente buio, ma zone in cui vengono adottati specifici programmi per la protezione e la preservazione dei cieli notturni (che possono coinvolgere anche aree urbane). Per ottenere l’assegnazione di “International dark sky place” bisogna rispettare una serie di criteri, come limitare l’utilizzo delle luci artificiali, garantire l’accessibilità ai visitatori, fare in modo che ci sia il pieno sostegno della comunità locale e che la tutela dei cieli notturni sia promossa attraverso varie attività, tra cui l’istituzione di nuovi osservatòri per incentivare il turismo.

A gennaio del 2022 erano state classificate in totale 195 aree di questo tipo, tra cui appunto Niue, le isole Pitcairn (che si trovano sempre in Oceania) e decine di altri luoghi in varie parti del mondo, dalla Namibia al Brasile, dagli Stati Uniti all’Europa. In Italia al momento non ce n’è nessuno, mentre in Nuova Zelanda ce ne sono già tre: la riserva di Aoraki Mackenzie, nella parte centrale del paese, e poi le isole Great Barrier e Stewart, rispettivamente nell’estremo nord e nell’estremo sud del paese.

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Steve Butler è il direttore del programma “Dark Skies” della Royal Astronomical Society of New Zealand, nonché la persona che nel 2019 aveva presentato l’iniziativa per far riconoscere tutta la Nuova Zelanda come dark sky nation. In un’intervista data a BBC Travel, Butler ha raccontato che pochi neozelandesi sono cresciuti «senza rimanere stupefatti dai cieli notturni sopra il territorio del paese», e che per questo le comunità dell’area di Aoraki Mackenzie non avevano avuto troppe perplessità nell’adeguarsi ai criteri richiesti dalla IDA. Butler si è detto perciò convinto che nel tempo anche i centri urbani troveranno metodi per limitare l’illuminazione artificiale e ridurre in generale il suo utilizzo.

I sindaci di alcune comunità locali hanno già cominciato a valutare di introdurre regolamentazioni per usarla in maniera più efficiente e moderata, mentre l’ente governativo che si occupa del trasporto sta pensando di installare lampioni e dispositivi per l’illuminazione che rientrano nei criteri fissati dalla IDA lungo le autostrade nelle aree protette. Nel frattempo comunque un’altra ventina di comunità neozelandesi ha chiesto di essere riconosciuta come sito dall’associazione.

Nalayini Davies, astronoma neozelandese che fa anche parte del consiglio direttivo della IDA, ha detto che l’obiettivo di diventare una dark sky nation è raggiungibile, ma ha osservato che ci vorranno almeno tre anni per creare consapevolezza tra gli abitanti del paese, modificare le ordinanze locali sull’uso dell’illuminazione artificiale ed espandere le aree già protette. Intanto però hanno già cominciato a nascere agenzie turistiche che si occupano di organizzare tour per creare consapevolezza sul tema e al tempo stesso raccontare la scienza e la storia dell’astronomia nella popolazione maori.

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