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  • Venerdì 14 ottobre 2022

Gli ospedali non sanno come pagare le bollette

Consumano moltissima energia e non possono farne a meno, per questo hanno chiesto aiuti ulteriori al governo

La terapia intensiva dell'ospedale San Filippo Neri di Roma (Celcilia Fabiano/LaPresse)
La terapia intensiva dell'ospedale San Filippo Neri di Roma (Celcilia Fabiano/LaPresse)
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La scorsa settimana il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha detto che uno dei problemi più rilevanti e probabilmente sottovalutati dovuti all’aumento del prezzo dell’energia riguarda gli ospedali, che devono far fronte a bollette quasi raddoppiate rispetto all’anno scorso e hanno poche possibilità di ridurre i consumi di elettricità e gas.

«Non possiamo certo spegnere i riscaldamenti o i macchinari», ha spiegato Bonaccini. Soltanto in Emilia-Romagna le previsioni di spesa sono passate in poche settimane da 80 a oltre 300 milioni di euro, ma la situazione è critica anche in tutte le altre regioni italiane. Il problema è che i fondi stanziati dal governo bastano a coprire solo una piccola parte delle spese impreviste, e gli ospedali non hanno molti margini per intervenire: non possono spegnere le luci, gli impianti di riscaldamento o i macchinari. I dirigenti sono preoccupati di dover recuperare i fondi tagliando su altre spese, specialmente quelli sul personale.

Le stime diffuse dall’Emilia-Romagna sono inevitabilmente provvisorie perché l’attuale andamento dei prezzi non consente di prevedere con esattezza quanto la crisi energetica costerà agli ospedali, già interessati dal notevole aumento delle spese dovuto alla pandemia. Alcuni dati interessanti sono stati diffusi dalla FIASO, la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, che ha promosso un’indagine tra 38 ospedali di diverse regioni italiane. Complessivamente, dicono i risultati, in tutto il 2022 le bollette supereranno i 2,2 miliardi di euro, quasi un miliardo in più rispetto allo scorso anno.

L’indagine, tuttavia, ha qualche limite: i risultati sono basati sul campione di 38 strutture sanitarie e si basano sui costi energetici relativi ai primi 6 mesi del 2022. Per avere stime più precise bisognerebbe avere dati più rappresentativi (gli ospedali in Italia sono 992) e soprattutto capire come l’andamento dei prezzi influirà sulle bollette negli ultimi mesi, caratterizzati da rincari significativi: non è escluso che i risultati della FIASO siano una sottostima e che alla fine dell’anno l’aumento delle bollette rispetto allo scorso anno sia maggiore.

Il confronto tra la spesa nei primi sei mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2021 è un dato più affidabile e mostra che i timori delle regioni sono fondati. Secondo le risposte citate nell’indagine, gli ospedali hanno pagato bollette più care del 72,2 per cento: il 75 per cento in più per l’elettricità e il 68,7 per cento per il riscaldamento. Nelle strutture sanitarie del Nord l’aumento è stato del 62,2 per cento, al Centro del 66,6 per cento e nelle regioni del Sud del 96 per cento. «Si tratta di qualcosa di imprevisto e di imprevedibile che ha un impatto sovrapponibile a quello della pandemia», dice Giovanni Migliore, presidente della FIASO. «Ricordo che il finanziamento 2021 per il Covid è stato di 1 miliardo e 700 milioni di euro».

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Ospedali e Regioni hanno chiesto al governo di intervenire con aiuti economici per sostenere le maggiori spese impreviste. Secondo la FIASO servirebbe almeno un miliardo di euro, una cifra molto distante dal sostegno approvato a metà settembre dal Consiglio dei ministri: nel decreto chiamato Aiuti Ter, il governo ha previsto 400 milioni di euro per far fronte ai rincari dell’energia. Tra le altre cose, questi soldi sono stati stanziati per tutte le strutture del servizio sanitario nazionale e non soltanto per gli ospedali.

Le soluzioni alternative portate avanti dalle aziende – chiusura di alcune linee di produzione, spostamento dei turni, fino alla cassa integrazione straordinaria – non sono percorribili per gli ospedali, dove l’energia è un grosso problema essenzialmente per due motivi: ne utilizzano tantissima e non possono farne a meno.

