Un’altra canzone di St. Vincent

Un concetto vecchio che funziona sempre

(Steven Ferdman/Getty Images)
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È uscita una canzone nuova di Andrea Laszlo De Simone, che avevamo apprezzato molto per quella che somigliava molto alla Canzone dell’amore perduto di De André (ma non solo ): questa è deprimente, per sua stessa ammissione .
Che siate fan dei Rolling Stones o di Jean-Luc Godard questo breve video non è niente male ( qui c’è tutto il film ).
Intanto che aspettiamo – ci siamo quasi – che torni la solita stagione natalizia di Mariah Carey, pare che forse sarà ripubblicato il suo mitologico disco alt-rock (ne scrivemmo qui ).

New York
St. Vincent

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Una delle cose buffe di New York, se ci pensate, è che tutti pensano di possederne un pezzo, anche se ci sono stati una volta sola, o due, o dieci, o cinquanta: o persino se non ci sono mai stati, a volte. È una città che i newyorkesi sentono molto loro, con toni complici e ammiccanti quando ne parlano, un po’ autoironici e molto autocompiaciuti: ma non possono evitare che chiunque al mondo la senta per qualche ragione sua e che questo scalfisca quel senso di possesso che i newyorkesi – che lo siano da sempre o più semplicemente da un certo punto – vorrebbero esercitare. Sarà probabilmente quel decennale regalare al mondo pezzi della città attraverso i film, i libri, le storie vere e inventate: mi ricordo ancora quell’infantile sensazione che hanno vissuto in molti, quando ci andai la prima volta a 15 anni, e fu come quando incontri una celebrità per strada, una di quelle che ti sembra di frequentarla da sempre ma sei lo stesso esterrefatto. Solo che lì la celebrità era la strada stessa.

Ognuno poi ha le sue soggettive sensazioni sulle città: un amico mi ha detto a pranzo due giorni fa che trova che Milano stia “peggiorando dopo la pandemia”, un’amica mi ha scritto che “Londra dopo Brexit è tetra”, e in entrambi i casi mi è sembrato che quando ci facciamo suggestionare da una tendenza poi vediamo tutto in quell’ottica. Per non dire del fatto che generalizzare i giudizi su un’intera città è sempre molto approssimativo: le città sono fatte di mille cose che non si sintetizzano in periodi brevi. Per dire che Roma è diventata un disastro – valutazione piuttosto condivisa, malgrado tutte le sue bellezze che sappiamo – l’abbiamo osservata prendere questa piega per almeno dieci anni.
Figuriamoci poi i giudizi sulle città dove non viviamo, o dove non viviamo molto. A me New York fa da diversi anni l’impressione di aver perso quel primato di capitale del mondo contemporaneo, il posto dove-succede-tutto e tutto si rinnova: forse perché la globalizzazione culturale produce molte concorrenti, o forse è solo un’impressione mia. Però è sempre un luna park di meraviglie e spettacolo anche quando è lo stesso spettacolo: come Venezia in altri modi, e chissà se diventerà mai il museo di se stessa.

Di St.Vincent abbiamo parlato un anno e mezzo fa, già alludendo anche a questa canzone.
St. Vincent è il nome di battaglia di Annie Erin Clark, che ha 38 anni ed è dell’Oklahoma. Ha cantato con i Polyphonic Spree e con Sufjan Stevens , e poi si è messa in proprio e ha fatto sette dischi (quello nuovo esce tra poco, come dicemmo i giorni scorsi): ha curiosità letterarie e raffinate, e misteriosità ed esibizionismi insieme, che l’hanno resa di gran culto e fascino presso molti fan: ha vinto un premio Grammy, fatto un disco con David Byrne, è stata fidanzata con Cara Delevingne.

Qualcuno infatti ha ipotizzato che la persona di cui parla in New York sia Delevigne, ma lei ha spiegato che si tratta di un “un misto”.
La canzone è di gran dolcezza e parla di una storia finita ma finita con grande amore, e New York è sullo sfondo, ma anzi è tutta intorno, come se la canzone avvenisse dentro la città: e questo verso è molto bello per come suona, malgrado il concetto non sia nuovo (senza di te questo posto fa schifo, baby). Ma funziona sempre.

New York isn’t New York without you, love.

Poi è ancora un’altra canzone che usa con leggerezza disinvolta la parola “motherfucker”, e lei si è scusata una volta in un podcast ma ha spiegato che è un segno di confidenza con chi ascolta, parlare come uno scaricatore di porto. E il verso sul perdere un eroe lo spiegò con la sensazione che nel 2016 morissero tutte le persone grandissime, da David Bowie in là.
E poi disse questa cosa, e hai visto mai.

«Ed è la prima canzone che ho scritto che mi ha fatto pensare, oh, questa potrebbe diventare la canzone preferita di qualcuno».

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