I reparti più energivori sono la terapia intensiva e la chirurgia, dove oltre ad alimentare i macchinari sanitari è necessario mantenere condizioni ottimali con potenti impianti di riscaldamento, raffrescamento e ricambio dell’aria. Molta energia viene consumata anche dalle apparecchiature presenti nei laboratori dove vengono fatti esami e analisi. Nei reparti di degenza, invece, i consumi sono prevalentemente legati al mantenimento della temperatura e dell’illuminazione. Secondo le stime, l’energia incide per circa il 5 per cento sulle spese.

All’ospedale Cardarelli di Napoli, il più grande del Sud, con quasi mille posti letto, la bolletta dell’energia elettrica quest’anno raggiungerà gli 11,5 milioni di euro, quasi il doppio rispetto ai 5,6 milioni di euro pagati nel 2021. Il direttore generale, Antonio D’Amore, ha detto che non è possibile tenere spente le apparecchiature molto energivore come quelle per la risonanza magnetica, né tanto meno fermare le operazioni chirurgiche. «Una TAC (un macchinario diagnostico che utilizza i raggi X, ndr) consuma quanto 80 lavatrici accese», ha detto. «Come con la pandemia, la crisi energetica ci ha colti un po’ di sorpresa. Non siamo stati bravi a programmare».

Oltre a non incidere nel breve periodo, in molti ospedali gli interventi per limitare i consumi sono complicati perché edifici e padiglioni risalgono a decenni fa, con camere grandi e soffitti alti che disperdono calore e non aiutano a mantenere la temperatura stabile.

Negli ultimi anni, principalmente a causa della pandemia, sono stati rimandati molti interventi come il miglioramento dell’isolamento di pareti e coperture, la sostituzione degli infissi e della vecchia illuminazione. Si tratta di interventi che possono essere fatti su larga scala soltanto con bandi di gara e grossi investimenti: anche se approvati in poco tempo sarebbero conclusi nel 2023, senza incidere sulle bollette del 2022.

Le strutture sanitarie stanno cercando di limitare i consumi in altri modi, ma le possibilità di intervento sono molto ridotte. Per esempio l’ASL Toscana sud est (azienda sanitaria locale), che gestisce 13 ospedali e altre strutture sanitarie per un totale di 250 immobili, ha migliorato l’utilizzo dell’energia elettrica per l’illuminazione nei parcheggi. «Ma non possiamo lasciarli al buio, sono frequentati anche in piena notte», spiega il direttore generale Antonio D’Urso. «Abbiamo ottenuto un risparmio di qualche centinaio di migliaia di euro al mese. Poi intendiamo attivare tutte le linee di cogenerazione possibile (quelle per produrre acqua calda sfruttando la temperatura dei fumi prodotti dalla combustione di altri impianti, ndr)». Secondo il presidente della Toscana, Eugenio Giani, la Regione spenderà per gli ospedali 200 milioni di euro in più rispetto allo scorso anno a causa del rincaro dell’energia.

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L’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è riuscito a tenere la bolletta bassa grazie a una convenzione firmata in passato con la CONSIP, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione, con una tariffa a prezzo fisso che ha consentito di evitare gli sbalzi del mercato. Alla scadenza della convenzione, però, il problema si riproporrà: secondo le stime, con i prezzi attuali la bolletta aumenterà di 6 milioni di euro. Per questo è stato approvato un progetto per l’installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto di una torre dell’ospedale. L’impianto consentirà di produrre 377mila kilowattora all’anno, ma sarà finito entro la prima metà del prossimo anno.

Uno degli ospedali che in passato avevano investito in modo significativo sulle energie rinnovabili e oggi evita parte dei problemi è l’ospedale del Mare di Napoli, nel quartiere di Ponticelli, dove lo scorso aprile è stato inaugurato un impianto fotovoltaico di 3.700 metri quadrati in grado di produrre ogni anno 825 megawattora di energia. Secondo le stime dell’azienda sanitaria Napoli 1 Centro, l’impianto consente di ridurre di 365 tonnellate all’anno le emissioni di anidride carbonica con un risparmio di 230mila euro.

Secondo Migliore, presidente della FIASO, senza aiuti ulteriori da parte del governo c’è il rischio che le aziende sanitarie siano costrette a tagliare investimenti previsti sulla stabilizzazione e l’assunzione di nuovo personale: «ci aspettavamo effettivamente di poter tornare a investire in sanità, a stabilizzare il personale, i professionisti che ci aiutano o che ci avrebbero aiutato a superare il problema delle prestazioni non erogate perché liste di attesa significa certamente avere tecnologia, ma anche personale medico e sanitario per eseguire le prestazioni. Invece quest’anno, con questo extra costo, non è detto che riusciremo a fare le cose che avevamo preventivato».